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Finalcial Far Play, utile ma…

Scritto da Angelo Marino il 4 ottobre 2011
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Montezemolo, intervistato sul suo nuovo progetto NTV (Nuovo Trasporto Viaggiatori S.p.A.) ha evidenziato un problema molto grave che caratterizza l’economia e il mercato italiano: nessuno viene più a investire in Italia.

Denuncia che qualche mese più tardi ha fatto anche il presidente del Palermo e grande uomo di calcio Maurizio Zamparini. I problemi evidenziati dal proprietario della squadra siciliana, che contrappone alla situazione italiana quella inglese dove moltissime società sono in mano a stranieri, consistono nel fatto di non poter ottenere un ritorno economico: se uno investe 100 difficilmente riuscirà a rientrare di quei soldi e quasi mai riuscirà ad avere un guadagno.

Ecco perché in Italia non vi è alcun quarantenne russo in jeans e camicia, con una collezione privata di yacht e aerei privati, che investe miliardi per conquistare lo scudetto. O ancora, più contemporaneo, non vi è alcun arabo o emiro che, potendo utilizzare soldi come coriandoli, rappresenterebbe il presidente ideale per ogni tifoso. Mentre in Inghilterra o Spagna questi personaggi sono sempre più comuni, nel nostro paese  sono ancora cosa rara, anzi unica con Thomas Di Benedetto.

Questo imprenditore statunitense, che ha da poco preso il posto della storica famiglia Sensi alla presidenza della Roma, è infatti l’unico presidente straniero in Italia e se si esclude una piccola partecipazione libica nella Juventus rappresenta anche l’unico investimento estero in una squadra italiana.

Quali sono quindi i motivi per il quale il calcio italiano non è ancora stato interessato da tutti questi capitali esteri?

Le difficoltà sono quelle che caratterizzano anche il mercato e l’economia italiana in generale: tasse e burocrazia. In Spagna per esempio la situazione fiscale permette operazioni a basso costo rispetto a quelle che sono realizzabili in Italia. Lo sgravo fiscale è anche il motivo per il quale molti calciatori a parità di ingaggio tra Spagna e Italia scelgono sempre il paese iberico.

L’altro motivo che blocca o scoraggia gli investimenti esteri è la burocrazia. Basti pensare a quanto lunga e difficile è stata la trattativa tra Unicredit, famiglia Sensi e Di Benedetto per l’acquisizione della Roma da parte di quest’ultimo.

In Italia, rispetto a Inghilterra e Spagna, la burocrazia rende le trattative infinite e molto complesse.

Ad analizzare il calcio partendo da questi due problemi verrebbe quasi voglia di chiamare Tremonti, visto che i problemi sono gli stessi  che caratterizzano la nostra economia ma nel mondo del calcio si sommano i problema di una Lega che non si è mai ripresa dal declino che è iniziato alla fine degli anni novanta e che continua oggi nelle aule dei tribunali dopo gli scandali di calciopoli e del calcio scommesse.

Inoltre, osservando il sistema calcio italiano si nota un ritardo incredibile in termini di idee, progetti e strutture. Gli stadi italiani sono vecchi e mal organizzati, per questo motivo abbiamo perso più di una manifestazione importante, si pensi agli Europei in Polonia e Ucraina 2016. Questo regresso contribuisce anche nel rendere il prodotto calcio sempre meno spettacolare e meno vendibile sul mercato internazionale.

Il nostro calcio potrebbe trarre un po’ di vantaggio se realmente l’Uefa e Michel Platini imponessero, a partire dalla stagione 2013-2014, il Financial Fair Play. Con questo l’Uefa vorrebbe limitare le spese folli e premiare maggiormente l’abilità nel gestire le società di calcio. Ad oggi infatti le società più importanti e titolate d’Europa sono anche le più indebitate. Attraverso limiti imposti, come per esempio un disavanzo che nella stagione 2013-2014 non potrà essere superiore ai 45 mln di euro, l’obiettivo è quello del pareggio di bilancio entro la stagione 2017-2018. Il non rispettare i criteri imposti da Financial Fair Play potrebbe costare anche l’esclusione dalle Coppe Europee.

Tutte le squadre di calcio dovranno fornire informazioni finanziare e garantire la massima trasparenza: in poche parole i club potranno spendere solo quanto ricavato in un determinato periodo di tempo.

In questo modo quindi non saranno più ammessi bilanci in rosso e tantomeno grandi petrolieri o giovani russi che a suon di miliardi comprano le migliori squadre europee coprendone i debiti.

Certo è che il Financial Fair Play, cosa che se realmente attuata (restano molti dubbi sulle modalità e sulla reale applicazione) potrebbe portare ad una riqualificazione del mondo del calcio, non deve comunque servire per dimenticare i problemi del calcio italiano, che comunque rimangono e senza un cambiamento rimarranno.

Il FFP potrebbe si livellare e regolare le spese dei club europei, ma senza una modernizzazione del sistema calcio italiano sarebbe comunque difficile tornare al livello degli altri campionati europei molto più evoluti.

Se arabi, russi e altri miliardari non hanno investito un euro sul nostro campionato di calcio, e non hanno intenzione di farlo, un motivo ci sarà. La soluzione potrebbe essere interrogarsi sul perché, prima che il Financial Fair Play ci faccia dimenticare il periodo in cui gli stranieri investivano in Europa ma non in Italia.