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Sensibilita’ a senso unico

Scritto da Giorgio Rinaldi il 1 ottobre 2012
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E’ capitato, capita e capiterà che un filmato, un disegno, uno scritto, un discorso, un dipinto, uno slogan etc. in materia religiosa possa urtare la sensibilità di chi di quella religione è parte.

In genere, segue l’indignazione e la protesta di chi è vittima dello sberleffo altrui.

Quando l’offesa, o ciò che viene percepito come tale, è rivolta al credo islamico i problemi diventano drammatici.

Per il credente islamico è insopportabile qualunque manifestazione di dileggio verso tutto ciò che è ritenuto sacro.

Gli stessi credenti di altre religioni o gli atei devono stare molto attenti a fare professione delle loro idee in materia quando soggiornano in paesi di stretta osservanza religiosa, ne potrebbero derivare conseguenze gravissime per i malcapitati.

Giustamente, ogni credente pretende il massimo rispetto per il suo sentimento religioso ma, come lo pretende, lo dovrebbe anche accordare.

Non sempre però è così, e ciascuno interpreta il “Verbo” come meglio gli conviene.

Forme di pseudo ironia, come l’indimenticabile maglietta di quel “ministro per caso”  debbono certamente essere adeguatamente condannate e stigmatizzate, ma di sicuro non possono essere utilizzate a pretesto per scatenare guerriglie religiose.

Per i cristiani la cosa più sacra di tutto è la vita: nei tumulti seguiti a qualche vignetta ritenuta oltraggiosa, i fanatici islamici hanno ucciso senza tante preoccupazioni chiunque fosse o si ritenesse appartenente ad altra religione.

Le libertà di movimento, di alimentazione, di vestiario etc. sono impedite e severamente regolamentate, specialmente per le donne, anche se -spesso- le stesse credenti si trovano in disaccordo con la prescrizione religiosa.

Questo non dev’essere ritenuta  un’offesa per chi, invece, propugna libertà e non solo religiosa, rispetto, uguaglianza dei sessi e uguale diritto al lavoro?

In alcuni paesi si arriva, addirittura, a vietare alle donne di guidare l’auto…

Se ogni qual volta è stata bruciata la bandiera degli Stati Uniti i nord americani, che alla loro bandiera ci tengono davvero, si fossero offesi a tal punto da, non dico uccidere, ma solo malmenare qualche musulmano, in che confusione ci troveremmo.

Facile pretendere rispetto per sé ma non rispettare gli altri.

Il problema, all’apparenza, è religioso, ma – a ben vedere – la questione è politica.

Chi ha potuto, si è sempre servito del sentimento religioso di intere popolazioni manipolandolo all’occorrenza.

I Crociati si sono macchiati di orrendi crimini per assicurare i migliori affari al mondo al quale appartenevano; soldataglia al seguito di evangelisti d’ogni risma ha commesso atrocità inenarrabili pur di assicurarsi colonie e dominii.

Per contro, senza stare a scavare troppo nel passato, basta ricordare le barbarie commesse solo qualche anno fa nei Balcani, dove a farne le spese sono state intere popolazioni di credo cristiano-ortodosso.

Ogni guerra è stata fatta garantendo, i caporioni, alla milizia e alle popolazioni tributarie l’appoggio della più alta divinità.

Oggi i governi di quei paesi a forte integralismo religioso non perdono occasione per fomentare sentimenti arcaici e apertamente schierati contro ogni forma di modernità, a garanzia di un perpetuarsi del potere esistente.

Chi ha sfruttato a man bassa quei paesi pensa sempre di continuare nella rapina delle risorse e nulla fa per contribuire ad un processo di democratizzazione che di per sé solo  potrebbe mitigare l’estremismo religioso e ricondurre il sentimento ad un fatto personale e non politico.

L’U.E. proprio perché fatta di realtà politiche e storiche diverse può essere il motore di nuovi vettori politici, capaci di un nuovo dialogo, di un nuovo contratto tra popoli che veda come opzione primaria il rispetto dell’uomo e delle sue idee.

I segnali, come quelli di dichiarare per Costituzione l’Europa cristiana e impedire l’ingresso nell’Unione ad un grande Paese come la Turchia, come se fossimo ancora alla guerra di Lepanto, sono preoccupanti ma non insuperabili.

Non è detto che non si debba cominciare a discutere su forme di partecipazione alla vita di un Paese, o di una federazione di Paesi, secondo nuovi ed inediti costrutti politici, perché non sempre è giusto che chi non sa di che cosa si stia parlando parli, invece, anche per gli altri.

Che ciascuno dialoghi con il suo Dio o con la sua Dea, se ci crede, nella consapevolezza che nessuna divinità potrà mai giustificare l’omicidio e l’intolleranza.