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Omicidio di Camilla Auciello: se il convivente uccide la sua pena è minore

Scritto da Giuseppe Centonze il 1 settembre 2012
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Sedici anni di reclusione, con il rito abbreviato, per Claudio Bertazzoli, il carabiniere di 46 anni, originario di Riolo Terme (RA), che il 2 aprile 2011 uccise con 46 colpi di martello e forbici la convivente Camilla Auciello, originaria della provincia Bari e di 10 anni più giovane, nella loro casa di Baricella, nel bolognese. Una sentenza arrivata dopo un rito abbreviato: Angela, la madre della vittima alla lettura del dispositivo da parte del gup Bruno Perla è scoppiata a piangere dicendo “Se fosse capitato ai vostri figli sareste contenti di una sentenza così?”.

“Non è stata fatta giustizia”, ha commentato l’avvocato Monica Nassisi che ha assistito come parte civile la madre e il fratello di Camilla Auciello. “La vita di una ragazza di 34 anni massacrata con 46 colpi di martello e forbici penso che valga qualcosa di più di una condanna a 16 anni di reclusione. Purtroppo sono profondamente sfiduciata nei confronti di questa giustizia. Oggi questa ragazza è stata ammazzata un’altra volta, oggi è stata oltraggiata la sua memoria in una aula di giustizia che tale non è”.

Il pm Maria Gabriella Tavano non aveva contestato l’aggravante della premeditazione, che avrebbe portato il Bertazzoli alla condanna all’ergastolo. Eppure secondo l’avvocato di parte civile Monica Nassisi e la sua consulente, la criminologa Dr.ssa Roberta Bruzzone, “Gli elementi per la premeditazione c’erano ampiamente”, a partire dalle armi del delitto che non erano nell’immediata disponibilità dell’assassino, ma in un luogo diverso dalla scena del crimine. Non si è trattato, dunque, d’omicidio d’impeto. L’assassino è andato appositamente a prenderli per scatenare la sua furia omicida (n.d.r. il volto di Camilla era irriconoscibile, il cranio sfondato). Inoltre, solo 2 giorni prima che Camilla fosse uccisa pare che il suo legale, prendendo atto che l’unione tra i due era finita, aveva ammonito il Bertazzoli di non continuare le intimidazioni e le violenze su Camilla, preannunciandogli che Camilla sarebbe andata via di casa, portandosi via la figlia Alessia di soli 2 anni e mezzo che rappresentava tutto per lei. Bertazzoli, invece, pretendeva che la figlia rimanesse con lui, dato che non aveva le disponibilità finanziarie per un assegno di mantenimento della piccolina, mentre Camilla poteva anche andarsene, ma da sola.

ll pm Maria Gabriella Tavano nel corso del processo ha sollevato una questione di legittimità costituzionale: per l’omicidio commesso da un coniuge, la condanna va dai 24 ai 30 anni. Se a commetterlo è un convivente, invece, l’aggravante non è prevista e la pena è inferiore. Si tratta dell’articolo 577 del codice penale (circostanze aggravanti), ultimo comma, in cui si dice che la pena è “da 24 a 30 anni di reclusione se il fatto è commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o contro un affine in linea retta”. Secondo la legge, l’aggravante non si applica al convivente more uxorio e quindi è chiaro che la pena nel suo caso è inferiore ai 24 anni. Ciò ha spinto il pm Maria Gabriella Tavano a sollevare la questione, chiedendo che venisse parificata la pena nel caso di coniuge come nel caso di convivente.

Secondo l’art. 29 della Costituzione, la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio. Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra conviventi, la giurisprudenza non ritiene sia possibile applicare le norme previste per la famiglia legittima e ciò lo si può evincere dal dettato dell’art. 29 della Costituzione atteso che questa norma attribuisce alla famiglia legittimamente costituita una particolare tutela, in considerazione della peculiarità e dell’importanza sociale svolta dalla famiglia quale luogo di formazione e sviluppo della persona. Nondimeno, si fanno sempre più frequenti i casi di famiglia non fondata sul matrimonio (c.d. famiglia di fatto, o convivenza more uxorio). La convivenza more uxorio, che non è neppure più riprovata socialmente, rappresenta una situazione non illecita, giacché è una formazione sociale nel cui ambito può svolgersi la personalità degli individui come sancito dall’art. 2 della Costituzione. Al momento, è assente nel nostro ordinamento giuridico un riconoscimento esplicito, ed una disciplina organica, della famiglia non fondata sul matrimonio atteso che non è ancora operativa la riforma all’esame del Parlamento. Eppure, una maggiore equiparazione della famiglia di fatto alla famiglia legittima si è verificata in ambito penale, e precisamente:

1. art. 199, 3° co. lettera A) c.p. (obbligo di testimoniare): è prevista la facoltà di astenersi dal testimoniare anche per il convivente more uxorio;

2. art. 572 c.p. (maltrattamenti in famiglia): vi è equiparazione alla disciplina applicata alla famiglia legittima;

3. artt. 342 bis e ter, L. 154/2001 (abusi familiari): la condotta anche del convivente more uxorio che determini un grave pregiudizio al nucleo familiare, comporta l’allontanamento del soggetto e l’obbligo al versamento di un assegno, se i familiari restano privi di mezzi adeguati per il loro sostentamento;

4. art. 680 c.p. (domanda di grazia): permette al convivente more uxorio di proporre domanda di grazia.

Non sussiste, tuttavia, una regolamentazione ordinaria generale, né speciale, da applicare alla famiglia di fatto. In virtù di ciò la questione sollevata dal pm è stata rigettata dal gup Bruno Perla.

E’ il caso che la famiglia di fatto, anche o solo a livello penale, venga equiparata del tutto alla famiglia legittima. Non è concepibile che il coniuge che uccide il marito o la moglie prenda una pena e il convivente, magari anche con figli in comune, ne prenda una minore!

Il gup Bruno Perla nella sentenza ha disposto a carico del Bertazzoli anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, l’interdizione legale per il tempo della pena, la sospensione dell’esercizio della potestà genitoriale per lo stesso periodo. Prevista anche una condanna al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede civile e una provvisionale alle parti civili di 780.000 euro e la condanna alle spese legali.

Resta da definire la sorte della piccola Alessia, affidata temporaneamente alla sorella del Bertazzoli, in pratica alla famiglia dell’assassino, che con ogni probabilità ha assistito all’omicidio, vista la testimonianza di una vicina di casa che ha sentito la bambina urlare “Mamma, mamma” e non come ha dichiarato il Bertazzoli che stava dormendo, contrariamente al solito, al piano di sotto nel suo lettino. La bambina, invece, dormiva insieme ai suoi genitori. Camilla, per la cronaca, è stata uccisa vicino al suo letto “matrimoniale”.

Angela, la madre di Camilla, chiede a questo punto di poter avere almeno la nipote in affidamento, visto che non potrà più riavere la figlia e neanche giustizia.

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One Response so far.

  1. sarah scrive:

    Ha fatto prendere solo 16 anni di reclusione a un carabiniere assassino per il semplice fatto che non gli ha contestato la premiditazione ma se era una persona qualunque sarebbe stato confermato l ergastolo