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Il prosecco

Scritto da Piero Valdiserra il 1 novembre 2015
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Se negli ultimi anni la spumantistica italiana di qualità ha guadagnato crescenti successi internazionali, il merito principale va sicuramente attribuito al Prosecco. La sua crescita, di diffusione e di immagine, ha ormai valicato i ristretti confini settoriali, per diventare a tutti gli effetti un caso esemplare di sociologia dei consumi.

Nei secoli andati, la Marca Trevigiana – o “Marca Gioiosa”, com’era chiamata fin dal Medioevo – costituiva il soleggiato entroterra della Repubblica di Venezia: e i suoi vini, chiari, leggeri e tranquilli, rappresentavano il contrappunto sensoriale del verdissimo paesaggio che faceva da sfondo alle ville nobiliari dei potenti della Serenissima. Quando arrivavano per villeggiature, passatempi o galanterie, i patrizi veneziani portavano infatti il loro gusto e la loro eleganza anche nell’attività vitivinicola, col risultato di imporre nel tempo i prodotti enologici della Marca anche in molte altre regioni italiane e straniere.

Nella seconda metà dell’Ottocento Antonio Carpené diede il via alla prima attività spumantistica della zona. Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti – e molto vino nelle botti trevigiane – per arrivare ai nostri giorni: oggi le bollicine del Prosecco possono essere prodotte nel territorio di 9 province, e l’ambita D.O.C.G. è riservata alla sola produzione dell’area storica, quella di Conegliano – Valdobbiadene e dei Colli Asolani.

Attualmente esistono tre tipologie di Prosecco: il vino fermo (una specie di arcaismo, ormai), il frizzante e lo spumante. In tutti i casi il prodotto ha un colore giallo paglierino brillante, un bouquet elegante e marcatamente fruttato, un gusto fresco e accattivante fin dal primo assaggio. La variante spumante, quella che oggi va per la maggiore al momento dell’aperitivo, dello Spritz o del normale abbinamento enogastronomico a tavola, è disponibile in diverse gradazioni di secchezza.

Un nome simpatico e facile da pronunciare in molte lingue: Prosecco. Un’uva spiccatamente fruttata e piacevolmente aromatica, la Glera (in passato detta anch’essa Prosecco). Un risultato nel bicchiere gradevolmente vivace, versatile, amico di tutti i palati. Questi i piccoli grandi segreti della fantastica semplicità del Prosecco, che lo stanno accompagnando alla conquista dei mercati di tutto il mondo. Al punto che sempre più il termine “Prosecco” viene usato come nome comune, vale a dire come antonomasia per indicare un vino genericamente frizzante/spumante. Ormai, più che il prodotto di punta della vitivinicoltura veneta, il Prosecco è un vero e proprio fenomeno di costume. I suoi numeri ne sono la riprova più evidente: secondo le risultanze di una recente ricerca, le bottiglie annuali di Prosecco sono destinate a raggiungere in breve tempo la cifra astronomica di 500 milioni, e a superare così di gran lunga i volumi del più celebre Champagne francese. Un successo clamoroso dell’enologia  italiana, confermato fra l’altro dai primi tentativi di imitazione stranieri: c’è chi sta cominciando a produrre Prosecco, o presunto tale, in Brasile e persino in Australia, per non parlare del cosiddetto Prosecco dalmata (Prošek), che in realtà è un vino passito.