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Riflessioni “al caldo”, la poesia in piazza.

Scritto da Antonella Antonelli il 1 agosto 2015
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Qualche giorno fa sono stata invitata da un amico a partecipare a una lettura in piazza con altri poeti.

Era qualcosa che, per mia fortuna, avevo già avuto l’opportunità di fare e quindi per niente preoccupata, ho scelto tre, tra le mie poesie inedite da poter leggere e a piedi ho raggiunto “ la piazza senza nome”, nei pressi di Porta Portese a Roma.

Abito in un quartiere limitrofo e nonostante il caldo infernale, con mia figlia e un’amica abbiamo attraverso il ponte e in dieci minuti eravamo sedute sulle panchine di pietra ancora calde, a chiacchierare e bearci di un venticello dapprima piacevole, poi un pochino fastidioso, ma che, per fortuna, ha tenuto a bada per tutta la serata le nubi e un temporale tanto temuto.

Tra poeti per lo più ci si conosce, ci si saluta dapprima timidamente, ma poi si comincia a chiacchierare con energia e curiosità perché c’è sempre il volto nuovo, e quello che invece ricompare dopo un’assenza più o meno prolungata, e allora ci si studia e si è felici di riconoscersi.

C’era anche un amico attore questa volta che ho rivisto con gioia, ed era già arrivato l’organizzatore che conosco da qualche anno ed è davvero una persona sensibile e corretta, poeta anche lui e un po’ come tutti noi… anche tanto altro. Fin qui tutto tranquillo.

Una sigaretta, quattro chiacchiere ancora sulle vacanze, la gente intorno che si siede con i bambini a guardare uno spettacolo di giovani attori su Peter Pan e poi… magia, una poetessa della quale non faccio il nome, perché nessuno ho nominato…, ma alla quale sono davvero molto grata ci dice, mentre cerchiamo liberamente, di definire cosa sia per noi la poesia in piazza:

“la poesia in piazza è diversa da quella da salotto, è nostro compito saper scegliere le liriche giuste al contesto…”, e già questa frase mi arriva come un fulmine nelle sinapsi ricordandomi che esistono parole che necessitano attenzione, quando poi aggiunge “la poesia in piazza, è rischiosa perché il pubblico non perdona…”, penso: “allora vedi che il pubblico esiste, non è una favola, esiste!”, ma quando conclude con “la poesia da salotto, può essere intimista, in piazza, non gliene frega niente a nessuno delle elucubrazioni interiori …e sarebbe bene imparare qualcosa a memoria”, decido che queste sue frasi mi saranno di conforto negli anni a venire perché sono semplici, condivisibili e sagge e hanno la capacità di farmi sentire in buona compagnia.

“Allora posso affrontare la piazza, ” penso. Ho una poesia sociale e qualche pezzo lo ricordo a memoria.La mia lirica, è un grido, è lunga per la verità, ma se il pubblico si distrae, sbadiglia, fischia… mi fermo, solo che io in questa poesia “Voi che siete pratici di come gira il mondo”, ci credo.

La poeta per la verità, mi richiama un po’ alla realtà, ai piedi a terra ecco, e mi consiglia di non far troppo sentire la mia emozione, è il pubblico, infatti, che dovrebbe eventualmente emozionarsi, ma come fare a restare indifferente a tanta carica? Come dimenticare che ho in mano, tra i fogli,una pietra spigolosa fatta di parole a raffica? Parlo di me, di noi, dei disagi, delle brutture, dell’odio, delle falsità…come posso restare fredda e chiedere poi una risposta?

E allora, quando ormai la luna è diventata alta sulla piazza senza nome e le stelle si intravedono appena, salgo quasi per ultima sul palco, che in realtà è un camion aperto e comincio a gridare, perché un grido va gridato, se soffocato muore, e per più di quattro minuti circa, leggo la mia poesia e intorno c’è silenzio.

E’ buio ormai e il faro puntato negli occhi non mi consente di vederlo, il pubblico, ma io lo sento e glielo dico e il cuore batte forte quando rallento, alla fine, solo per dire “siamo i padroni di questo mondo, per una vita, per un solo secondo.” Applaudono. Dopo il silenzio, applaudono.

Poi scendo piano per non cadere, le gambe sono un po’ molli, mia figlia mi sorride, la vedo tra tutti e so che lei non mente.

E tornando a casa in silenzio, come se volessi trattenere il respiro e le sensazioni provate, penso con una nuova consapevolezza: la poesia da salotto sì, può essere bella, elevata, sofisticata, e in un salotto non ci si perde, non si cade, non ci si critica apertamente, ma io, pur avendo una netta preferenza per le poltrone e i divani…sono e probabilmente resto, una popolana. Non mi interessano falsità e ruffianerie. Le mani me le sento poggiate sui fianchi, le parole lanciate sincere, più che pulite, le frasi rombi di tamburo, seppure, il tutto…sempre al chiaro di luna.