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Se 9 miliardi di euro vi sembran pochi….

Scritto da Antonio Masullo il 1 ottobre 2014
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A volte riceviamo dei plichi da parte di Onlus per l’assistenza a bambini abbandonati,  a popolazioni sperdute del continente africano ecc. che contengono, oltre al consueto bollettino postale precompilato per l’offerta, una quantità di cartoncini con disegni e foto, tessere di adesione con il nome del destinatario stampato a caratteri cubitali, calendarietti, opuscoli di ottima fattura, lettere su carta pregiata che descrivono l’attività dell’ente, portachiavi, immaginette e quant’altro.

Normalmente si dà una rapida occhiata, si conserva (non sempre) il bollettino con l’intenzione di provvedere un giorno al versamento e tutto il materiale viene  riposto inesorabilmente nel contenitore del riciclaggio.

Puntualmente riflettiamo sullo spreco di questa pratica e ci chiediamo perché i mittenti promuovono le loro benefiche attività in questo modo dispendioso; chi vuole e può offrire qualche euro non si lascia certo influenzare da portachiavi ed immaginette!

Questo esempio certamente non clamoroso anche se singolare  fornisce lo spunto per qualche riflessione sullo spreco ovvero su uno dei principali aspetti della civiltà consumistica.

Fra i numerosissimi esempi di speco ce n’ è uno, però, che colpisce in modo particolare la nostra immaginazione : lo spreco dei prodotti alimentari, del cibo !

E’ stato calcolato che ogni anno nel nostro paese gettiamo nella spazzatura ( purtroppo non sempre fra i rifiuti “umidi”, più facilmente riciclabili) alimenti per ben 8,7 miliardi che  non riusciamo a consumare.

E’ una cifra enorme; quante volte, negli ultimi anni, abbiamo assistito a lunghe ed animate discussione su  manovre finanziarie di importo similare? Mentre per i quasi 9 miliardi di alimenti che contribuiscono ad aggravare le criticità della gestione dei rifiuti l’attenzione non può certo definirsi massima.

Sei quello che mangi! Il primo a coniare questa semplice e significativa  affermazione fu il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach; questi riteneva, fra l’atro, che il progresso di una popolazione dipendeva soprattutto dalla sua alimentazione.

Oggi a questa oggettiva constatazione bisogna affiancare anche una domanda  : sai quello che mangi? E, per completare l’esame di coscienza, sai quello che sprechi?

Quanti lasciano nel piatto il cornicione della pizza perché lo ritengono indigesto? E’ un’abitudine comunemente accettata sulla quale è raro che si faccia la benché minima riflessione ( si potrebbe ordinare una pizza per due…). E non parliamo di quelli che lasciano abitualmente nel piatto una parte del  contenuto, indipendentemente dal suo valore e dalla sua prelibatezza, ritenendo questo comportamento una manifestazione di superiore educazione! E le mamme che forzano i propri figli a mangiare oltre quello che sarebbe necessario per una corretta alimentazione. E quanto cibo ammassiamo nei nostri carrelli al supermercato e poi ce lo dimentichiamo nella dispensa o nei frigoriferi.

Sono soltanto pochi esempi che descrivono la diffusa mancanza di educazione alimentare e la scarsa sensibilità verso lo spreco e in definitiva verso le implicazioni ecologiche  della  sostenibilità dei sistemi produttivi e commerciali dei quali ci serviamo.

L’altra faccia della medaglia, sempre per restare in argomento, è rappresentata dalle lobby finanziarie ed industriali che hanno favorito lo sviluppo di impianti che producono i così detti biocarburanti dai cereali quali il mais, la barbabietola, la colza, il girasole, la soia e così via..

Le motivazioni, secondo questi gruppi industriali, risiederebbero nel minor costo di produzione dei biocarburanti e  nelle minori emissioni di anidride carbonica rispetto ai prodotti petroliferi.

Il problema della fame del mondo e lo sfruttamento eccessivo delle terre utilizzate per le coltivazioni non rientra fra gli interessi di questi capitalisti i quali, in buona compagnia di governi compiacenti, sono guidati esclusivamente dalla pura logica economica.

Quindi spreco alimentare e scarsa educazione alimentare da una parte e politiche commerciali e produttive, soprattutto ad opera dei grandi gruppi multinazionali attivi nelle produzioni agricole e dei prodotti per l’alimentazione, rappresentano gli estremi di una situazione che va corretta se vogliamo che il nostro pianeta continui ad offrire condizioni di vita accettabili anche per i figli dei nostri figli!

Siamo già 7 miliardi su questo pianeta e fra una ventina d’anni sfioreremo i 10 miliardi!

La FAO ha calcolato che per sfamare il numero crescente di abitanti bisognerà aumentare significativamente la produzione agricola mondiale, ma, allo stesso tempo, fa presente che ogni anno si sprecano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, che sono non solo causa di ingenti perdite economiche ( 750 miliardi di dollari), ma anche di un grave impatto di natura ambientale con conseguenze negative sul clima, sulle risorse idriche e sull’utilizzo del territorio.

Ogni anno il cibo che viene prodotto e non consumato sperpera un volume di acqua pari al flusso annuale di un fiume come il Volga e utilizza quasi il 30% della superficie  agricola mondiale!

La FAO esorta tutti i governi ad apportare modifiche ad ogni anello della catena alimentare per evitare gli spechi di cibo sia per salvaguardare l’ambiente e sia per incrementare le risorse finanziarie  finalizzate alla soluzione del problema della fame nel mondo.

Quindi nell’ambito della medesima organizzazione l’anima produttivistica spinge per l’incremento della produzione in vista dell’aumento della popolazione mondiale mentre l’anima ecologista lancia allarmi per ridurre gli sprechi e lo sfruttamento del pianeta!

Una bella contradizione che rappresenta bene la contrapposizione fra gli interessi dei principali paesi produttori e delle loro multinazionali e quelli dei paesi prevalentemente importatori di derrate agricole, sovente i paesi sottosviluppati, soggetti alle conseguenze dei movimenti speculativi sui mercati delle materie prime alimentari.

Lo spreco di prodotti agricoli ed alimentari potrebbe sfamare 2 miliardi di persone, cioè più del doppio degli esseri umani che soffrono la fame!

Se poi consideriamo che nei paesi ricchi ci sono circa un miliardo di ipernutriti che oltre a consumare troppo finiscono per gravare con le loro malattie sui bilanci dei servizi sanitari pubblici drenando preziose risorse che potrebbero essere destinate ad altre attività come gli aiuti ai paesi poveri, comprendiamo quanto sia strategica una corretta educazione alimentare a tutti i livelli e quanto non sia necessario incrementare le produzioni agricole nonostante la previsione di crescita della popolazione mondiale..

La lotta allo spreco può quindi rappresentare la colonna portante del cambiamento nei sistemi industriali ed agricoli; il concetto di crescita lineare del neoliberismo non è più compatibile con i limiti imposti dalle condizioni del nostro pianeta. Il futuro, ci auguriamo,  sarà quello della crescita circolare che non significa decrescita, bensì sfruttamento sostenibile e solidale delle risorse della Terra