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Frodi e truffe commerciali

Scritto da Giorgio Rinaldi il 1 luglio 2014
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La tentazione è forte, il guadagno è enorme.

Le occasioni di far soldi in modo criminale sono tantissime.

Basta guardarsi attorno per rendersi conto che, poco o molto che sia, che i mezzi e i modi siano più o meno sofisticati, quello che genericamente viene chiamato “consumatore” è la vittima designata di moltitudini di truffaldini, di mezza tacca o meno.

Nel passato le piccole frodi avvenivano soprattutto nelle osterie, nei mulini e nei frantoi.

Non c’era oste che non annacquava il vino o ne portava in tavola quantità inferiori a quelle pagate.

Nella Roma di papa Sisto V venne introdotta la caraffa da mezzo litro in vetro con collo strozzato e imboccatura svasata, cosiddetta Magino (dal nome del suo inventore) o “fojetta” (piccola foglia in romanesco, per riferirsi alle miserabili, per l’oste, quantità di vino mancanti), per evitare le frodi perpetrate con le caraffe di terracotta che impedivano di vederne il contenuto, spessissimo scarso e arricchito dal pozzo.

Mugnai e frantoisti facevano a gara per imbrogliare sulle quantità delle produzioni portate dai contadini, i quali –a loro volta – imbrogliavano chiunque capitasse a loro tiro.

Il termine “infinocchiare” è stato inventato proprio dai vignaioli toscani che per vendere il loro vinaccio facevano mangiare ai clienti del finocchio che, come è noto, per le sue peculiarità fa perdere ogni capacità di gusto.

Arrivati a casa, gli incauti  acquirenti facevano a gara a dirsi: sono stato infinocchiato.

Pian piano, dalle piccole truffe mirate al semplice assottigliamento dell’altrui portafogli, si è passati alle grandi frodi alimentari, non soltanto dannose alla tasca, quanto e maggiormente alla salute.

Negli anno ’60  del secolo scorso, veniva molto pubblicizzato un vino che poi si rivelò fatto più che con l’uva con il metanolo, e molti ne ebbero gravi conseguenze fisiche.

Con il crescersi e il diffondersi del benessere, le produzioni alimentari, quelle discografiche  e quelle dell’abbigliamento  hanno avuto una corsia preferenziale nel prestarsi ad imbrogli di ogni tipo.

Parecchi imbrogli sono difficili da scoprire, se non con conoscenze non comuni o con attrezzature in possesso solo degli investigatori.

Si pensi, a mo’ di esempio, ad oggetti sapientemente falsificati che vengono venduti negli ordinari circuiti commerciali.

Scarpe e maglieria di gran marca vendute nei negozi ma che sono solo delle sofisticate imitazioni.

Oppure, prosciutti, formaggi ed altre delizie alimentari che riportano un marchio non originale, ovvero prodotti con materie prime scadenti, che vengono magnificati alla vendita, andando ben oltre a quella ammessa pubblicità che si muove alle soglie dell’illecito.

Moltissime frodi, invece, possono essere perpetrate solo per l’ingenuità o disattenzione del consumatore.

Classico l’esempio dell’olio che viene venduto a 3 o 4 volte meno di quanto ordinariamente costa produrlo: può mai essere olio extravergine quello che trovate nella bottiglia o in lattina?

E il vino?

Bottiglie che costano meno del solo prezzo del tappo…

Scarsa attenzione prestiamo anche quando ci imbattiamo in articoli generalmente prodotti all’estero, oppure solamente assemblati in Italia.

Il prezzo, a volte miserabile, dovrebbe indurci a considerare che i beni siano stati fabbricati con materie non controllate e, quindi, potenzialmente dannose per la salute.

Senza tacere lo sfruttamento a cui sono stati sottoposti gli operai, spesso  bambini, che in paesi poverissimi li hanno prodotti.

La gamma delle produzioni fasulle è vastissima, dalle sigarette agli orologi, dai calzini alle camicie, dal caviale alla mortadella, e via discorrendo.

Poiché si tratta di affari per decine di miliardi di euro, la criminalità organizzata la fa da padrona e ha iniziato a privilegiare il commercio delle sofisticazioni e contraffazioni reputandolo più redditizio addirittura di quello della droga e di quello delle armi, oltre che molto meno rischioso.

All’estero, poi, confidando sulla naturale ignoranza che gli stranieri possono avere delle produzioni italiane, viene venduto di tutto, anche solo semplicemente storpiando il nome del prodotto.

Classico l’esempio del “parmesan” che, nonostante l’imitazione servile del marchio, del nostro glorioso formaggio nazionale non ha neanche la forma.

Il danno per la nostra economia è enorme e l’occupazione è quella che ne subisce i contraccolpi maggiori.

Il dato allarmante arriva, ulteriormente, dalla falsificazione dei farmaci.

Alcune volte vengono immessi sul mercato prodotti farmaceutici rubati negli ospedali, altre sono frutto di fabbricazioni para-artigianali in laboratori gestiti da mafia, camorra e ‘ndrangheta.

Nel primo caso non si ha alcuna garanzia sulla conservazione (spesso i farmaci necessitano di un microclima adeguato), nell’altro si tratta di prodotti confezionati non si sa bene con cosa.

Il danno alla salute può avere esiti mortali.

Nella stragrande maggioranza delle volte è via internet che avvengono le transazioni commerciali, con indicazioni approssimative dell’origine e con offerte a prezzi ridicoli.

Il volume d’affari è enorme, ed è un mercato che per la criminalità vale 100  volte di più di qualsiasi altro prodotto.

Prima di pensare ad un acquisto  è necessario prestare la dovuta attenzione, valutando prezzo, origine, qualità e ogni altro elemento utile ad un corretto affare.

Tenere sempre bene a mente che l’industria del falso è gestita dalla criminalità e che acquistare prodotti non originali configura reato e mette a rischio la propria incolumità.

Ovvio che non tutto si può prevenire o evitare, ma la vigilanza sovente funge da deterrente.

Iniziamo con il pretendere, quelle volte che -per fortuna- raramente capitano, che se al ristorante o al bar chiediamo una bibita di una certa marca ci venga somministrata proprio quella e non altra.

E, al ristorante la bottiglia del vino o dell’acqua vengano aperte o stappate davanti a noi, così almeno siamo sicuri di non bere i rimasugli degli altri.