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Gli abitanti del paesino sul lago

Scritto da Massimo Palazzo il 1 luglio 2014
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Il paesino sul lago a ridosso del confine svizzero già citato in altri miei racconti, oltre che paesaggisticamente carino era abitato da una concentrazione di   personaggi strani  e degni di nota che  voglio ricordare e raccontare.
Il primo posto spetta di diritto  al padre di un amico che faceva un lavoro insolito per molti, non per lui e per quella zona in quel periodo, il contrabbandiere.  Abitava nel  paese ancora  più vicino al confine svizzero, con la  famiglia ed era conosciuto anche a livello nazionale, per un articolo  pubblicato con  servizio fotografico e intervista su Gente,  un giornale  allora molto seguito. A quei tempi chi abitava in tutto l’alto varesotto faceva il contrabbandiere di sigarette,  la maggior parte delle famiglie  arrotondavano le entrate con questo lavoro svolto quasi sempre nelle ore notturne. La frontiera nonostante fosse presidiata dalla guardie svizzere era un colabrodo, ne prendevano uno, ne passavano  cento, si scherzava spesso sul fatto che le donne fossero sempre sole, gli uomini non si davano mai appuntamenti al bar , si trovavano direttamente al confine .  Sotto la   guida    del padre del mio amico lavoravano la maggior parte delle persone che svolgevano questo dopolavoro, pagati bene e puntualmente. Lui era  un uomo distinto, poco appariscente, sempre in ordine e ben vestito, aveva iniziato come tutti ma in poco tempo era diventato il numero uno. La maggior parte del contrabbando di frontiera era sotto la sua supervisione, non c’era pacchetto di sigarette dalla Svizzera verso l’Italia che non  passasse dalle sue mani.  Non si dava  importanza nonostante  la guardia del corpo , autista, e un infinito numero di persone che lavoravano per lui. Viveva con la famiglia  in una villa enorme   con ogni comodità e la servitù sempre presente, noi la frequentavamo spesso, con il figlio e gli amici organizzavamo feste , passavamo i fine settimana , le vacanze , ci divertivamo molto . Una domenica d’estate  ,  restammo  a pranzo  e  il resto della giornata in piscina. Mi fu chiesto di dare una mano  per  prendere le bottiglie delle bibite, passai in casa, al centro del salotto c’era un tavolo molto grande quella volta stranamente coperto completamente da un lenzuolo bianco.  Passandoci a fianco incuriosito lo alzai e rimasi senza parole. Era interamente coperto da mazzi di banconote da diecimila lire, quelle grosse, rosse. Non avevo mai visto tale quantità di denaro, il mio amico si accorse di questo mio stupore e mi disse che era giorno di paga. Tutta la famiglia lavorava in quel settore ad eccezione del mio amico che  non ha mai fumato e  toccato un pacchetto di sigarette. Lui usufruiva di tutti i vantaggi di questi guadagni e noi di conseguenza,  feste in villa, piscina, motoscafo sul lago, macchine grosse, oltre alla sua simpatia. Ci frequentavamo spesso, il  periodo estivo era quello dove ci si divertiva di più. Il padre lo si vedeva poco, era impegnato nei suoi affari quando c’era era sempre in compagnia  di una  guardia  del corpo  che chiamavano  Negus . Faceva paura solo a vederlo, una montagna umana,  faticava ad entrare in macchina da quanto grosso era , le mani sembravano badili, non l ‘ ho mai sentito parlare una volta, era la sua ombra, sempre vestito di scuro occhiali compresi, sigaretta perennemente accesa, secondo me anche di notte d ‘ altronde, non le pagava e nemmeno doveva andare a prenderle dal tabaccaio. Il figlio  maggiore  era l’ esecutore degli ordini del padre che sviluppava tutti gli affari, la sorella, bellissima ragazza, non  ho mai capito che ruolo occupasse, di sicuro faceva bella vita, era sposata e il marito si era subito integrato nel lavoro  della famiglia, forse troppo perché rispetto agli altri era una testa calda e qualche volta ne pagava le conseguenze. Tutti lavoravano per loro, uomini , donne, giovani e vecchi,  dubito che qualcuno non abbia portato le bricolle ( i sacchi pieni di stecche di sigarette) attraverso il confine , che non avesse cantina , solaio , o garage pieni di questa merce. Con il passare degli anni il padre passò tutti gli affari al figlio maggiore, non erano più le sigarette il loro principale business, i soldi li avevano fatti e li avevano investiti bene. Un giorno il vecchio comperò un locale in centro al paese, a venti metri dalla dogana, lo trasformò in bar ristorante, pizzeria , tabaccheria, albergo, sala giochi, il più frequentato, il più bello. Faceva finta di lavorarci  la famiglia, lui si divertiva. Con noi era simpatico e generoso, l’anno che feci il militare un fine settimana tornai a casa in licenza e passai al bar. Lo incontrai e mi fece presente che erano tutti al Grand Hotel a Riccione. Mi disse che avrebbe avuto lui stesso piacere  raggiungerli per una settimana ma, non se la sentiva  di guidare. Bevemmo un caffè insieme poi mi chiese di andare  a prendere la Ferrari in garage che saremmo andati anche noi  a Riccione. Non dovevo preoccuparmi  per i bagagli e  i soldi avremmo comperato tutto una volta arrivati e naturalmente avrebbe pagato lui. Ci rimasi malissimo, dovetti dire di no perchè avevo una licenza di 48 ore,in un attimo sfumà il viaggio alla guida della rossa, il Grand Hotel e tutti i regali. Rientrai in caserma due giorni dopo incazzatissimo per l’occasione persa, mi ricapitò più avanti di guidare quella meravigliosa macchina ma per tragitti brevi. Lui era sempre brillante con tutti , noi non pagavamo mai nessuna consumazione al bar, se ci chiedeva qualche piacere, elargiva delle belle mance. Io e il mio amico inseparabile ci divertivamo molto in compagnia di questi amici, alcuni più grandi di noi altri con  esperienze un po’ fuori dalla norma. Uno di questi si chiamava Tiziano. Lavorava nella ditta del paese che produceva  tessuti per i migliori sarti del mondo,  era l’addetto al controllo  della qualità. Sempre in giacca e cravatta, raffinato, oltre al controllo dei tessuti teneva i rapporti con i clienti poichè aveva un ottima dialettica e conosceva molto bene i prodotti. Era quello che in paese veniva reputato intelligente, aveva anche successo con il gentil sesso, donne più grandi di lui, quasi sempre svizzere che  esibiva in paese e se ci riusciva spremeva. Il problema era che in Svizzera non poteva entrare, aveva  l’espulsione ed era  considerato  ospite indesiderato.  Come tutti in quel paese aveva il vizio del gioco,  per recarsi a Campione d’Italia, territorio Italiano al casinò, prendeva il battello, unico mezzo per lui per arrivarci a  giocare e, a caccia di donne. Noi non ci chiedemmo mai il perchè di questa espulsione, finchè un giorno andammo a casa sua per un aperitivo. Era la prima volta, in bella mostra in salotto c’era un veliero costruito interamente con fiammiferi di legno minerva. Era veramente bello, un capolavoro, chiesi dove l’aveva comperato, mi rispose che lo aveva fatto  in collegio. Ingenuamente chiesi in quale collegio era stato e lui mi rispose “La Stampa”, la casa circondariale di Lugano. Capii tutto, non domandai più niente, fu lui che mi spiegò il perché del suo soggiorno in quel posto, della costruzione del veliero e dell’espulsione dalla Svizzera. Per quanto riguarda la costruzione del veliero, fu il suo vicino di cella a trasmettergli quella passione ed ad insegnargli  le tecniche di costruzione. Lo stesso vicino ne costruì uno più grosso del suo non rendendosi conto delle dimensioni, una volta finita di scontare la pena questo non passò più dalla porta. Tiziano oltre al lavoro e alle donne era uno sfegatato giocatore di roulette, mazzetto notturno sui cofani, poker, cavalli, dadi e tutto quello dove era possibile scommettere. Il virus del gioco in paese si era oramai diffuso, tutti ne erano contagiati ma quello che li superava tutti era Emanuele, Lele per tutti, un personaggio da televisione sia per l’aspetto che per i comportamenti. Lui era il gioco non il giocatore, non era del paese, abitava lontano  ma qui aveva trovato il paradiso e lo frequentava spesso.  Contagioso per entusiasmo e passione, non sarebbe nemmeno andato a dormire pur di giocare sempre a soldi. In ferie con qualsiasi fidanzata avesse andava solo in località con casinò, frequentava  bar e amici che erano come lui in più faceva il clandestino all’ ippodromo. Clandestino si chiamava colui che accettava le puntate non ufficiali, lui dava le quote sempre superiori, con il pacco dei soldi in mano chiamava i clienti , un cinema vederlo all’opera. Una vita la sua, sempre sull’orlo di un precipizio a causa di  questo vizio per un ragazzo intelligente che mandava avanti una ditta di famiglia, non ho più saputo se, nella giusta direzione, o verso la fine. C’era anche un hotel in questo paesino che seppur carino, la vicinanza della Svizzera e la presenza del lago, non aveva particolari attrazioni turistiche. L’hotel  era all’ interno del paese, non si vedeva il lago, ad eccezione di qualche vecchio nei mesi estivi non si fermava mai nessuno. Il padre era sardo la moglie del paese, da anni lo gestivano con i due figli simpaticissimi e in linea con le stranezza del paese. Il maggiore aveva la passione delle Porsche che modificava, allargava e truccava. Fidanzato con una bella ragazza del paese che passava la maggior parte del tempo ad aspettarlo, lavorava poco in albergo, scommetteva su qualsiasi cosa, contrabbandava tutto e frequentava molto Lugano dove esibendo una macchina del genere non passava inosservato e aveva molto successo. Il  minore non era rimasto immune dalla malattia ma era quello che aveva per sua fortuna degli anticorpi molto forti . Era il contabile dell’ Hotel,  non si e’ mai saputo di quali conti, qualche rara volta serviva al bar o al ristorante, teneva i contatti con i pochi clienti, sostanzialmente  curava i propri affari, i genitori facevano il resto. Era generoso, con noi amici in modo particolare, spaghettate notturne, cene,  camere sempre gratis, l’hotel era sempre l’ultima tappa. Gestiva in conto proprio tanti traffici ma la sua specialità  erano i Rolex.  Se per un qualsiasi  modello ci voleva un anno di attesa o più bastava rivolgersi a lui e in pochi giorni l’avevi,  moto, macchine, qualsiasi cosa bastava chiedere. Il  suo comportamento e portamento era da  ricco, di classe, sempre elegantissimo, gentile, educato. Nel paese dei balocchi non poteva di certo mancare anche  il taxista. Aveva una Fiat 131 parcheggiata  nello spazio a lui dedicato davanti al bar sport. Non aveva l’insegna  sopra al tetto  e nemmeno il tassametro, non era ufficiale , aveva i suoi clienti  che lo chiamavano  al bar, il suo ufficio dove, se non riceveva chiamate restava a giocare a carte dalla mattina a notte inoltrata. Si chiamava Gino, sulla cinquantina,  basso e grassoccio, sempre ben vestito e pulito, fumava la sigaretta con il bocchino, capelli impomatati con la brillantina Linetti che lasciava la scia del profumo, camicia aperta con catena e medaglione, orologio d’oro, anelli e  unghia del mignolo lunga. Viveva solo, era stato sposato molti anni prima, solo il tempo della cerimonia e  del pranzo, una volta arrivati in camera la sposa era scappata e non si era più vista. I pettegolezzi del paese riguardavano lo spavento della poverina una volta visto l’arnese. Non si sposò  più  e nemmeno fu mai visto con nessuna donna.  Dopo la gestione della famiglia di Esther il bar venne gestito da un’ altra  famiglia questa volta calabrese. Erano arrivati in tre, marito e moglie con mamma di lei , saltuariamente si aggiungevano  parenti. La gestione era tutta sulle spalle della moglie e della mamma  poiché lui, che aveva 28 anni, usufruiva di una pensione di invalidità che aggiornava ogni anno scendendo al paesello dal medico di fiducia. Era simpaticissimo, generoso  sportivo e sano come un pesce. Dopo di loro il bar venne ritirato da Alfredo un ragazzo del paese.  Era più giovane di noi, faceva parte della generazione seguente. Come prima attività aveva scelto  di provare come  odontotecnico ma, si era accorto presto di non avere  pazienza  e voglia per imparare bene il lavoro. La sua vera passione, trasmessa dal proprietario dell’albergo erano le Porsche. Loro due  avevano un trucco per avere queste macchine. Le comperavano incidentate da demolizione, oppure vecchie con il motore wolkswagen che poi buttavano. Le  portavano dal loro uomo di fiducia che aveva una carrozzeria che non poteva non  rimanere in linea con le stranezze della zona e ritornavano nuove e con motori più potenti. Il carrozziere in questione era specializzato in taroccamenti, macchine rinforzate per i contrabbandieri e tutto quello che va oltre la fantasia . Approfittando della loro passione si era specializzato anche con le Porsche. I locali e gli attrezzi della pseudo carrozzeria erano tutto un programma. L’ attività era praticamente all’aperto, gli unici due locali, il forno per la verniciatura e l’altra per smontare, erano stati ricavati dalla stalla e pollaio ancora in esercizio. Se pioveva non si lavorava, l’ufficio non esisteva, operai nemmeno, fatture e ricevute era meglio non chiederle,  gli dava una mano a volte il vecchio padre in pensione che aveva sempre fatto il contadino. Non si capiva come facesse a lavorare in una simile situazione, un disordine incredibile, attrezzi sparsi ovunque. Gli orari di lavoro e l’organizzazione non esistevano, se se la sentiva lavorava altrimenti faceva festa e se qualcuno si lamentava perchè la macchina non era pronta faceva meglio a cambiare posto. Quando si metteva di buona lena  e portava a termine  i lavori, non si poteva dire niente perchè faceva dei capolavori, gli ho visto fare macchine stupende secondo il parere di molti era un genio. Per Alfredo la sopracitata vettura era l’ideale per bazzicare il centro città e le scuole per cuccare le sbarbatelle nonostante  fosse  invidiato da tutto il paese perchè  fidanzato con una bellissima ragazza. Sembrava un giullare, simpatico, scherzoso, discorsi e ragionamenti non ne faceva andava a istinto, sotto la sua gestione il bar sport divenne un punto di ritrovo di ragazzini. Per non smentire la tradizione del paese  installò anche  le macchinette giusto per  incrementare il vizio. Proseguiamo con Flavio:  il figlio del primo proprietario del bar sport,  nato e cresciuto tra quelle mura di conseguenza  virusizzato, infatti scommetteva su tutto. Era considerato il bello del paese, quando cominciò a seguire i consigli di Tiziano e  imparò a vestirsi aumentò di molto il suo fascino. Faceva colpo sulle donne che facevano di tutto per conquistarlo. Lo corteggiavano, soprattutto quelle non giovani, a volte delle bellezze infinite, lui lasciava fare, stava al gioco, dava l’impressione alla cacciatrice di avere per le mani la preda  poi, per fortuna non tutte, le lasciava con l’ amaro in bocca. Un giorno decise di partire per l’Inghilterra per lavorare e imparare la lingua. Dopo un periodo di apprendistato trovò lavoro in un grande albergo dove fece una discreta carriera, con le donne  aveva ancora più successo che in Italia. Ritornò a casa dopo parecchi anni, si sposò e diventò papà, nessuno commentò  il fatto perchè sembrava un sogno. Il signor moncherino: anziano,  milanese, aveva la casa vacanza nel paesino  che usava nei momenti liberi  e  il mese di Agosto. Era stato da giovane  un pilota di macchine da corsa con un discreto palmares , in seguito ad  un incidente grave e la perdita di una mano aveva interrotto la carriera. Era rimasto nel settore, si occupava  di tutta la logistica precedente i gran premi di formula uno per una grande scuderia . Lo chiamavano il moncherino per via della menomazione , fumava come un turco e tutto questo accanimento con il tabacco lo aveva consumato , era  vivace ma faceva impressione da quanto fosse rinsecchito . Giocava a soldi raramente, si sentiva piu’ attratto dal lago, aveva acquistato un motoscafo e si divertiva molto . La prima volta che andai in macchina con lui sfiorai l’infarto, tirava come un pazzo , guidava molto bene lungo la strada stretta che costeggia il lago ma quello che destava impressione era che lo faceva con il moncherino appoggiato dentro l’unica razza  del volante e  io ,ad ogni curva mi vedevo dentro il lago. Ogni estate, o durante qualche lungo ponte, arrivava con automobili incredibili, una volta con una  Rolls Royce dorata che doveva consegnare a Monza al pilota campione del mondo Alan Jones .  Un giorno  stavamo  preparando  il  suo motoscafo per uscire , uno di noi era a bordo mentre lui stava sistemando le corde sul pontile. Era talmente indaffarato a sciogliere i nodi delle stesse  e a sistemarle che ne mise  una in bocca . In quel momento passo’ un altra imbarcazione il motoscafo si sposto’ di colpo e lui resto completamente senza dentiera che cadde in acqua. Non ce la facemmo a trattenerci dal ridere, lui  resto’ sul molo impietrito , senza dentiera , con il moncherino, pantaloni corti, calze lunghe, sandali , da fotografia. La cercammo in acqua la dentiera ma non la trovammo , non uscimmo in motoscafo e lui torno’ subito a Milano per rifarsela  .Edmondo : piccolo , brutto , di una simpatia sconvolgente. Abruzzese , lavorava come il padre alla Sirti, la compagnia che preparava il terreno per le linee telefoniche di Telecom. Abitava nella prima casa di fianco al bar sport con mamma papa’ e due sorelle. Il padre non frequentava il bar e nemmeno il paese , la mamma era casalinga , se non per la spesa o qualche rara gita domenicale con il marito   usciva di casa raramente.  Le sorelle lavoravano in Svizzera , se ne andavano la mattina presto e tornavano la sera, i fine settimana uscivano poco. La maggiore era carina, la piccola  bruttina e si intuiva  immediatamente la sua presenza dall’odore di sudore . La si chiamava ascella pezzata,  il suo era  un problema fisico  non di pulizia,   riguardo a questo aveva molti complessi . Edmondo soffriva molto per la bassa statura, sapeva di essere brutto, era  timido , nella sua testa c’era posto solo per  le donne solo che la  timidezza e la presenza erano un grande ostacolo . Quanto prendeva lo stipendio era festa, con la Fiat 126 bianca ( sembrava fatta su misura per lui )  andava a  prostitute cosi restava  tranquillo. Frequentava il bar e gli amici , non era particolarmente attratto dal gioco , solo qualche volta , i soldi gli servivano per altri scopi. Molto attaccato alla famiglia, quando il padre ando’ in pensione ritorno’ nel piccolo paesino in Abruzzo dove era nato e, da come mi raccontava sarebbe stata la morte civile. Una volta mi invito’ a casa sua a pranzo . Sono d ‘accordo che l’ospitalita’ meridionale non ha eguali ma quella volta fu’ memorabile. Il padre era contentissimo che avessi accettato il loro invito, si scolo’  un bottiglione da due litri di vino rosso, la madre fece del suo meglio ai fornelli ,  inizio’ con un piatto di pasta   annegato nel sugo. Le dissi che ne volevo poca ma lei riempi talmente tanto il piatto che scomparve sotto la quantita’ versata. Il padre dalla parte opposta del tavolo mi diceva ad ogni portata ” Pala’ mangia il sacco vuoto non sta’ in piedi, non fare complimenti” non essere timido , sei a casa tua  mangia . Non ricordo in vita mia una simile abbuffata, piu’ io dicevo di no e loro versavano, i prodotti tipici da assaggiare non finivano mai,   ero quasi allo svenimento non respiravo piu’ , lui continuava il ritornello, e la moglie eseguiva gli ordini . Mi invitarono un altra volta, per fortuna avevo un impegno.  Edmondo era una macchietta e ne combinava di tutti i colori ma quella che capito’ al lavoro fu’ memorabile. La ditta lo aveva mandato a riparare dei guasti  nei sotterranei di un grosso edificio in centro citta’ . Il sotterraneo   girava attorno a tutto il perimetro  del  palazzo , aveva una grata come soffitto, sostanzialmente lo stesso era il marciapiede   dove c’era un grosso passaggio di persone che si recavano nei numerosi negozi ed uffici.  Lui era particolarmente contento di andare a lavorare in quel posto perche’ da quella posizione poteva vedere le gambe delle donne che ci camminavano sopra. Un giorno con un suo collega ne videro una che non portava le mutande . Non capirono piu’ niente, il collega era in cima ad una scala molto  alta ed Edmondo la spingeva. Comincio’ a correre per   continuare a vedere lo spettacolo invitato ed incitato  dal collega stesso . La signorina in questione andava di fretta e loro anche, solo che non si ricordarono piu’ della fine del corridoio .Si schiantarono, la scala si ruppe, il collega di Edmondo si massacro’ il viso e cadde dalla scala,  lui si fece male ovunque ed era molto dolorante , dovettero ricorrere alle cure ospedaliere e, non poterono nemmeno mentire perche’ era palesemente un incidente strano non giustificabile per il lavoro che stavano facendo. Quando lo vedemmo arrivare completamente incerottato e fasciato al bar  e racconto’ tutto alla sua maniera prendendosi in giro, qualcuno, oltre a lui sfioro’ l’infarto dal ridere.  Dante: vicino di casa di Edmondo  era chiamato valvola .  Quando era giovanissimo era stato operato per un edema celebrale e dichiarato invalido al cento per cento. Leggere, guidare, uscire di casa, lavorare e divertirsi  erano cose  a lui vietate , il suo fisico non glielo permetteva , si stancava subito, era un continuo dentro e fuori dagli ospedali . Gli avevano messo  una valvola in testa che nei momenti di difficolta’ doveva azionare manualmente , questa schiacciandola diminuiva la presenza in eccesso di sangue tramite una cannula sottocutanea . Partecipava molto poco alle attivita’ del paese, era   piacevole da frequentare ma viveva  una vita d’inferno. Non meno strano di valvola era Emilio: era  piu’ giovane di me,lo si vedeva poco , usciva raramente   perche’ si vergognava. La sua vergogna era dovuta al fatto che chiunque, dopo cinque minuti che lo aveva di fronte rimaneva meravigliato  dal suo modo di fare. Aveva una malattia rara che non riuscivano a curare, prurito molto forte diffuso  in tutto il corpo .  A causa di questo fastidio passo’ la sua breve esistenza a grattarsi, in alcune parti del corpo  si squamava da tanto era costretto a farlo  , i genitori lo portarono in tutti gli ospedali , dai migliori  specialisti ma, nonostante i continui esperimenti e cure  non trovarono nessun rimedio. Un’estate durante una festa del paese conoscemmo insieme una ragazza di qualche anno piu’ grande di noi che aveva  gia’ la macchina. Era di Milano ma si era trasferita a Varese per lavoro.  Un sabato sera decidemmo che l’ indomani mattina saremmo andati in una valle svizzera a prendere il sole e a mangiare.  Pianificammo tutto a tavolino, eravamo  insieme entusiasti di questo programma  poi,  non so’ spiegare per quale motivo io, poco prima di augurarci la buona notte e rincasare cambiai idea e non ci fu’ niente da fare da parte loro per convincermi. Ci mettemmo d’accordo per rivederci la sera seguente. La mattina  Laura passò a prendere Emilio, poco dopo la loro partenza   all’uscita del paese una macchina proveniente in senso opposto  a velocità molto sostenuta,  guidata da un ragazzo  con  il foglio rosa , perse il controllo e li centrò frontalmente. Emilio ebbe solo il tempo di dire che male, che male e spirò, Laura venne estratta a fatica dai pompieri in condizioni critiche e, ce ne mise di tempo per cercare di guarire non in maniera definitiva. Venni a  sapere dell’incidente la sera quando andai al bar sport ad aspettarli per farmi raccontare l’esito della giornata . Rimasi di sasso e provai un dispiacere enorme per il povero e sfortunato Emilio . Non potei fare a meno di pensare  che se fossi andato, il posto di fianco al guidatore, essendo io alto sarebbe stato mio .  Provammo tutti un grosso dispiacere per Emilio, lo si ricordava spesso nelle serate fuori dal bar sport ed era Edmondo , quello che lo frequentava maggiormente a raccontare fatti accaduti in sua presenza. Uscivano qualche volta insieme Edmondo, Emilio e Dante a volte si aggregava Tano altro personaggio che non si poteva non notare per via del viso rovinato da un acne molto accentuata. Lui descriveva il trio,  o il quartetto , come uno brutto da far paura , uno svalvolato , uno che si grattava, uno con la peste, tutti sulla fiat 126 bianca come potevano passare inosservati e attirare il gentil sesso? Un giorno Edmondo era seduto su una panchina a guardare il lago quando si fermò una macchina a chiedere un informazione. Lui vedendo una donna si avvicinò al finestrino , la riconobbe era Donatella Rettore . Aveva una minigonna vertiginosa evedendo le gambe cominciò a non capire più niente e a sudare. Lei chiese l’informazione e lui le disse: mamma mia che razza di gnocca che sei Donatella, io non so più nemmeno chi sono di fronte a delle gambe del genere, sei splendida splendente, cantandole il ritornello della canzone, lei rideva, lui era super eccitato  quando lo raccontava colorava il fatto con frasi non propriamente da gentiluomo.  Diede l’ indicazione a Donatella , ne ricavò l’autografo con dedica. Al paesello quasi tutti i fine settimane di luglio, agosto e settembre organizzavano una festa. C’era una cucina dove i vari organizzatori si alternavano nella preparazione dei pasti , molti tavolini con panche e la balera in cemento in riva al lago dove dalle 21 in poi le orchestre suonavano e la gente ballava il liscio . Ad eccezione di qualcuno di noi che aveva frequentato la scuola quando era diventato  maggiorenne nessuno era capace di questi balli , eravamo solo spettatori poiché’ arrivava molta gente da tutti i paesi vicini e anche dalla Svizzera. Il miglior ballerino non era di questo paese ma di uno vicino in collina talmente piccolo che d’ inverno gli abitanti se la memoria non mi inganna erano  solo cinque. Era il nostro idolo ed eravamo noi a pagargli da bere e a dirgli chi doveva far ballare. Faceva girare le ballerine come trottole  e allora noi gli mostravano quelle che doveva invitare tutte  con le gonne. Anche senza le nostre indicazioni era il più ricercato  da signore e signorine che volevano ballare bene e mettere in mostra i gioielli e noi lo ringrazieremo in eterno per gli spettacoli visti. Lo spazzino:  girava per il paese con carriola, badile e scopa, era  una montagna umana molto simile al pugile Carnera, di carattere buonissimo, non aveva macchina, motorino, bicicletta, parlava poco , non frequentava nessuno , ascoltava i discorsi dei ragazzi giovani fuori dal bar sport. Unico a non avere il vizio del gioco e rispetto agli altri  a non  considerare la propria casa  il bar sport,  ma aveva un segreto. Una domenica al mese partiva di mattina  presto tutto ben vestito con la corriera fino alla stazione dei treni con destinazione Milano. Una volta arrivato cercava una prostituta che accettasse  di andare a pranzo, a passeggio, al cinema mano nella mano  come due veri  innamorati. Nessuno sapeva il perchè di questa sua trasferta pensavano tutti ad una visita parenti e, nemmeno erano incuriositi  perchè lo spazzino non parlava mai con nessuno. La frequentazione con la donnina di turno continuava fino a quando non se ne approfittava della bontà dello stesso che la voleva per lui una domenica al mese , la pensava,  le telefonava,  le faceva i regali e la considerava la sua fidanzata. Nel suo immaginario doveva essere ed andare cosi  e se non subentravano fattori esterni questo lo rendeva contento e felice , lo aiutava ad andare avanti. Non aveva nessun altro vizio lavorava sempre e solo  per aspettare quella domenica. Il giocatore di dadi Mario:  Lavorava per un impresa svizzera come idraulico, terminato il lavoro oltre confine  continuava in proprio. Aveva un ottimo stipendio che permetteva alla famiglia un buon tenore di vita, gli extra  servivano per soddisfare il vizio del gioco dentro e fuori dal bar sport, a Campione d’Italia ma sopratutto a Monte Carlo per la sua grande passione, i dadi. Non avesse avuto questo vizio e tanta sfortuna sarebbe molto ricco purtroppo era ammalato per il gioco . Come lo spazzino partiva una volta al mese per Milano, lui faceva altrettanto per il Loewe a Monte Carlo dove restava inchiodato al tavolo da gioco senza vedere altro e dove  portava tutti i suoi guadagni. Nel paese dei balocchi sulla riva del lago abitava anche gente normale. Una di queste era Consuelo:    figlia  del proprietario dell’unico negozio di alimentari del paese, una ragazza splendida e seria, molto più giovane di me, per sua fortuna non frequentava il paese e studiava in collegio. Seppur proveniente da una famiglia molto modesta aveva un ‘educazione ed una raffinatezza di un altro livello. Avevo conosciuto i suoi genitori quando  erano diventati miei clienti nei primi anni della mia professione di rappresentante. Il padre era grande, grosso e burbero, professione  macellaio , pertanto gli ammazza animali non mi sono mai stati particolarmente simpatici, per lui facevo un eccezione perché tutto sommato  era una brava persona. La mamma  dolcissima e buona compensava in negozio i modi a volte  bruschi del marito. Con me sono sempre stati gentilissimi ed  è in negozio che conobbi Consuelo. Gli studi e la serietà le permisero di fare un ottima carriera, sposarsi e trovare un buon posto di lavoro nell’ospedale di Lugano. Sono stato molto contento per la sua carriera, se l’e’ meritata,  l’aver frequentato  poco il paese e’ stata la sua salvezza. Al paesello non ci torno da molti, molti anni, ho promesso a me stesso che a breve lo farò, alcune  persone forse  non ci saranno più, sono curioso di sapere se il virus del gioco sarà stato debellato, conoscere  il nuovo gestore del bar sport e nuove storie.