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Il ritorno alla lira

Scritto da Antonio Masullo il 1 maggio 2014
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Soltanto l’anno scorso l’argomento veniva bisbigliato, quasi si avesse il timore di essere ascoltati, poi è diventato di dominio pubblico e su di esso si cimentano giornalmente politici, economisti e tuttologi  ciascuno con la propria analisi e la relative soluzioni, stiamo parlando del ritorno alla lira.

Chi elenca i pro dell’uscita dall’euro generalmente ne sottovaluta le pesanti controindicazioni, mentre coloro che rigettano sdegnosamente questa ipotesi, ritenendola impraticabile, enfatizzano i vantaggi che il nostro paese ha goduto grazie all’euro ridimensionando le responsabilità politiche dei nostri governanti che non difesero adeguatamente gli interessi nazionali nell’unione monetaria che appariva, già agli inizi, quantomeno azzardata ( si vedano le dichiarazioni di alcuni famosi economisti al riguardo…).

Andiamo al pratico : stampare delle nuove banconote, modificare i sistemi informatici delle banche, dei bancomat, delle società, della pubblica amministrazione eccetera è roba da sudori freddi!

Non dimentichiamo che la conversione delle valute europee nell’euro è durata 3 anni, dal 1999 al 2002; nel frattempo la tecnologia ha fatto dei progressi e nella materia la nostra esperienza è certamente migliorata, ma il processo di transizione inverso sarebbe comunque complesso e molto costoso.

Tutte le attività finanziarie ( titoli o liquidità sui conti) dovrebbero essere ridenominate in lire secondo il tasso di cambio stabilito dal governo. Le banconote che abbiamo in tasca no, per quelle non è possibile e quindi conserverebbero il loro valore in euro. Pertanto ognuno cercherebbe di ritirare quanto più cash è possibile; le file ai bancomat, nelle banche e negli uffici postali ben presto provocherebbero l’esaurimento delle scorte di banconote con le conseguenze sull’ordine pubblico che possono essere facilmente immaginate, senza considerare gli effetti catastrofici sulla stabilità dell’intero sistema finanziario e il probabile fallimento di alcune banche…..

Non la scamperebbero nemmeno coloro che posseggono titoli emessi da altri stati ( per esempio i bund tedeschi) o hanno attività legittimamente depositate presso banche estere, in quanto il governo, per ovvie ragioni di equità, dovrebbe imporre immediatamente un’imposta patrimoniale su queste attività finanziarie.

Tutto questo, e non è tutto ovviamente, accadrebbe nel caso, quello più plausibile, di una decisione fulminea (durante la notte prima di un week end); ben più complessa risulterebbe la successione degli eventi e delle relative conseguenze economiche e sociali nel caso di un referendum sull’euro. Il disordine e l’incertezza esploderebbero già all’atto della decisione di indire il referendum; incominceremmo a subire l’estrema volatilità dei mercati prima ancora di decidere in un senso o nell’altro !

Ma poi, a parte tutte le previsioni su quello che potrebbe accadere, possiamo ritenere di avere un governo e una classe dirigente “con le palle” cioè in grado di affrontare efficacemente ed eroicamente un simile scenario???

L’inefficienza della pubblica amministrazione italiana, certificata periodicamente nelle varie classifiche internazionali, già oggi rende problematica la gestione dell’ordinario, figuriamoci la gestione di eventi eccezionali! La confusione sarebbe infernale; il “si salvi chi può” imperverserebbe ovunque, aggravato ovviamente dall’indole italica….

E finora non abbiamo trattato l’aspetto principale della uscita dall’euro : di quanto dovrebbe essere svalutata la nostra liretta? Molti si sono affezionati al numero magico 30%, ma non è detto, non c’è una regola precisa, potrebbe essere molto di più come il 50% o anche di meno. Non si tratta di calcoli ingegneristici per la determinazione della pressione sopportabile da una trave! Il mercato finanziario è fatto soprattutto di reazioni emotive e che, come hanno dimostrato i fatti non così lontani della crisi finanziaria globale post Lehman Brothers, possono essere totalmente imprevedibili.

E’ ovvio che le nostre esportazioni risulterebbero immediatamente più, ma le aziende per produrre hanno bisogno di credito ( …il sistema bancario sarebbe ancora in piedi?…) e di materie prime e semilavorati importati che costerebbero molto di più perché bisogna pagarli in valuta pregiata : dollari ed euro rivalutati!

Quindi, a meno di una implosione generalizzata del sistema produttivo, l’attività dei settori rivolti all’export  aumenterebbe e con essa l’occupazione; anche il turismo avrebbe una forte ripresa grazie all’aumento degli arrivi di turisti stranieri che troverebbero i nostri prezzi molto più convenienti rispetto al passato (ordine pubblico permettendo….).

Ma l’inflazione avrebbe senz’altro un’accelerazione e quindi il potere d’acquisto di salari e pensioni si ridurrebbe; la domanda per consumi diminuirebbe e tutti i settori ad essa collegati patirebbero difficoltà con effetti immediati sugli investimenti e sulla stessa occupazione.  Insomma esporteremmo di più, ma l’altra metà dell’economia soffrirebbe. Il risultato complessivo potrà essere positivo o negativo? Chi può affermarlo oggi???

Se possiedo una casa la valorizzazione in lire potrebbe farmi illudere di averci guadagnato ( effetto figurativo dell’aumento della ricchezza…), ma alla fine il prezzo lo fa sempre il mercato e bisognerà verificare in quali condizioni si troverà il mercato immobiliare… Inoltre se ho un mutuo anche quello si rivaluta come le sue rate mensili ( sperando che anche il mio reddito si rivaluti…. cosa molto poco probabile per gli stipendiati e per i pensionati….). Intanto il mio potere d’acquisto sarà peggiorato e quindi spenderò molto di più per comprare gli stessi beni che acquistavo prima con l’euro e pertanto mi resteranno meno soldi per pagare le rate del mutuo!!

E la nostra quasi totale dipendenza dall’estero per il fabbisogno energetico? Le forniture di petrolio e gas sono regolate da contratti pluriennali in dollari e in euro, pagarle in lire ci costerebbe molto di più!

Per finire ( last but not least, come dicono gli anglosassoni…) un accenno al debito pubblico e ai titoli di stato (che rappresentano la madre di tutti i nostri problemi e l’origine dei nostri mali.…); la sua sostenibilità in euro sarebbe impossibile, bisognerebbe pertanto ridenominare tutto in lire, ma quest’operazione potrebbe mettere in discussione la sopravvivenza stessa dell’euro in quanto le perdite per la vastissima platea dei detentori del nostro debito pubblico (  investitori italiani , esteri, privati o società, banche italiane o estere… ) provocherebbero certamente effetti a catena difficilmente controllabili. Una cosa è certa : il rinnovo dei titoli in scadenza (decine di miliardi di euro al mese), operazione cruciale per le finanze pubbliche italiane, diverrebbe molto complicata, per usare un eufemismo…

Non vanno dimenticati i titoli emessi sui mercati internazionali, denominati in euro ma anche in altre valute, dallo stato italiano e anche da società e banche; ebbene in questo caso la ridenominazione in lire  sarebbe impossibile in quanto questi prestiti sono regolati da leggi e giurisdizioni estere e pertanto il loro peso nei bilanci potrebbe risultare insostenibile per alcuni emittenti.

Potremmo prendere in considerazione tanti altri aspetti della vita economica e non solo  per fare il confronto fra prima ( con l’euro) e dopo ( con la liretta), ma alla fine anche chi è a digiuno di finanza e di economia arriva a comprendere che il futuro sarebbe ancora più incerto di quello che ci appare oggi…

La storia ci insegna che un grande problema non si risolve mai con un’unica miracolistica soluzione, ma grazie all’insieme di più iniziative coordinate e focalizzate sull’obiettivo fondamentale : la trasformazione dell’area euro da un’unione meramente monetaria ad un’unione politica!

Sulla bicicletta ci siamo saliti da tempo, bisogna solo continuare a pedalare e chi non pedala affatto o lo fa al disotto delle proprie possibilità ( e questo vale non solo per gli evasori nostrani, ma anche per l’ottuso governo tedesco ) si metta al passo prima che sia troppo tardi per tutti!

P.S.

Il Target2, invigore dal 2007, è il sistema di compensazione dei pagamenti fra le banche commerciali e le rispettive banche centrali dell’area euro. E’ un enorme sistema informatico governato dalla Banca Centrale Europea, del quale fanno parte anche le banche centrali, come la nostra Banca d’Italia, e le banche commerciali, come la nostra Intesa San Paolo…

Ogni pagamento per il regolamento dell’acquisto di merci o servizi che avviene all’interno dell’area euro attraverso le banche viene registrato in Target 2.

Prima dell’euro, per spiegarla in termini semplici, le transazioni commerciali fra diversi paesi determinavano i saldi ( positivi e negativi) delle rispettive bilance commerciali; la valuta di un paese in deficit andava sotto pressione, si svalutava e quindi con il tempo le sue merci divenivano più competitive e il saldo negativo della bilancia commerciale si riduceva gradualmente ponendo fine alle pressioni speculative al ribasso sulla sua moneta.

Con l’euro, invece, utilizzando tutti i paesi la medesima valuta si è reso necessario organizzare un sistema , il Target 2 per l’appunto, che opera come una cassa di compensazione nella quale ai saldi debitori di alcuni paesi ( che hanno importato di più di quanto abbiano esportato) sono speculari ai saldi creditori dei paesi che si trovano nella situazione opposta.

Dagli inizi dell’euro la Germania ha sempre avuto un saldo creditore ( crescente) nei confronti dei paesi del Sud Europa e ha compensato i suoi crediti nel sistema Target mediante l’acquisto dei titoli di stato di questi paesi ( come i nostri BTP). Con l’esplosione della crisi dei debiti pubblici dei paesi del Sud Europa la Germania non solo ha interrotto gli acquisti, ma ha addirittura a ridotto la propria esposizione su questi titoli non ritenuti più affidabili ( da qui l’esplosione dei famosi spread…) Sono così venuti alla luce gli enormi squilibri del Target 2 che rappresentano nient’altro che gli squilibri economici  fra il mega surplus raggiunto dai tedeschi ( oltre 700 mld  di euro, quasi il 40% del PIL!!!) e i saldi debitori dei paesi come l’Italia.

Come si esce da questa situazione? Semplice imponendo ai paesi del Sud Europa l’austerity che significa aumentare l’export o ridurre l’import per rientrare dai saldi debitori del Target2 e consentire in tal modo alla Germania il rientro dei propri crediti ( che già sono diminuiti da 700 a 500 miliardi circa…)

Per assurdo potremmo chiederci : e se le famose riforme strutturali di cui tanto si vanta la Germania fossero state realizzate contemporaneamente anche in Italia e in qualche altro paese europeo a chi avrebbero esportato le imprese tedesche? Se tutti i paesi avessero adottato un modello così sbilanciato sull’export, come quello attuale della Germania,  cosa sarebbe accaduto in Europa?…..

La storia non si fa con i se e con i ma, però una cosa è certa : per la Germania l’euro non deve e non può fallire anche perché c’è ancora recuperare un enorme credito… ergo in realtà abbiamo il coltello dalla parte del manico, ma finora o non ce ne siamo pienamente resi conto o non abbiamo voluto rivendicarlo a sufficienza.

Non si tratta di becero populismo alla  Berlusconi&compari leghisti; abbiamo  comunque il dovere di continuare sulla strada delle riforme per diventare finalmente un paese moderno, ma la realtà delle cose è questa!