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Mizan ti aspetto

Scritto da Giuseppe Sola il 1 gennaio 2014
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Non è una sera particolarmente fredda quando esco da casa per scendere giù in piazza. Per abitare a quasi mille metri mi dico che poi quest’anno dal punto di vista climatico non è stato poi tanto male. Preferisco scendere a piedi, dico scendere, perché abito nella parte alta del paese. L’odore del boschetto e dei fumi dei pochi camini ancora accesi rende inebriante l’aria che respiro.
Dall’alto, le luci del centro storico rendono ancor più bello il paesaggio che ho davanti. Forse un bel posto per vivere e morire mi ha riservato il destino. Morire, appunto, mi chiedo se stiamo iniziando a morire. Non nascono più bambini. Come all’inizio del secolo scorso i ragazzi cercano fortuna altrove. Appunto, fortuna, perché prima di tutto ci vuole anche un po’ di fortuna a trovarlo un lavoro. La mia famiglia è emigrata da generazioni per un lavoro, dall’Europa, alle Americhe. Fino alla fine del mondo come direbbe Francesco. Ma un lavoro c’era ad aspettarli e se non c’era, se lo inventavano. Altri tempi, altre storie. Ora è tutto più difficile. Percorro le stradine silenziose solitarie, dietro le porte chiuse, non ci abita più nessuno, fatico a trovare luci accese nelle case degli altri. Eppure c’era vita vera in queste case, in queste strade dove le giornate non finivano mai, me lo ricordo bene, c’ero anch’io, sento la voce di mia madre che ci chiamava perché era tardi. Facevamo sempre tardi a rientrare.  Dobbiamo fare qualcosa perché queste case tornino a vivere, perché le voci dei bambini possano riempire questo silenzio assordante. Ma da soli non ce la faremo mai. Gli abiti da sposa restano un ricordo lontano per quelle madri che hanno sognato di vederli indosso alle proprie figlie. Diventa evento il matrimonio. Diventa evento una storia d’amore che mette al mondo un figlio.
A qualche centinaio di chilometri dalla nostra noiosa vita quotidiana, storie di speranza, di amore e di paura si consumano sulle nostre coste. Sono ragazze e ragazzi con la pelle più bella della nostra, hanno la vita dentro e la speranza di un mondo diverso.

Mizan mi ha stretto la mano e mi ha chiamato fratello quando gli ho detto che ci sono le terre e le case che nessuno abita più. Mizan ci crede, crede nella terra, crede nel lavoro della terra “tutto parte dalla terra” mi dice con gli occhi che sorridono sempre. Noi abbiamo le terre, noi abbiamo le case. Dobbiamo regalare un sogno a cui aggrapparsi in questa vita per niente facile. Dobbiamo fare in modo che Mizan arrivi a noi.

Mizan ti aspetto.