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La magia nell’ultimo film di Sergio Rubini

Scritto da Teresa Peccerillo il 14 maggio 2013
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La magia è per definizione la scintilla da cui nasce il cinema, quella delle fantasmagorie e delle lanterne magiche che agli inizi del XIX secolo rapiva i bambini; quella che irruppe dagli schermi dei Lumière sotto forma di un treno alla stazione La Ciotat; quella che tra le grandi guerre fece cantare il jazz ad un uomo in bianco e nero; quella che fa sì che le immagini si stacchino dallo schermo per venire a toccare i tuoi occhi in sala. «Il cinema non deve raccontare la realtà, per quello c’è già la televisione. La sua grande opportunità è raccontare il fantastico, la magia» ha confessato Sergio Rubini sul suo ultimo film, Mi Rifaccio Vivo. Non è un’idea inedita, questa, se si scorre la filmografia del regista. La magia nei suoi film ha sempre un sentimento nostalgico, una specie di sguardo sospeso verso la vita. Mi azzarderei a dire che è come se ogni volta che gli spiriti ed i morti tornano in vita nelle pellicole di Sergio Rubini (sto pensando alla bambina ne L’Amore Ritorna, 2004) le immagini, quelle che ci illudono di muoversi da sole sullo schermo, rappresentino una sorta di sguardo malinconico e nostalgico alla vita a cui hanno attinto, quella che se ne sta ferma in sala a contemplarle. Sullo schermo la grande illusione di riprodurre e ridonare una nuova aura alla realtà, in sala l’indegna musa che se ne sta a guardare.

Riflessioni romantiche, le mie, ora che il cinema è ovunque e da nessuna parte allo stesso tempo, perché le parole di un cineasta appassionato come Sergio Rubini hanno dato luogo ad una serie intensa di riflessioni. La sua è una commedia sofisticata ed intelligente che parte da una storia: la competizione tra Biagio Bianchetti (Lillo Petrolo) e Ottone Di Valerio (Neri Marcorè) iniziata da bambini per poi durare tutta la vita. Una competizione a cui nemmeno la morte riesce a dare fine tanto da proporre all’ “involontario suicida” una seconda occasione per riscattarsi dagli sbagli commessi in vita e guadagnarsi in extremis un posto un po’ più comodo nell’Aldilà.

Oltre la vita, un Paradiso Laico presieduto da Karl Marx, con una grande hall in cui sostare in accappatoio in attesa dell’assegnazione di un piano dove trascorrere il resto dell’Eternità. Rubini ironizza sin da subito sulla morte, perché la morte al cinema non può esistere, quindi colloca il luogo dell’Eternità nel transitorio per definizione: l’Albergo. Ma il gioco vita/morte reale/fantastico si fa sempre più intenso e a prendere le redini della scena è Dennis Ruffino (Emilio Solfrizzi), manager di fama mondiale in cui ha deciso di reincarnarsi momentaneamente lo sfortunato Bianchetti. Si sa che il cinema contemporaneo italiano che più fa parlare è quasi esclusivamente commedia; negli ultimi anni abbiamo avuto modo di vivere una sorta di stagione d’oro del genere ed in cui Emilio Solfrizzi è stato più volte presente, come nei fortunati capitoli di Maschi contro Femmine e Femmine contro Maschi e finanche in televisione con la serie Tutti Pazzi per Amore. In Mi Rifaccio Vivo riesce a dare una prova d’attore straordinaria, una vera maschera comica perfettamente in sintonia con l’alter ego Lillo Petrolo ed allo stesso tempo un interprete intenso e vero. Sì, perché anche la più bizzarra delle storie deve avere una certa dose di verosimiglianza, altrimenti dove sta la magia? Solfrizzi ce l’ha, riesce a rendere credibile un personaggio (o, meglio, due personaggi in uno ) paradossalmente misurato mentre gli altri si prodigano in eccessi ai limiti del grottesco. Attorno a lui, infatti, ruotano Neri Marcorè, Margherita Buy, Valentina Cervi e Vanessa Incontrada, queste ultime incarnazioni di femminilità contrapposte: nevrotiche e smaniose le prime due, morbida e leggera l’ultima.

Ma la magia più entusiasmante del film non ha a che fare con le fantasmagorie, questa trascende la metafora e ragiona sulla possibilità di “incontrare il nemico” per abbandonare l’antagonismo e cercare la pace. Biagio Bianchetti letteralmente entra nei panni di un altro, vive in casa del nemico, mangia alla sua tavola, tocca sua moglie (sì, lo so, non è un concetto molto edificante) per ritrovarvi le stesse debolezze che accusava e ripudiava in se stesso. «Se vivessimo nel giardino del nemico la sua erba ci sembrerebbe uguale alla nostra» ha sottolineato Rubini inneggiando alla pacificazione, all’incontro, alla condivisione tra uomini. Non in senso moraleggiante ma egoistico, per non morire logorati dalla lotta. Il cinema può raccontare tutto questo e farlo con ironia proprio come fa in Mi Rifaccio Vivo, che arriva nelle sale il 9 Maggio.