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Cavallo, judo, tiro con l’arco

Scritto da Simonetta Togliani, foto di Robert Marnika il 1 aprile 2013
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Ecco la vita di  Sergio Bisacchi

Cavallo, judo, tiro con l’arco sembrano  mondi molto distanti l’uno dall’altro, eppure Bisacchi li ha saputi integrare perfettamente nella sua vita.

Aveva 15-16 anni quando scopre il mondo del cavallo seguendo la tradizione della famiglia e, contemporaneamente, l’antica disciplina judo.

Il nonno già nei primi del ‘900 lavora come maniscalco ferrando più che altro cavalli da lavoro, mentre il padre collabora con l’ippodromo di Bologna, ferrando anche cavalli da trotto che sono piuttosto complessi da gestire.

L’esperienza tramandata da suo padre è stata fondamentale per capire in modo profondo l’approccio con il mondo della mascalcia.

“Il cavallo deve sempre sapere cosa gli si andrà a fare, mai agire d’improvviso, sennò potrebbe avere reazioni strane” – dice Sergio mentre è alle prese con una ferratura, così si instaura una relazione, a volte complessa all’inizio, ma che non lo spaventa.

Essere maniscalco è un lavoro durissimo che per Sergio è diventata la passione che  gli ha permesso di sostenere ben 35 anni di lavoro all’ippodromo seguendo le orme del padre, e di gestire contemporaneamente diverse scuderie private.

E sicuramente il percorso come judoka lo aiuta, perché la prima regola di quando si pratica un’arte marziale, è l’incontro con l’altro, l’estremo rispetto, il dialogo fatto di non parole ma di presenza sincera, cuore a cuore, per instaurare le regole da rispettare e di conseguenza la fiducia.

Uno dei tanti talenti di Sergio è quello di andare a fondo nelle cose, di non farle tanto per fare, ma di farle al meglio, con grande forza di volontà e tenacia e questo gli ha permesso di conquistare diverse medaglie nell’ambito del judo, tra cui l’argento nei campionati italiani assoluti. Ora trasmette la sua esperienza agonistica ai bambini di una polisportiva.

La passione per il tiro con l’arco dal 1992 lo porta a chiudere il cerchio: il silenzio, la presenza mentale in quello che fa, la centratura.  Guadagna il titolo di campione italiano a squadra al “tiro alla targa” con l’arco olimpico. Seguito da Natalia Valeeva pluricampionessa mondiale, continua a conquistare regolarmente il podio.

E così sia nei combattimenti di judo ma soprattutto quando è a tu per tu con il cavallo, Sergio sa che deve essere assolutamente presente a quello che fa, per incontrare nel silenzio l’animale,  per capire ciò di cui ha bisogno, per capire con quale approccio avvicinarsi senza incutergli quella paura che potrebbe portare il cavallo a calciare e a reagire.

L’adrenalina che entra in circolo ogni volta che lancia una freccia è la stessa di quando afferra la zampa del cavallo, come se fosse sempre la prima volta.

Ora Sergio, dopo tanti anni di lavoro, sta per andare in pensione, per dedicarsi interamente alle sue passioni, ma prima di finire il suo percorso lavorativo, ha pensato di trasmettere queste sue competenze ad un ragazzo giovanissimo A.G. di soli 22 anni che ha conosciuto in un contesto particolare.

A.G. abita in una comunità di recupero tossicodipendenze e si è appassionato seguendo Sergio al lavoro con i cavalli. Colpito non solo dal lavoro in sé e dall’amore verso i cavalli, ma soprattutto da quel qualcosa in più che Sergio ha, da quel suo modo di approcciarsi alla disciplina e alla vita che forse manca a chi ha vissuto nel mondo della droga.

E così i due già da un anno si frequentano quotidianamente e Sergio oltre ad insegnargli l’arte della mascalcia come tale, è come se lo aiutasse a forgiarsi come si forgia un ferro di cavallo, facendogli percepire la passione per la vita, quella passione che è anche disciplina, pazienza, tenacia, forza e coraggio.

Il contatto con il mondo dei cavalli sta diventando per A.G. un nuovo modo di intendere la vita, una nuova speranza a cui aggrapparsi, dove si può fare un lavoro con passione, perché il lavoro è anche ciò in cui si crede, in cui è possibile avere ancora dei valori autentici.

E per Sergio è la gioia come di un padre verso il proprio figlio. Poter donare il frutto di tanti anni di esperienza, di conoscenza e anche di se stesso.