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Paddraccio

Scritto da Giorgio Rinaldi il 6 gennaio 2012
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Quando si pensa ai formaggi si pensa alla Francia, molti ignorano che l’Italia e il Regno Unito la battono di diverse lunghezze per il numero di tipi e specialità.

Un numero che, almeno in Italia, continua a crescere costantemente, perché non c’è giorno che non venga scoperto qualche formaggio destinato, per storia e tradizione, solo a poche persone.

Il “paddraccio” è uno di questi formaggi, di cui pochissimi conoscono l’esistenza oltre i confini di Mormanno.

Il nome, verosimilmente, dalla parola “palla” (nel dialetto locale: paddra) e l’arcaismo “laccena”.

La laccena è il termine con cui veniva chiamata la sostanza grassa che si ottiene dal caglio del latte.

Questo formaggio, a pasta morbida, di forma tondeggiante, si ottiene dallo scarto della lavorazione del latte ovino o di quello vaccino.

Il sapore del paddraccio ottenuto dal latte ovino è molto intenso, mentre l’altro è più fresco al palato.

Per produrre un paddraccio bisogna fare a pezzettini la sostanza grassa che si ottiene una volta che il latte è cagliato e si è posata sul fondo del recipiente, restando sommersa dal siero.

Appena recuperata, viene messa in fiscelle (“fisceddri”).

Di seguito viene scolato il siero su un telo, dove rimangono tutti i pezzettini di formaggio residuo della precedente lavorazione, che vengono compattati con le mani, proprio come fosse una palla di neve; il tutto viene lasciato a riposare.

Chi lo gradisce, aggiunge un po’ di sale.

E’ gustato così com’è a forchetta, oppure aggiunto a pezzi in una frittata d’uova di galline, ricordandosi di farlo prima inacidire un po’.

(Articolo scritto con la collaborazione di Gino Oliva “Gino di Marietta”)