Il mese scorso sulla rete rai è andata in onda la fiction sulla vita di Adriano Olivetti. Le due serate sono state molto apprezzate dagli Italiani che l’hanno seguita numerosi. Dai sondaggi prima della messa in onda , pochi erano a conoscenza della vita e le idee avanzate di questo uomo. La maggior parte degli intervistati collegavano Olivetti alle macchine da scrivere ma non erano al corrente dei cambiamenti, l’umanità nei confronti di chi lavorava per lui, i benefici portati dalle idee dello Steve Jobs italiano degli anni 50.
Avevo letto la sua storia parecchi anni prima , la ripresi dopo un viaggio nel 2011 in Danimarca.
Il motivo di questa rilettura fu che, una sera ci fermammo in un Bed and breakfast molto carino e, decidemmo di farne la nostra base per qualche giorno . Oltre che simpatici i proprietari erano piacevoli e gentili, entrammo presto in confidenza con loro e la sera ci trovavamo in compagnia a bere vini italiani ed a scambiarci opinioni.
Una sera mi disse di seguirlo nella sua libreria, mi doveva mostrare qualcosa di cui andava orgoglioso. Aveva tutti i libri fotografici su Olivetti e la fabbrica, le foto di lui all’interno della stessa nel suo paese, dove aveva passato la maggior parte della sua vita lavorativa, ne era fiero e ne parlava con orgoglio e commozione. Rimasi meravigliato di quanto successo e molto contento di sentir parlar bene di un italiano che aveva a quei tempi idee molti anni avanti rispetto a tutti.
Guardando la fiction oltre a provare commozione ho fatto dei confronti con l’attuale situazione. Pensavo all’ uomo che abbiamo avuto, come ha guidato un azienda conosciuta a livello mondiale, dato lavoro a migliaia di persone. A distanza di anni le nostre fabbriche non danno nessun esempio, stanno chiudendo o passando in mani straniere perdendo quel valore nazionalistico che forse nemmeno esiste più.
Guardo inoltre al panorama lavorativo dove, facciamo parte di una societa’ che si muove ma che non ha sostanza; non c’e’ rispetto per il prossimo, non si mettono le basi per costruire qualcosa di concreto, tutti si dannano l’anima per fare soldi e per vivere piu’ intensamente. Sostanzialmente si lavora solo per lo stipendio, non ci si affeziona al posto di lavoro, si cambia alla prima occasione, non c’e’ passione, spirito di appartenenza. La colpa e’ generale, ma va ricercata principalmente nella classe dirigenziale e politica scesa a un livello tale che non si capisce se esiste un limite. Tutti sono considerati numeri, nessuno e’ indispensabile, il ricambio e’ continuo e non si crea storia , non si lascia traccia, solo il vuoto e le presuntuose finte certezze di tutti non sono verita’ per nessuno. I lavoratori si alzano la mattina e sembrano destinati al patibolo, fanno il minimo indispensabile, i giorni e gli anni scorrono veloci ed al posto di andare avanti si torna indietro nonostante i mezzi a disposizione.
All’inizio della fiction c’e’ una scena molto significativa, il padre di Adriano emozionato, al passaggio delle consegne al figlio, chiede espressamente riguardo per i dipendenti, che non vadano licenziati e che non diventino numeri. Se consideriamo ai giorni nostri la tutela dei politici e dei sindacati per gli stessi, non posso esimermi dal ricordare e collegare le differenti capacita’ tra il Signor Olivetti e, quella donna in lacrime, ministro del lavoro nel precedente governo, unica al mondo, nella sua posizione, a generare un milione di disoccupati e inventare gli esodati. Sembra quasi una barzelletta purtroppo e’ tutto vero eppure, considerato
l’ andamento dei fatti attuali, nonostante i danni sara’ sicuramente stata premiata con una liquidazione e un vitalizio.
Non meriterebbe nemmeno di essere nominata ma questo al contrario del passato e’ quello che offre il presente.
Meglio ricordare Adriano Olivetti con sincera stima, ha cercato e trovato la possibilita’ di dare emozioni agli altri, di farli sognare al di la’ della ripetitivita’ e delle limitatezze del quotidiano.
Sono soddisfatto che grazie alla televisione, tanti italiani siano venuti a conoscenza di questa storia, la speranza seppur piccola è che qualcuno impari a gestire il lavoro, rispettare il prossimo e le risorse come aveva fatto lui, ma forse le mie speranze sono troppo grosse.