FARONOTIZIE.IT  - Anno III - n° 30, Novembre 2008

Questa pagina contiene solo  il testo di tutti gli articoli del n° 30/2008

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A PALAZZO ISOLANI LA MOSTRA “IL SENSO DELLA VITA” DI GIANFRANCO M. BELTRAMI

di Piero Valdiserra

A Bologna, presso Palazzo Isolani (Via S. Stefano 16), dall’8 al 16 novembre 2008 (con vernissage sabato 8 novembre, ore 17.30), si terrà la Mostra “Il senso della vita” dell’Artista Gianfranco Maria Beltrami.

Gianfranco Maria Beltrami, milanese trasferitosi da anni in Canton Ticino (Svizzera), ha lavorato a lungo come architetto, coltivando la sua passione per la pittura parallelamente alla sua  professione.

Nel 1977 una profonda crisi lo ha portato a scegliere l’arte come sua esclusiva attività. Una crisi autentica, intellettuale e spirituale, alla ricerca di quelle risposte sul senso della vita che ogni uomo dovrebbe porsi e che lo ha portato a trasferire sulla tela le proprie aspirazioni e le proprie emozioni. Il percorso artistico si sviluppa attraverso lo studio dei grandi maestri e delle loro tecniche, per costruire quella base di “mestiere” che ogni pittore dovrebbe conoscere, e si realizza in una pittura che esprime le sensazioni più autentiche, grazie ad una mano “benedetta”, obbediente a un occhio che sa vedere l’essenza delle cose. L’arte di Gianfranco Beltrami esprime senso della composizione, armonia del colore e decisione del tratto, mescola riferimenti classici di grande scuola a pennellate istintive, coniuga riflessione con emozione.

Questa personale a Bologna non mancherà certamente di avvicinare nuovi estimatori al mondo visionario e affascinante di Gianfranco Maria Beltrami.

Fragments’ Gallery

“L’ Artista che sceglie di “frammentare” un proprio quadro decide di operare un grande sacrificio durante il quale l’opera stessa, in quanto unità completa, viene smembrata affinché possa essere condivisa da molte persone e quindi assurgere a multipla valenza.

Dopo il sacrificio l’Artista e tutti i possessori di un singolo

”frammento” formano di fatto

una comunità artistica spiritualmente in perenne simbiosi.

Solo Artisti veramente ispirati scelgono di destinare alcune loro opere a questo rito sacrificale.”

La frammentazione dell’ opera di Gianfranco M. Feltrami

La frammentazione di un’ opera d’ arte è una operazione che richiede attenzione e cura massime, assimilabile all’ opera dei tagliatori di diamanti, dove anche il minimo errore può compromettere un capolavoro.

Ogni fase della frammentazione, dalla misurazione al taglio, dal montaggio sul passe-partout a quello sulla tela, sono svolte sotto il rigoroso controllo di Fragments’ Gallery.

La firma autografa dell’ Artista e di Fragments’ Gallery  garantiscono l’ unicità dei frammenti e la loro autenticità.

In occasione della sua personale bolognese, Gianfranco Maria Beltrami ha deciso di destinare la sua opera “Babele 2008” al rito sacrificale previsto nella filosofia di “Fragments’ Gallery”.

I visitatori potranno scegliere il proprio frammento ed entrare così a far parte della comunità artistica che verrà a crearsi.

Ogni frammento dell’ opera “Babele 2008” è montato su tela formato cm 50 x 40, numerato e firmato dall’ Autore.

Sponsors: Banca Generali, Dr. Andrea de Socio, D.ssa Alessandra Amato, Cesarini Sforza Spumanti S.p.A., Mangaroca International S.A., Dr. Dario Rossi, Giovanni Sassoli de’ Bianchi.

Info: G.M.Beltrami, tel. +41 91 9942356, e-mail gianfranco.beltrami@ticino.com

AI MILITI IGNORATI

di Francesco M.T. Tarantino

               Più che ignoti foste ignorati

               Feriti uccisi e poi macellati

               Sconosciuti partiste per la guerra

               Anonimi cadeste in trincee di terra

               L’alba che vi guardò partire

               Fu la stessa che vi lasciò morire

               Senza lacrime di moglie e di figli

               Foste falciati come fiori di gigli

               Che beffa morire di guerra lercia

               Per una lapide appesa alla quercia

               Senza il nome una corona d’alloro

               E una medaglia che dicono d’oro

               Che nessuno sa cosa farsene:

               Un modo per dimenticarsene!

               Non aveste onori né ringraziamenti

               Solo fandonie e inutili monumenti

               Ed ora vi colmano di benedizioni

               Coi preti che dispensano assoluzioni

               Voi capiste lo sfregio del vile disprezzo

               Di chi pensa che la vita ha un prezzo

               Resta di voi una falsa memoria

               Che non conosce né nomi né storia

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Francesco M.T. Tarantino ha di recente pubblicato la sua seconda raccolta di poesie dal titolo “Disturbi del cuore”, MEF – L’Autore Libri Firenze-.

ALL’ALEXANDER MUSEUM PALACE DI PESARO

di Franca Vitone

                                   ARTE E TURISMO POSSONO COESISTERE

                                     i vincitori del Premio “Sanzio è Raffaello”

Collegare il mondo dell’arte al mondo del turismo, può creare una sinergia fortissima, ed una fortissima crescita, con un incremento della produttività ed un miglioramento della qualità della vita.

Deve essere stato questo il pensiero del Conte Alessandro Marcucci Pinoli di Valfesina, Nani per gli amici, personalità particolare ed eclettica, avvocato, console ed ambasciatore, ma soprattutto scultore, scrittore e poeta e proprietario dei VIP Hotels, gruppo di raffinati alberghi tra Pesaro ed Urbino, quando ha deciso di realizzare sul lungomare di Pesaro l’Hotel Alexander, un originale “museo-albergo”, un’opera calata in un moderno contesto di ricezione turistica .

L’idea di fondo è di celebrare l’arte in ogni sua forma, di divenire punto di incontro per l’arte contemporanea, luogo di ritrovo di giovani creativi italiani e stranieri.

Nove piani di arte contemporanea: 63 camere firmate da 75 artisti e le parti comuni decorate da altri 25, per un totale di 100 fra pittori e scultori. Inoltre una grande collezione di sculture e quadri dei principali protagonisti dell’arte contemporanea in Italia, da Sandro Chia a Giò Pomodoro, da Enzo Cucchi a Mimmo Paladino e si potrebbe continuare ancora a lungo. Ogni sala, ogni stanza, ogni dettaglio porta la firma di un autore diverso, a cominciare dalla stele alta 16 metri di Arnaldo Pomodoro che, a breve, sarà installata all’entrata dell’hotel.

Ed è qui che il 25 ottobre si è svolta la cerimonia della consegna del Premio “Sanzio è Raffaello”. I premi sono stati assegnati a Valerio Massimo Manfredi ed alla stilista Rosanna Ansaloni.

Al primo, scrittore già “Bancarella 2008” per il romanzo l’Armata Perduta in quanto “divulgare la storia attraverso uno scritto sapiente ed accattivante assume merito indiscusso” Alla seconda, la stilista Rosanna Ansaloni per “aver trasformato il tradizionale concetto di abbigliamento intimo facendo della night wear un’arte”.

L’Alexander, è un resort alberghiero che resta nella mente e nel cuore per l’eccellenza della posizione, per l’eccellenza della struttura architettonica e dell’arredo, che rispecchia la personalità del Conte “Nani” che Vittorio Sgarbi definisce “gentile, disponibile, originale..una persona la cui esistenza è fondata sul paradosso”, per l’eccellenza dello staff che garantisce una passione ed una qualità del servizio altrettanto unici, per l’eccellenza della cucina.

PRESIDENZIALI USA VISTE DALL’ITALIA

di Emanuela Medoro

Ancora nella tempesta

Non si può parlare della conclusione di questa lunghissima campagna elettorale senza tener presente la situazione politica e finanziaria in cui si sta svolgendo. Ai normali colpi di coda preelettorali cioè  attacchi e contrattacchi di ogni genere,   fanno infatti da sfondo le micidiali e brusche altalene della borsa di NY che si propagano in tutto il mondo occidentale ed orientale. Il vento  della recessione  soffia un po' dappertutto, portando l'incubo di licenziamenti in massa,  fallimenti di aziende, inflazione. E sono solo le questioni economiche che oggi dominano le cronache.

Sono stati i problemi dell'economia  a dominare l'incontro/scontro tenuto presso l'Università di Hofstra a Long Island la sera di mercoledì, a conclusione della serie d'incontri diretti dei due candidati. Questo è stato sicuramente più vivace e ricco  di spunti programmatici  degli altri due incontri, ma, come risulta dai primi sondaggi d'opinione fatti a caldo, non ha spostato le preferenze degli elettori americani.

McCain ha attaccato duro e l'altro, in difesa, ha dimostrato di non lasciarsi coinvolgere, anzi di essere di una freddezza glaciale, qualità che molti bianchi biondi apprezzeranno parecchio. Attaccato sui suoi rapporti con un certo terrorista Ayers, Obama ha tranquillamente risposto che all'epoca dei fatti aveva solo otto anni. Sono poi rispuntati fuori i temi classici delle differenze fra i due partiti come l'aborto e le tasse. Riguardo all'aborto, il repubblicano ha parlato per la vita, pro life, e dunque per il cambiamento della normativa attuale, e l'altro per la scelta, pro choice , cioè per il mantenimento di essa.

Quanto alle tasse protagonista indiscusso  della serata il  destinatario  di tutte le dichiarazioni: Joe l'idraulico, un tale che vuole diventare proprietario della piccola azienda in cui lavora da vent'anni  ed una volta, alla fine di un comizio, ha chiesto  ad Obama se,  in caso di sua presidenza, dovrà pagare più tasse.Rivolgendosi a questo Joe, McCain ha detto di essere in linea di principio contrario alle tasse e di stare attento, perché se vince Obama pagherà tante tasse da rimanerne schiacciato, e l'altro, no, io voglio aumentare le tasse solo ai ricchi, cioè al 5% della popolazione,  non aumenterò le tasse al 95%   anzi, le diminuirò, ed in più  darò l'assistenza medica. Chissà che cosa troverà quello che avrà in mano le chiavi del tesoro, non lo sa nessuno per ora, ed è questo che farà la vera politica fiscale.

Sarah Palin, nel discorso ufficiale per l'accettazione della sua candidatura come vice presidente del partito repubblicano. Dunque allora disse fra l'altro: c'è un tempo per la politica ed un tempo per la leadership...(a time for politics and a time for leadeship), cioè lei ha distinto chiaramente la leadership dalla politica. Secondo lei,dunque, la funzione guida è diversa, è al disopra della politica, cioè del rapporto con la società organizzata e le sue istituzioni, una frase che sarebbe piaciuta a Luigi XIV, il Re Sole. Obama, invece, fa discendere la legittimazione della funzione guida da un rapporto diretto con gli elettori, tipico a questo proposito l'organizzazione del suo movimento di base, evidenziato in un recente comizio diffuso online, in cui diceva delle frasi semplicissime, es.: ....queste elezioni storiche non riguardano me, ma voi,...oppure il cambiamento non deve venire da Washington, ma andare a Washington..., a cui tutti i presenti

rispondevano in coro con lo slogan Change, yes we can, posizioni  demagogiche, ma meno preoccupanti dell'idea di leadership diversa dalla politica, quella del re sole.

Ricordiamo in conclusione che tutti i sondaggi di opinione danno in vantaggio Obama su McCain, però  ricordiamo anche che nel 2004, davano in genere, vincente John Kerry, e poi vinse G. Bush.

BARACK HUSSEIN OBAMA, IL VINCITORE

di Emanuela Medoro

Il fatto più straordinario ed anche più commovente della storia americana, un uomo di colore nella sala ovale della Casa Bianca,  segna il passaggio dall'America wasp,  a maggioranza bianca, di cultura anglo sassone e religione protestante, ad un America multiculturale, che riconosce ed accetta la presenza di etnie e culture diverse non solo nella società civile e nel mondo del lavoro, ma anche nel mondo della politica alta, quella che prende decisioni che riguardano gli USA e tutto il mondo.

 E' un fatto che ha alle spalle una storia sanguinosa, prima la importazione ed il commercio di schiavi neri, poi la guerra di secessione, fra gli stati del nord e la confederazione di stati del sud e l'assassinio del  presidente Abramo Lincoln,  colpevole di aver abolito la schiavitù nera. Seguì la segregazione razziale, la cui più visibile manifestazione fu ed è tuttora la divisione nelle grandi città industriali del nord fra quartieri benestanti bianchi e   ghetti neri.

 Appena  una cinquantina di anni fa una donna nera si rifiutò di cedere il posto ad un bianco sull'autobus, gesto eroico allora, che iniziò un lento processo di integrazione e crescita economica e civile dei neri. Rimane ancora oggi un fatto, però, che l'arrivo di neri nei quartieri riservati ai bianchi fa scendere precipitosamente il valore delle case, cosa che in America sanno anche i bambini. Inoltre sono ancora vivi nefandi gruppi di folli estremisti come i naziskin ed il KKK, il clan degli incappucciati bianchi responsabile di roghi di neri nel sud, che ritengono di dover difendere con le armi la purezza dei cristiani di razza bianca.

Ed ora dopo otto anni di presidenza repubblicana Bush, segnata dalla guerra in Iraq per armi di distruzione di massa che non sono mai state trovate perchè non c'erano, da una devolution selvaggia che ha portato al fallimento storico della Lehman Brothers, da un massiccio intervento statale, senza precedenti nella storia del capitalismo, per evitare il tracollo del  sistema bancario, e da  un' economia a crescita zero o quasi, ecco che gli americani voltano pagina, coraggiosamente votano per la  novità, anziché per l'usato sicuro.

 Il 44 Presidente degli USA si chiama Barack Hussein Obama, finora senatore dell'Illinois. Ecco alcuni cenni biografici su di lui:

È nato il 4 agosto 1961, a Honolulu, nelle Hawaii da padre kenyano e madre bianca americana. Il padre, Barack Obama Sr., ha sposato sua madre, Ann Dunham, quando studiava alla University of Hawaii. La coppia si è separata quando Obama aveva due anni. Il padre ha fatto ritorno in Kenya dove è diventato un noto economista. E' morto in un incidente d'auto nel 1982. In seconde nozze la madre ha sposato un indonesiano,

Lolo Soetoro. La famiglia si è trasferita in Indonesia, dove Obama è rimasto fino all'età di 10 anni, dopo di che è tornato a vivere con i nonni alle Hawaii, dove ha frequentato con una borsa di studio la Punahou Academy, un istituto d'élite.Ha sette tra fratelli e sorelle in Kenya, figli del padre, e una sorella, Maya Soetoro-Ng, da parte di madre.

Sposato con Michelle Robinson, ha due figlie femmine. Appartiene alla United Church of Christ.

Dopo avere terminato il college nel 1983, Obama ha lavorato per un consulente finanziario di New York ed una associazione di consumatori. Ha trovato lavoro a Chicago nel 1985 nell'organizzazione del Progetto di sviluppo delle comunità - un gruppo religioso che si proponeva di migliorare le condizioni di vita nei quartieri poveri.

Tre anni dopo è entrato alla Harvard Law School, dove è diventato il primo presidente nero della rivista di legge dell'università. Ha lavorato come associato pro tempore nello studio legale Sidley Austin a Chicago, dove ha conosciuto la futura moglie. Dopo essersi laureato a Harvard nel 1991, Obama ha esercitato come avvocato specializzato in diritti civili in un piccolo studio di Chicago, in seguito è diventato professore di diritto costituzionale alla University of Chicago nel 1993.

Cariche politiche: Obama ha ottenuto un seggio al Senato dell'Illinois nel 1996. Durante quella legislatura ha lavorato sulla legislazione del welfare e temi etici e su un provvedimento che prevedeva la registrazione elettronica degli interrogatori della polizia e delle confessioni nelle inchieste per omicidio.

Obama ha conquistato un seggio molto ambito per il Senato Usa nel 2004, strappando a sette rivali la candidatura per il Partito democratico e ha poi vinto l'elezione.

Il National Journal, che non parteggia per alcuna forza politica, ha definito Obama il senatore più liberal nel 2007, fondando il suo giudizio su come aveva votato in Parlamento quell'anno. Era stato classificato al 10mo posto della lista dei più liberal nel 2008 e al 16mo posto nel 2005.(Fonte Reuters)

Riassumo in breve il  punto fondante della sua campagna elettorale, si chiama grassroot movement, il movimento delle radici dell'erba, che ha esteso a tutti gli stati americani l'esperienza di Obama fatta nel ghetto nero di Chicago nell'organizzazione di masse di diseredati per il miglioramento del loro  tenore di vita in generale e per la difesa dei diritti civili, miglioramento che deve avvenire dal basso in alto (from the bottom up) e non viceversa. Ha esteso questa esperienza a tutti gli USA, creando una fitta rete di volontari attivissimi ed entusiasti senza precedenti nella storia americana. Questi hanno fatto telefonate, visite porta a porta, incontri pubblici per la discussione del programma elettorale, inviato email, e soprattutto hanno raccolto soldi, tantissimi,  700 milioni di dollari, per pagare le spese della campagna elettorale. Ricordiamo che a giugno Obama rinunciò al finanziamento pubblico della campagna elettorale. L'evento finale della campagna è stato un  documentario di mezz'ora, trasmesso sulle reti costa a costa alla stessa ora, dal contenuto che ha toccato l'emotività del pubblico, altre che la ragione.

E questo è il segreto della ascesa politica di Obama, infatti egli è un tipo definito polarizzante, cioè che unisce la gente e la organizza, bravissimo a superare le differenze ed i contrasti  di interessi in nome di valori etici comuni a tutti. Prima di tutto la fede in un destino comune dell'uomo, nel progresso economico e civile che deve superare  le divisioni create dalle religioni esistenti.

Ha raggiunto ed emozionato masse sterminate non solo con la forza delle idee, ma con lo stile della sua oratoria. I suoi comizi, infatti sono costruiti su frasi semplici che si ripetono ed  organizzano le varie argomentazioni, si ripetono seguite dal coro  del pubblico che scandisce lo slogan: change, yes we can, diventato sempre più intenso e partecipato, coro che

sottolinea le sue argomentazioni come accade nei concerti gospel, dove ad un solista che canta  frasi semplicissime, e ripetute all'infinito, risponde il coro sul palcoscenico ed  il pubblico in sala. Pubblico originariamente composto di soli neri, oggi, da tutti.

 Auguriamoci ora che questo concerto gospel duri 4 anni, anzi  8, senza spargimento di sangue.

BELL’ITALIA E GIAPPONE

di  Michiyo Suzuki

L’articolo è stato lasciato cosi come scritto, per precisa scelta editoriale, per dare modo al lettore di apprezzare tutta le genuinità del pensiero dell’estensore che si sforza di scrivere nella nostra lingua.

Ciao a tutti!

Mi dispiace che la scorsa volta ho scritto qualcosa di negativo  sull’Italia. Quindi oggi voglio scrivere qualcosa di positivo. 

Prima ho scritto che mi ero innamorata d’Italia quando ci sono andata per la prima volta.  L’Italia è sempre uno dei paesi che piacciono alla gente giapponese. Sapevo che tanti turisti giapponesi andavano sempre in Italia in vacanze, perchè l’Italia è bella  Però io, avendo una personalità di cercare di resistere qualcosa a voga, non volevo andarci prima.  Pero quando ho visto il Colosseo per la prima volta, ero comossa, ho avuto le pelle d’orca, veramente sopraffatta!  Anche Venezia mi ho colpito moltissimo come un gioiello!  Ma anche se cosi bella, non vorrei abitare a Venezia, perchè voglio abitare sulla terra. 

Quasi 10 anni fa mi piaceva molto l’America.  Ci sono andata negli Stati Uniti 4 volte, Hawai 4 volte, Guam 2 volte, Saipan 2 volte, l’Australia 1 volta.  Pensavo che fossero molto belle.  La natura di America, per esempio Grand Canyon, mi ha colpito molto con la grandezza.  Le città di San Francisco, Los Angeles, New York, ecc. sono belle, ma mi sembra che qualcosa gli manchi.  Tutto era nuovo e bello.  Penso che gli manca la storia, e cultura originale. 

In Italia o Europa in generale ci si sente moltissimo la storia e cultura, sopratutto gli effetti di cristianesimo, visitando i palazzi meravigliosi e tradizionali di ogni città.  Sono stata colpita dei tante quadri religiosi, i vetro colorati, la scultura, ecc. della chiese non solo per la bellezza anche per la storia e il tempo che ci avrebbe voluto per produrre cosi bellezza.

Anche in Giappone ci sono qualche città bella, originale, tradizionale, culturale di cui siamo orgogliosi come Kyoto, Nara, Nagasaki, ecc.  Ma secondo me in Italia quasi tutte le città sono belle!  Significo che anche una città piccola e locale è bella con la sua chiesa, il suo duomo, la sua piazza, il mare o la montagna, oppure gli entrambi.  Pero in Giappone invece una città tipica locale come la città che abito io non è bella in generale.  La città funziona perfettamente come un quartiere residenziale con tutte le funzioni necessarie.  Pero non è bella!  Sopratutto la panorama che si fa dalla mia finestra del piano 4 di parazzo non è bella, vedendo solo tanti palazzi tuti quadri a misura diversi collocati disordinatamente. Che differenza della panorama di Genova, Firenze, Napoli, Mondello, Cefalù, ecc.!!!!  In caso d’Italia ogni città mostra una perfetta armonia di bellezza, una ottima combinazione di palazzi, il mare e la montagna.  I parazzi hanno in generale il stesso tono di colore e forma.  Ho sentito dagli Italiani che ci sono le regole strettissime su costruzione.  Quando una persona vuole costruire un palazzo tutto nuovo oppure cambiare un poi del palazzo, si deve ricevere l’approvazione dell’ufficio. 

In Giappone nel passato le case si facevano con carta e legno.  Questo è un po’ esagerato, pero non si usavano in Giappone la pietra come in Europa.  Quindi le case non hanno sopravvissuto dei incendi, terremoti, i

bombardamenti delle guerre mondiale, ecc.  Pero alcune case hanno sopravvissuto, pero il governo non hanno nessuna fatica di proteggere

queste case fatte di legno, molto giapponese, tradizionale con l’atmosfera particolare.  Nella epoca di Meiji (1968_1912) quando il Giappone cercava di raggiungere i paesi di Europa tanti palazzi meravigliosi sono stati costrutti di mattone. Ancora qualche palazzo fatto in questa epoca si puo vedere.  Il palazzo della stazione di Tokyo, la stazione piu grande in Giappone, è uno degli esempi di questi parazzi meravigliosi.  Pero qualche volta questi parazzi fatti in Meiji sono distrutti per la causa di “il progetto di risviluppo”, distruggendo tutti palazzi in un quartiere al centro di Tokyo e costruendo qualche grattacielo moderno e bello e un parco.  Grazie a questo movimento la città di Tokyo si è trasformata molto in questi 10 anni.  Pero durante questo periodo tanti palazzi antichi e belli sono stati persi, anche la cultura.  Mi sembra un grande peccato! 

In questo senso il governo Italiano funziona benissimo per proteggere la bellezza delle città, il quale di Giappone invece non fa niente.  Grazie alla politica del governo Italiano che generalmente non si ringrazia molto in Italia, l’Italia rimane sempre un paese cosi bello che continue ad attirare tanti turisti dal tutto il mondo.

Vorrei abitare in Italia!

BREVI NOTE SULL’IRAN

di Raffaele Miraglia

Gli iraniani affiggono gli annunci mortuari vicino alle moschee e nei bazar. Anche se non capite una sola lettera di quello che c’è scritto, capite subito cosa sono. Assomigliano a quelli che vedete qui nei paesi del nord Italia. Con una piccola differenza. Alcuni sono senza la foto del defunto. Per la precisione, sono senza la foto della defunta. Già, negli annunci mortuari delle donne non si mette la foto.

In vita hanno potuto mostrare in pubblico solo il volto, ma quando muoiono delle donne non si deve vedere neppure quello.

Eppure, o forse proprio per questo, sono soprattutto le donne quelle che ti avvicinano, ti dicono “Welcome to Iran”, ti chiedono da dove vieni e subito dopo ti domandano se non hai avuto paura a venire in Iran, visto quello che gli americani dicono degli iraniani. E capita che quella ragazza, che ti ha detto che sta facendo il master in bioingegneria alimentare e che ha parlato con te tre o quattro minuti, tiri fuori un bigliettino e ti scriva il suo indirizzo e-mail e il suo numero di telefono e ti dica di contattarla. Non equivocare, lo dice a me e a mia moglie. Così come me lo dicono altri ragazzi che incontro per strada. Non mi era mai successo di raccogliere tanti indirizzi e-mail e tanti numeri di telefono. Non mi era mai successo in altre parti del mondo di essere fermato per strada da un ragazzo che ti dice che stasera lui e i suoi amici si trovano in una casa da the e che avrebbero piacere di parlare con te. “Vi veniamo a prendere in albergo.” E quando parli con loro, sei subissato di domande e la metà riguardano il rapporto uomo-donna in occidente.

E non sono solo i ragazzi, quelli istruiti e che sanno l’inglese. Sono anche i genitori, che parlano solo farsi e allora mandano avanti la figlia o il figlio, che ti traducono le domande e che traducono alla madre e al padre le tue risposte. Quei genitori che, fuori dal monumento che hai visitato, ti fanno

chiedere dai figli dove stai andando e ti fanno dire che ti portano loro con la loro macchina.

Di turisti stranieri in Iran, come potete immaginare, ce ne sono proprio pochi. Se escludete quelli dei viaggi organizzati (che ovviamente non hanno contatti con i locali), eravamo proprio in pochi con cui poter parlare. Nei posti più turistici, in agosto, eravamo al massimo una ventina, negli altri  c’eravamo solo io e Rosella.

I turisti iraniani, invece, sono molti e moltissimi fanno camping. Non il nostro, il loro. Li vedi dappertutto, con il tappeto disteso nel parco, ma anche al lato dell’autostrada, il fornello del gas con sopra la teiera e la

tendina tipo igloo. Sì, la tendina la vedi anche in quello che da noi sarebbe al sud la villa comunale e qui a Bologna piazza dell’Unità e, addirittura, piazza Maggiore.

Tu, invece, da bravo turista fai da te, che leggi la parte generale della guida per capire quali sono le cose strane in cui ti imbatterai, rimani comunque stupito quando per strada ti si avvicina qualcuno con un

vassoio di pasticcini e un altro coperto di bicchieri di plastica pieni di succo di frutta. E ancora di più quando sei in taxi e all’incrocio qualcuno ti bussa sul finestrino per offrirti pasticcino e bevanda. Nella guida non c’era scritto, ma lo abbiamo capito in fretta cosa stava succedendo. In Iran si festeggia per strada con i passanti sconosciuti. Si offre il “rinfresco” a chiunque sia nella vicinanze. Ci si mette persino all’uscita della tangenziale (e si acuisce l’ingorgo permanente che caratterizza il traffico cittadino).

E se questo ti stupisce, ancora di più lo è il fatto che negli enormi bazar nessuno ti assilla per venderti qualcosa. Se si eccettua un venditore di tappeti a Teheran e il figlio di un miniatore a Esfahan, nessun altro ci ha attirato nel suo negozio. E se entravi in un negozio, eri tu a chiedere, se volevi qualcosa. Gli iraniani non sono arabi e lo si vede anche in questo.

Così come lo intuisci quando incontri chi in qualche modo ha a che fare con i rari turisti e cerca di guadagnarci su. In Iran, se ti fregano, hai speso 1 o 2 euro in più. Più facile che incontri, scendendo dall’autobus, un “taxista” che, con una macchina normale, si offre di accompagnarti all’hotel e poi estrae un foglio di quaderno scritto a mano in inglese dove si dice che lui ti può portare anche in qualche località vicina o a fare il tour della città e, se ti dimostri interessato, si attacca al telefono, ti passa la moglie, che parla inglese, e con lei contratti il tour. Anzi, il tragitto verso l’albergo si allunga di qualche centinaia di metri per passare a casa sua, in modo che la moglie possa spiegarti meglio cosa ti offre il marito, senza dover parlare al cellulare, che magari non ci si capisce bene. E’ quel che, per esempio, ci è capitato a Kashan e con quel “taxista” siamo andati ad Abyaneh, passando a poche decine di metri dal luogo dove gli iraniani stanno costruendo quel maledetto reattore nucleare di cui avrete sentito parlare (toccante vedere tutto attorno delle piccole montagnette artificiali, sormontate da postazioni di artiglieria contraerea, che abbatterebbero al più un ultraleggero).

A tanta ospitalità fa da comunque contraltare il controllo poliziesco. Prendi il bus o il taxi per andare da una città all’altra? Devi dare il tuo nome, che verrà segnato su una lista, che verrà consegnata al posto di controllo. Mi sembrava di essere ritornato al Guatemala del 1988, ma lì c’era un paese in piena guerra civile e, anche se stavi dalla parte degli insorti, comprendevi quei militari che controllavano tutti i mezzi di trasporto. In Iran non c’è nessuna guerra civile, ma il governo teme il luoghi dove si ritrovano i giovani e così, per disincentivarli a trovarsi nelle case da the, vieta l’uso dei narghilè. E’ come vietare il ballo in una discoteca.

Ma a ben pensare, un peggiore controllo delle idee è quello sottile e impercettibile che ci facciamo noi qui in Italia. Il 99% delle persone a cui ho detto “Vado in vacanza in Iran” o “Sono andato in vacanza in Iran” mi ha guardato sgranando gli occhi. “Ma non è pericoloso?” E alla mia risposta “Solo se americani o israeliani sganciano una bomba”, quel 99%

abbassato gli occhi e ha riconosciuto “In effetti”.

In compenso un altro amico, a cui avevo chiesto consigli per il viaggio, sapendo che in Iran c’era stato, mi ha detto: “Quest’anno faccio io il turista avventuroso, vado nell’Impero del Male.”

E ieri ho visto le sue foto di New York.

CANI DI RAZZA

Editoriale del Direttore  Giorgio Rinaldi

Intolleranza, xenofobia, etnocentrismo, razzismo: termini ciascuno con un significato preciso per indicare un sentimento, un atteggiamento, un’ideologia, un preciso disegno politico.

Un buon numero di giornalisti, politici, opinionisti in genere, la cui connotazione certa è un’esibita crassa ignoranza, a cominciare dal corretto uso della lingua italiana, parlano –spesso a sproposito-  dell’immigrazione negando o addebitando agli italiani manifestazioni che, sbrigativamente, definiscono razziste.

Così, anziché chiedersi come mai nel breve corso di qualche decennio siamo passati da oggetto a soggetto di vergognosi attacchi contro gli emigrati generalmente intesi, in Italia il dibattito si è subito incentrato sulla giustezza o meno di una politica di segregazione da applicare ai bambini stranieri che si iscrivono alle scuole elementari italiane.

Superando il ribrezzo che la parola “apartheid” può e deve suscitare in ogni uomo degno di questo nome, non si può non sottolineare, tra i tanti, alcuni aspetti di questa penosa vicenda:

1)     L’Italia è un paese sostanzialmente a maggioranza conservatrice, con marcate tendenze reazionarie.

2)     La nostra giovane democrazia non è riuscita a scrollarsi da dosso le incrostazioni lasciate dal passato regime fascista.

3)     Rappresentative zone del Paese hanno espresso classi politiche che fanno del razzismo, o della xenofobia, la loro bandiera.

In un Paese che è attanagliato da gravosissimi problemi economico-sociali; che vede milioni di persone che vanno ogni giorno più impoverendosi; che ha interi territori e popolazioni ostaggi della criminalità organizzata; dove banchieri, petrolieri, speculatori di Borsa, etc., etc., la fanno da padroni, gli unici problemi che sembrano interessare gli italiani sono quelli, oltre al sette in condotta e al grembiulino per gli scolari, delle multe alle prostitute ed ai clienti che non praticano fuori dagli occhi del mondo, nonché  per qualche decina di migliaia di bambini stranieri che dovrebbero essere tenuti lontani dai pargoli nazionali fintanto che non abbiano imparato la lingua di Dante.

Possibile che si ignori bellamente che per superare il “gravoso” problema, se problema mai c’è, dei bimbi stranieri che per obbligo di legge devono andare –giustamente- a scuola basta un blando corso di sostegno, visto che i bambini imparano notoriamente a parlare, leggere, scrivere e far di conto ad una velocità impressionante ? uanta intelligenza occor

Certo che non è possibile, almeno in parte.

E, allora ?

E’ un antico  giochino che, per fortuna,  è scoperto da tempo, anche se gli ostinatamente ciechi non mancano.

Ecco la ricetta collaudata:

Si prende un argomento qualsiasi, tra quelli che interessano ora quella fazione, ora quel partito, ora quella lobby.

La si offre in pasto ai giornali e alle tv.

Si comincia a parlarne, nonostante a volte la straripante insulsaggine  (vedasi: “nazione padana”; “fatturato della mafia” –da quando la mafia emette fatture e deposita i bilanci?-; il “cacao meravigliao”; il “sarchiappone”…

Poi, alla lunga, qualcuno finisce con il crederci veramente e confonde la fantasia con la realtà.

E, qualcosa nella sacca del cacciatore rimane…

Concetti astratti entrano nel linguaggio comune e cominciano a far parte del patrimonio di ciascuno.

In questo modo il dibattito viene ingessato su luoghi comuni e diventa fuorviante rispetto alle soluzioni da trovare.

Da qualche mese, ad esempio, si è “scoperto” il concetto di “percezione”, così in presenza della più eclatante corbelleria basta invocare la “sensazione individuale”, come per il caldo o per il freddo: aumenta il desiderio di sicurezza nelle città, mentre i dati ufficiali dicono che la criminalità è in netto calo, basta ricorrere al concetto di “insicurezza percepita”, e il gioco è fatto !

Resta, però, da sapere quanti di noi italiani siamo davvero di sentimenti ultra nazionalisti e quanti, invece, di sentimenti improntati alla solidarietà e all’intelligenza di coltivare la ricchezza che ci viene dalle moltitudini di genti di altri luoghi che vogliono vivere con noi.

Si pensi alla fortuna di avere un bimbo in classe con bimbi di lingua araba, cinese, indi…. In breve anche il nostro diventerà un poliglotta senza sforzo. O trovarsi un domani qualcuno di questi bimbi in governi o posti di comando stranieri e trovarsi, come per incanto, ad avere rapporti privilegiati tra i Paesi…

E’ così faticoso da comprendere?

Di converso, per quanti sforzi facciamo, l’etichetta del mafioso, del furbetto, di quelli che solo per un errore divino vivono nel paese più bello del mondo, non riusciamo proprio a levarcela di dosso.

Sarà perché, come per le reclute nell’Esercito che criticavano il “nonnismo” dei congedanti per poi avere lo stesso comportamento con chi arrivava dopo di loro, il nostro popolo, per decenni e decenni emigrato in ogni angolo del mondo, appena raggiunto un po’ di benessere interno ha rinnegato il suo passato ed ha iniziato a comportarsi allo stesso modo di quei tedeschi, francesi, svizzeri, americani che ritenevano gli italiani tutti criminali, accattoni, magliari e via elencando.

Forse è il caso di fermarsi un po’ a riflettere e considerare che “razzismo” fa sempre il paio con “cretinismo”.

CI RIVEDREMO IN FINALE…MORMANNO IL PAESE DEI RECORD!

di Nicola Alberti

Nella settima settimana consecutiva di partecipazione alla trasmissione di RAI2 Mezzogiorno in Famiglia si è interrotta la serie di vittorie di Mormanno nelle sfide tra i comuni d’Italia.

È stato il comune di Trino (in provincia di Vercelli) ad arrestare la lunga marcia di Mormanno iniziata nella prima trasmissione nel mese di settembre.

La gara è stata bella ed emozionante.

Mormanno parte bene nella prima manche del sabato vincendo la gara e l’ennesima medaglia (la decima -che rappresenta primato assoluto!-). Nella gara decisiva della domenica Mormanno è sempre avanti nei parziali ma il gioco, si sa, si decide nel finale quando i due comuni concorrenti “vanno alle mani”. Quelle di Trino sono mani veloci, troppo per i nostri ragazzi che uno ad uno sono eliminati.

Ultime speranze nello strappacoppa, il gioco della doccia. Lorena è brava a tenere il tempo ma non abbastanza per evitarle la doccia; al ritorno racconta che l’acqua dopotutto era tiepida ma per tutta Mormanno è stata comunque una “doccia gelata”!

Si chiudono quindi i riflettori sulla piazza Umberto I; a fine trasmissione l’atmosfera è un po’ mesta, la scena dei tecnici che smontano cavi e attrezzature è abituale ma questa volta è l’ultima.

I registi e la conduttrice, solitamente dinamici e frenetici, si lasciano andare ad un amichevole indugio, dopotutto il clima è piacevole nella meravigliosa giornata di sole autunnale.

Consumato il rito delle foto ricordo un po’ di chiacchiere di paese, qualche considerazione sulla puntata e soprattutto saluti e affettuosi arrivederci. Arrivederci allora, infatti l’avventura non è finita: appuntamento in primavera per le fasi finali alle quali Mormanno accederà sicuramente.

Tra le note positive di questa bellissima esperienza rimarrà sicuramente l’amicizia che i ragazzi da studio hanno legato con i concorrenti degli altri comuni a dimostrazione che l’Italia dei “Mille Campanili”, da sud a nord, è molto più unita e positiva del Paese disgregato che la cronaca ci racconta. Un caloroso saluto quindi a tutti gli amici di S. Pellegrino Terme (BG), Bibbiona (LI), Satriano di Lucania (PZ), Lanuvio (RM), Gandino (BG), Vigarano Mainarda (FE) e agli ultimi di Trino (VC).

COOPERAZIONE ABRUZZESE: L’ECOTURISMO IN GUINEA BISSAU

di Goffredo Palmerini

Un progetto di sviluppo nel Parco Nazionale delle Foreste di Cantanhez, con il sostegno dell’Abruzzo

L’AQUILA – La Regione Abruzzo è una delle pioniere della cooperazione allo sviluppo tra le regioni italiane. Fu infatti tra le prime, nel 1989, a fare una legge per un’organica politica nel settore. Da allora ha consolidato una lunga esperienza in programmi di cooperazione internazionale con molti Paesi bisognosi di sostegno per il loro sviluppo: in Africa (Angola, Burundi, Eritrea, Camerun, Madagascar, Nuova Repubblica del Congo, Senegal, Zambia e Paesi del Mahgreb), in Asia (India, Palestina e Giordania), in America latina (Argentina e Brasile) e in Europa nell’area balcanica (Albania, Bosnia ed Erzgovina, Croazia, Serbia, Montenegro, Macedonia, Bulgaria e Romania). Di certo la Regione Abruzzo in cooperazione è all’avanguardia,  ha sempre investito con convinzione nel settore, ritenendo che una vera politica di pace e di fratellanza tra popoli si costruisce più con i fatti che con i bei discorsi. Le va dunque riconosciuto il merito, specie in questo periodo, quand’è osservata per le vicende poco decorose sul piano etico di qualche suo governante. Negli ultimi anni, peraltro, un deciso impulso al settore l’ha impresso Gianni Melilla, consigliere regionale e presidente del Comitato per la Cooperazione e lo Sviluppo, da sempre impegnato nella cooperazione internazionale con una spiccata sensibilità. Nelle varie aree geografiche i campi d’intervento hanno spaziato dalla sanità all’ambiente, dall’agricoltura allo sviluppo sostenibile, dalle infrastrutture alla cultura, dalle politiche sociali all’istruzione, dal sostegno locale alla democrazia partecipativa, dall’efficienza dei sistemi pubblici al welfare. Per ciascuno di tali settori, nel corso degli anni, sono stati realizzati con successo progetti mirati d’intervento della Regione Abruzzo, grazie all’opera di gruppi di volontariato, organizzazioni non governative (Ong), istituti religiosi, associazioni culturali e sociali che operano con competenza nel campo della cooperazione internazionale, sia attraverso risorse del bilancio regionale che in sinergia con fondi specifici del bilancio italiano ed europeo.

La premessa era necessaria per parlare d’un altro interessante programma di cooperazione dell’Abruzzo, questa volta in Guinea Bissau, avviato giusto un anno fa. EcoGuiné – così si chiama il progetto - è iniziato da ottobre 2007 e si completerà a dicembre 2009. Mira a sviluppare in quel Paese africano le grandi potenzialità ambientali del Parco Nazionale delle Foreste di Cantanhez e la Zona di Conservazione di Dulombi., anzitutto con la formazione del personale locale. Una quarantina le persone che hanno preso parte alla formazione, interessate direttamente nel progetto: guide ecologiche, membri del comitato di gestione della zona di conservazione di Dulombi ed esponenti delle associazioni di villaggio. Ma anche le comunità di almeno 12 villaggi,  situati tra il Parco Nazionale di Cantanhez e la Zona di Conservazione di Dulombi, sono state in qualche modo coinvolte nell’intervento. Con questo progetto l’Abruzzo ha messo ad investimento in Guinea Bissau la sua cospicua esperienza in

campo naturalistico ed ambientale. Definita “regione verde d’Europa”, l’Abruzzo ha oltre un terzo dell’intero territorio regionale protetto, dove sono presenti ben tre parchi nazionali (Parco Nazionale d’Abruzzo-Lazio-Molise, Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga, Parco della Maiella), il Parco Regionale Velino-Sirente, moltissime oasi ed aree salvaguardate per flora e fauna.

Questo è dunque EcoGuiné, programma di cooperazione che oltre alla Regione Abruzzo ha come partner il Parco Nazionale del Gran Sasso, l’Università degli Studi dell’Aquila, laureandi con borse di studio della Regione ed  altri cooperanti. Del progetto EcoGuiné è coordinatore Claudio Arbore. Romano di nascita, trentacinquenne, dal 1996 Arbore vive e lavora in Abruzzo, dove da anni è impegnato sul fronte della conservazione e della protezione della natura, attraverso l’educazione ambientale nelle scuole e promuovendo iniziative tese a far conoscere le montagne abruzzesi ed il loro ecosistema, grazie anche alla sua esperienza d’alpinista. Presidente dal 2006 dell’Associazione Interpreti Naturalistici (Ain onlus), ha iniziato la sua attività di cooperante cinque anni fa partecipando, nella veste di consulente e ricercatore in geografia umana, a diversi progetti dell’Unione Europea in Africa, quali Ecopas e Agir. Pur continuando a collaborare in iniziative multilaterali, da due anni è impegnato nella promozione e realizzazione del Progetto EcoGuiné, di cui è il responsabile, nel quadro del programma di cooperazione decentrata della Regione Abruzzo.

Perché la scelta della Guinea Bissau? Lascio la risposta alle parole di Claudio Arbore, prese da un articolo scritto da lui stesso su una rivista abruzzese. La Guinea Bissau è uno dei paesi più poveri del mondo secondo le statistiche internazionali, ma questo non basta a descrivere le sue diverse povertà e soprattutto non rende giustizia delle sue reali ricchezze, come avviene del resto per gli altri paesi dell’Africa sub-sahariana, poco conosciuti dagli occidentali nella loro complessità sociale e territoriale. Troppo spesso non si va oltre il PIL o quando va bene, l’Indice di Sviluppo Umano: per noi sono solo paesi poveri o al massimo in via di sviluppo. Siamo arrivati al villaggio per il progetto di cooperazione EcoGuiné, iniziato nell’ottobre scorso. Per molti di noi si tratta di un ritorno. Le esperienze di studio e ricerca degli ultimi anni ci hanno portato più volte a frequentare i villaggi e le foreste della Guinea Bissau, conoscendone sempre meglio i territori. E’ stato del tutto naturale voler continuare a fare qualcosa per quelle popolazioni, per quegli ambienti straordinari, dove avevamo intrapreso un percorso di crescita e di arricchimento reciproco importante. Così è nato EcoGuiné, frutto del partenariato della onlus abruzzese Ain, con Ong guineane e cofinanziato dalla Regione Abruzzo, finalizzato allo sviluppo dell’ecoturismo quale opportunità di miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni locali, garantendo la conservazione degli ecosistemi.  Le azioni di EcoGuiné sono iniziate nel Parco Nazionale delle foreste di Cantanhez e nella Zona di Conservazione di Dulombi, due delle più importanti aree a valenza ambientale della Guinea Bissau e dell’Africa Occidentale, con un numero elevato di animali entrati da tempo nelle liste rosse di quelli in via d’estinzione e con gli ultimi lembi di foresta umida della costa atlantica, che qui trova il suo limite settentrionale. Queste aree rappresentano l’ultimo rifugio di tutta la regione per animali come il leone, l’elefante e lo scimpanzè, animali simbolo dietro ai quali ci sono migliaia di altre specie a rischio. La sfida è quella di riuscire a conciliare le ragioni della natura

con quelle dell’uomo, chiave di volta di tutte le azioni di conservazione, socialmente ed ecologicamente sostenibili (…)”.

Altre azioni del progetto hanno invece riguardato l’Abruzzo e i cittadini abruzzesi: un gemellaggio tra la scuola di Calascio - splendido borgo arroccato alle falde del Gran Sasso con una superba Rocca,  location di molti film famosi - e quella del villaggio di Dulombi, in Guinea Bissau; un video girato sul progetto; infine, una mostra fotografica che merita un’annotazione. Tutte azioni volte a sensibilizzare i cittadini abruzzesi sui valori della solidarietà tra i popoli e dello sviluppo sostenibile, affinché si possano temperare gli effetti negativi della globalizzazione. Ma veniamo alla Mostra EcoGuiné. Allestita nell’ambito della 714^ Perdonanza Celestiniana, l’esposizione è stata ospitata negli androni della Presidenza della Provincia dell’Aquila, proprio nel cuore della città. Con 65 immagini fotografiche della Guinea Bissau la mostra ha cercato di raccontare la realtà di quel piccolo Paese africano e le azioni di appoggio allo sviluppo che l’Ain sta portando avanti con il progetto EcoGuiné. L’inserimento della mostra nel programma ufficiale della Perdonanza è stato inoltre un riconoscimento dell’importanza del messaggio di solidarietà e di pace tra i popoli che EcoGuiné intende promuovere attraverso uno sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile. Migliaia i visitatori dell’esposizione, dal 26 agosto al 5 settembre scorso. All’inaugurazione della mostra un saluto davvero speciale l’ha portato Ela Gandhi, rettore dell’Università di Durban, già parlamentare sudafricana e nipote del Mahatma, quest’anno ospite d’onore alla Perdonanza. L’insigne Personalità sudafricana, accompagnata dalla Presidente della Provincia dell’Aquila, Stefania Pezzopane, ha rimarcato il valore della mostra e del progetto EcoGuiné come testimonianze di pace e collaborazione tra nord e sud del mondo, tra genti e culture diverse.

Il progetto EcoGuiné, si diceva, si concluderà a dicembre del prossimo anno. Per quella data saranno completati la formazione e l’equipaggiamento delle guide ecoturistiche, la realizzazione d’un censimento e d’una cartografia delle risorse naturalistiche, grazie al partenariato di Ong ed associazioni bissau-guineane. Diversificare ed integrare le attività economiche, promuovere l’organizzazione e l’associazionismo tra le comunità di base, sono i princìpi fondamentali per una forma di sviluppo sostenibile originale ed appropriata per quei villaggi.. La natura, in Guinea Bissau, è davvero generosa per varietà delle specie animali e vegetali, un vero eden

faunistico e botanico. Il Parco Nazionale delle Foreste di Cantanhez e la Zona di Conservazione di Dulombi costituiscono un incomparabile patrimonio ambientale che va protetto, a beneficio non solo del Paese ma dell’umanità intera. E’ però un patrimonio che deve pure diventare un’occasione di sviluppo per le popolazioni locali, affinché ne beneficino in ogni modo, governato da personale locale consapevole e qualificato verso un auspicato turismo mondiale che ami e rispetti la natura. Questo, in fondo, lo scopo principale del progetto EcoGuiné, del quale nelle prossime settimane partirà la seconda fase. Se questo accadrà - e i presupposti ci sono tutti - per l’Abruzzo sarà missione compiuta, un altro  buon risultato, un ulteriore tassello nelle politiche operose per la pace e per un nuovo umanesimo.

UN TIEPIDO AUTUNNO, UN MITE INVERNO

di Ferdinando Paternostro

Cara Chiara Giallonardo,

intanto complimenti: nei tanti collegamenti da Mormanno, in queste sette settimane di “Mezzogiorno in Famiglia”, hai sempre  dato voce alle tradizioni ed alle bellezze della nostra cittadina con stile e garbo: per la promozione del nostro piccolo centro, che anche grazie a queste iniziative spera in un rilancio economico e culturale, non potevamo avere una madrina migliore.

Hai raccolto da tutti consensi meritati, simpatia e cordialissima accoglienza: sei stata Mormannese nelle brevi passeggiate in Piazza, nei locali che hai frequentato;  hai sentito gli odori dei nostri vicoli e ti sei svegliata ai rintocchi dell’orologio della nostra torre campanaria.

Con alcuni, forse, hai stretto rapporti di breve ma sincera amicizia.

Quello che forse non sai, carissima Chiara, e che in questo tiepido autunno calabrese, hai infiammato i cuori di tanti compaesani, sposati e no, che ti hanno eletta regina del loro platonico paradiso di fantasie ed alle cui grigie giornate, anche solo per una breve stagione, ha dato un senso la certezza, nel week end successivo, del tuo ritorno.

Li ho visti scrutando in TV i loro occhi, nelle animate quinte dei tuoi collegamenti.

Li conosco bene… erano felici !

Ora per tutti loro un breve  e mite inverno, diverso da tutti gli altri: a primavera, per le semifinali del programma, nella stagione della vita che rinasce, tornerai ...

.. e che non venga, per favore, Roberta Gangeri !

Un affettuoso saluto.

I VINCITORI DEL PREMIO “GUERRIERO DI CAPESTRANO”

di Emanuela Medoro

Il Premio internazionale a Goffredo Palmerini per la sua attività sulla stampa italiana all’estero

Importanti insediamenti dei Vestini, uno dei popoli italici dell’antico Abruzzo, erano situati lungo il tracciato millenario del tratturo, dove poi in epoca romana si sarebbe snodata la via Claudia Nova, consolare che collegava la città sabina di Amiternum alla via Valeria. Nella valle del Tirino, sotto l’attuale Capestrano, sorgeva l’antica Aufinum (Ofena). In quei pressi, nella piana, nel 1934 un contadino rinvenne un importante reperto della civiltà italica, subito chiamato “Guerriero di Capestrano” per l’imponenza e la misteriosa singolarità dell'equipaggiamento. Studi approfonditi, segnatamente dell’archeologo Adriano La Regina,  negli anni Settanta hanno accertato che la statua, risalente al VI secolo a.C., rappresentava il re Nevio Pompuledio. Dapprima il Guerriero,  e poi le recenti campagne di scavo dirette dall’archeologo Vincenzo D’Ercole, stanno cambiando la storia dell’archeologia di quest’area dell’Abruzzo interno. Hanno fatto emergere la raffinata civiltà dei Vestini, antico popolo fino a qualche tempo fa ritenuto di semplici pastori e guerrieri,  civiltà confermata dai preziosi reperti rinvenuti in numerose necropoli. Il “Guerriero di Capestrano”, esposto a Chieti nel Museo Archeologico Nazionale della Civitella, è ormai diventato il simbolo dell’Abruzzo, regione che non finisce di stupire per le sue ricchezze artistiche, architettoniche ed ambientali, ma anche per i valori archeologici che testimoniano la civiltà degli antichi popoli italici che l’abitavano. Caratteristico di Capestrano è il Castello Piccolomini, posto sulla sommità del colle su cui arroccano le belle case del paese. E’ una cittadella fortificata, tutta in pietra, costruita a forma triangolare sulla roccia del monte, con una facciata racchiusa tra tre torrioni cilindrici agli angoli. La parte posteriore conserva ancora intatta la vecchia struttura medioevale. La torre centrale, a forma quadrata, ha un orientamento anomalo rispetto al resto della costruzione e ciò fa pensare che l'odierno castello, modificato nel 1400 da Antonio Piccolomini, sia sorto su un precedente sito fortificato. Il castello, molto probabilmente,  sarà sede d’un museo per la conservazione ed esposizione dei reperti del popolo Vestino con annessa scuola d’archeologia per studenti da tutta Europa.   

 Capestrano è anche il paese dove nacque San Giovanni, il 24 giugno 1386, uno degli uomini più importanti nella storia del vecchio continente. Abbandonata la professione forense a Perugia, Giovanni divenne francescano dell’Osservanza. Allievo ed amico di San Bernardino da Siena, fu un grande predicatore e condottiero, la cui fama si estese in tutta Europa. Nel 1453, caduta Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente, la paura per la minaccia alla cristianità europea era tangibile e incombente, a causa dall’avanzata inarrestabile dell’islam e dei Turchi. Se l’Europa si salvò, fu sopratutto per merito di Giovanni da Capestrano, il frate abruzzese che con la sua predicazione promosse la difesa del continente dai Turchi, reclutando truppe per l’esercito specie in Ungheria. La sua azione a difesa dell’Occidente fu determinante nella

vittoriosa e decisiva battaglia di Belgrado, dove spronò e guidò le truppe, meritandogli l’appellativo di “apostolo dell’Europa Unita”. Purtroppo, però, gli costò la vita, perché proprio a Belgrado contrasse la peste, morendo tre mesi nel convento di Ilok, in Croazia, il 23 ottobre 1456. Fu canonizzato nel 1690 da papa Alessandro VIII. Tutto questo è Capestrano. Un borgo suggestivo oggi gemellato, nel nome del grande Santo, con la città di San Juan de Capistrano, in California. Il 12 ottobre, nel salone del Castello pieno in ogni ordine di posti, si è tenuta la cerimonia di consegna ai vincitori del Premio "Guerriero di Capestrano", giunto quest'anno alla terza edizione, in Italia l’unico premio internazionale per l’archeologia. A fare gli onori di casa il sindaco Antonio D'Alfonso, e  Lucia Di Fiore, Presidente della Pro Loco, presenti il consigliere Fabrizio D'Alessandro in rappresentanza della Provincia dell'Aquila, altri sindaci del comprensorio ed autorità della provincia. La Giuria del Premio, presieduta da Vincenzo D'Ercole per la sezione Archeologia e da Anna Ventura per la sezione Cultura, composta da Massimo Pamio, Iva Polcina, Sabrina Di Persio, Giuseppina Sebastiani e Giuseppina Verdoliva, ha assegnato i premi ai vincitori delle varie sezioni, con le rispettive motivazioni.

Premio per l'Archeologia al prof. ADRIANO LA REGINA. Archeologo di riconosciuta fama non solo nazionale, già Soprintendente di Roma, autore di studi fondamentali sui Vestini e sui Pentri, massimo studioso vivente dei Sanniti e sulle iscrizioni arcaiche, sulle istituzioni e sulle guerre sannitiche,il prof. La Regina ha tenuto un'ampia e dettagliata relazione sullo stato e lo sviluppo della ricerca archeologica nella zona dei Vestini, dove sono state fatte scoperte che hanno mutato sia la ricostruzione della storia di queste popolazioni che gli orientamenti  della ricerca, a partire dalla scoperta casuale della statua del Guerriero. Una novità interessante del suo intervento è stata la presentazione dell'immagine d’un busto femminile, dello stesso autore della statua del guerriero, che è stato definito come “La Signora di Capestrano” per le evidenti affinità stilistiche. 

Premio per la Poesia a GIUSEPPE ROSATO,  di Lanciano, per il libro di poesia "La traccia di beltà" (Edizioni Noubs). Giuseppe Rosato è il più grande poeta abruzzese, di grande rilievo nel panorama della poesia italiana. Al suo attivo ha una ventina di raccolte di liriche, nelle ultime delle quali egli raggiunge vertici di perfezione stilistica e lessicale e soprattutto assume una cifra personale unica, inimitabile, sicura, improntata a un rigore letterario straordinario. “La poesia è una vita di scorta”, ha Egli affermato citando Ennio  Flaiano. E lui la vita l'ha condivisa con la moglie da poco scomparsa, la cui memoria ha ispirato la silloge poetica premiata.

Premio per la Narrativa a LUCIANO RICCI, di Isola del Gran Sasso, per il romanzo "La farfalla rossa" (Ed. Sperling & Kupfer). Luciano Ricci è il maggiore scrittore abruzzese, prosatore fine ed elegante, piega la scrittura ad una volontà ridondante, che lo conduce allo sperimentalismo più sincero. E' per questo definibile il Gadda abruzzese. Ha pubblicato numerosi romanzi e saggi. Gratificante per lui questo premio, sia per le qualità degli altri  premiati che per l’autorevolezza della Giuria. Si sono classificati al secondo posto Carlo Bordoni, con il romanzo "Istambul bound", ed ex-aequo Enza Buono con il romanzo "Quella mattina a Noto". Terzo classificato Angelo De Nicola con "La Missione di Celestino". Premi Speciali della Giuria a Maria Barresi per il romanzo "Non dire niente" e a  Mariangela Ippoliti per l'opera "Testimoni del disagio", in cui l'autrice raccoglie emblematici casi di emarginazione e solitudine. Un testo vibrante che scopre dettagli di cronache che non leggeremo mai sui giornali.

Premio Internazionale a GOFFREDO PALMERINI. Impegnato in politica e nel settore culturale, “…nel difficile fronte che segna il crinale tra realtà umane particolari, non più ancorate alle certezze delle proprie tradizioni, ma collocate in luoghi e condizioni di vita diversi: il che vuol dire abbracciare sia la realtà degli immigrati nel nostro paese, sia quelle di chi dal nostro paese si è allontanato per cercare altrove le risposte giuste alle proprie istanze di vita”, come dice la motivazione del premio. Con perseveranza e creatività egli è riuscito a crearsi un efficace sistema di comunicazione on line con i paesi più lontani: Argentina, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Germania, Messico, Perù, Spagna, Stati Uniti, Svizzera, Sud Africa, Repubblica Dominicana, Uruguay e Venezuela. Una rete globale, fittissima, che collega buona parte delle realtà associative regionali all’estero – egli peraltro è un membro del Consiglio Regionale degli Abruzzesi nel Mondo -  dando un grande contributo alla diffusione della cultura italiana, ed  abruzzese  in particolare, in tutto il mondo attraverso notiziari on line, giornali e periodici in lingua italiana pubblicati all’estero. Palmerini ha dedicato il suo premio a quei 60 milioni d'italiani che con serietà e dignità rappresentano l'Italia all'estero ed ha richiamato il ruolo rilevante ed insostituibile e che la stampa italiana all’estero svolge nei confronti delle nostre comunità nei cinque continenti.

Premio per la Cultura a SANDRO VALLETTA, marsicano, appassionato conoscitore del mondo dell'emarginazione, di cui si fa attento interprete e portavoce attraverso libri densi d’interesse ed umanità, quali: "Viaggio nel mondo degli invisibili", con prefazione di M. Teresa Letta; "Vegliare il presente" con la prefazione del ministro Stefania Prestigiacomo; "Per non dimenticare", con presentazioni di Federico Buonadonna e Stefania Zuccari; "Testimoni del disagio", scritto con Mariangela Ippoliti. Di prossima pubblicazione una biografia di Remo Gaspari, uomo politico abruzzese per decenni protagonista della politica nazionale in molti governi, con presentazioni di Ferdinando Casini, Giulio Andreotti e Gianni Letta. Valletta  collabora con il Politecnico delle Marche, l'Università di Ancona e la LUMSA. E' stato insignito del Premio Nazionale di Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

La cerimonia si è conclusa con il conferimento del premio “San Giovanni da Capestrano” a Giuseppe Fidelibus, per i suoi Saggi su Sant'Agostino. Il premio è stato dedicato alla memoria di Don Giussani, il cui sostegno morale ed umano è stato prezioso per portare avanti la ricerca. Don Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, sosteneva infatti che la cultura nasce da un gusto per la vita.  “Quid  animo satis?” Che cosa dà all'animo l'esperienza della soddisfazione? La pratica della cultura come gusto per la vita.  C’è infine da annotare che la domenica precedente il Premio “Guerriero di Capestrano” aveva avuto un prologo nella sala consiliare del Comune di Bussi, in provincia di Pescara, con la consegna dei riconoscimenti per il giornalismo: a Dom Serafini, un abruzzese d’America che opera tra New York e Los Angeles, editore e direttore di VideoAge, rivista sulle nuove frontiere della comunicazione, per il giornalismo all’estero; per quello nazionale, riconoscimento ad Antonio Socciarelli ed infine il Premio alla carriera giornalistica a Fausto Ianni. Da molti anni iscritto all’ordine dei giornalisti, Fausto Ianni si è intensamente occupato della realtà culturale italiana, specialmente nel campo dell’arte. Con la sua penna feconda ha annotato, nel corso degli anni, le più importanti manifestazioni sulle arti figurative e, in campo regionale, ha seguito con i suoi saggi critici moltissimi artisti, taluni assurti a fama nazionale, curando mostre e cataloghi. Aquilano schivo ed indipendente, non ha mai abbandonato i suoi studi, la ricerca del bello e del giusto, scrivendo articoli  anche su riviste nazionali. Insomma, il Premio “Guerriero di Capestrano” in tre anni ha conquistato una dimensione ed un successo significativi, con riconoscimenti a Personalità di grande rilievo. Un buon viatico per l’avvenire.

IL CRAM ELABORA IL LUTTO E GUARDA AL FUTURO

di Goffredo Palmerini

Annotazioni sul meeting degli Abruzzesi nel Mondo, soddisfacente il bilancio di tre anni, prospettive

E’ stata un’assemblea molto diversa dalle altre quella tenuta dal 16 al 18 ottobre a Montesilvano, in provincia di Pescara, dal Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo (CRAM). L’assise dei delegati delle comunità abruzzesi giunti dai cinque continenti - la sensazione era palpabile - doveva innanzi tutto elaborare il lutto morale, la ferita profonda inferta all’immagine dell’Abruzzo dagli arresti del presidente della Regione, Ottaviano Del Turco, di altri amministratori e dirigenti regionali. Il 14 luglio scorso, in Italia una data come un’altra, ma nell’immaginario evocante la presa della Bastiglia, la notizia fu un colpo allo stomaco per tutti gli abruzzesi, ma specialmente per gli abruzzesi all’estero. Chi scrive era in Bolivia, in quei giorni, e verificò con i corregionali in quel Paese quanto fosse faticoso superare l’immediato senso d’umiliazione. La gente abruzzese è orgogliosa della propria terra. Con grandi sacrifici, nell’ultimo mezzo secolo, grazie a progetti di lungo respiro perseguiti da uomini di governo prestigiosi, come Giuseppe Spataro, Lorenzo Natali e Remo Gaspari, ma anche con una classe politica seria e competente, nella maggioranza come nell’opposizione, l’Abruzzo si è riscattato dalla povertà d’un secolare isolamento. Oggi la regione è assurta a significativi livelli di sviluppo in ogni settore - pur se negli ultimi anni ha subìto una frenata a causa della difficile congiuntura dell’economia nazionale - e s’è guadagnato rispetto e ammirazione grazie alla laboriosità, all’affidabilità e all’onestà della sua gente. In quei giorni, dunque, grandi furono il disagio e la mortificazione degli abruzzesi all’estero, quel milione e trecentomila corregionali che in ogni angolo del mondo, con testimonianze di vita esemplari, hanno edificato l’immagine dell’Abruzzo e reso un servizio straordinario alla crescita dell’Italia. Una sofferenza morale enorme in chi ha speso la vita nei paesi d’emigrazione non solo per risolvere i problemi materiali della propria esistenza, ma anche per affermare, talvolta contro non lievi pregiudizi, le qualità e i valori della comunità regionale e nazionale.

 L’Italia, nella concezione che ne hanno gli stranieri, il più delle volte è stata apprezzata e stimata per il comportamento degli italiani all’estero. Sicché, fatti come quelli di recente accaduti in Abruzzo, specie per gli abruzzesi oltre confine, diventano una vera e propria sciagura. Se ne è avuta prova all’apertura dei lavori del CRAM, dove la vicenda giudiziari è stata il “convitato di pietra” da rimuovere, così offensiva dell’impegno generoso che tutti gli abruzzesi nel mondo hanno dedicato alla buona immagine dell’Abruzzo. Certo, le responsabilità penali di quei fatti saranno a carico delle persone giudicate colpevoli, non certo all’istituzione regionale né agli abruzzesi che sono invece le parti lese. Ci si augura che presto la magistratura faccia il suo corso. E’ quindi apparso del tutto fuori luogo l’atteggiamento dell’ex presidente Del Turco, nel corso d’un noto programma  televisivo, che ha parlato di teoremi, d’un complotto di non meglio precisati poteri forti avverso la sua politica di rigore. Il processo chiarirà. Intanto, egli che vuole difendere la sua storia politica, socialista per decenni nel sindacato e nella sinistra, lascia intendere una possibile candidatura alle europee nel Pdl. Strano modo di difendere la propria storia. Ma in Italia la coerenza politica ed il rispetto degli elettori sono solo un optional, e ciascuno recita a soggetto. Alla politica compete invece una rigorosa riflessione sulla vicenda per un rinnovato patto etico con la comunità abruzzese, chiamata il 30 novembre prossimo a scegliere con il voto il futuro governo regionale e il nuovo Organo legislativo regionale.

Dopo la relazione introduttiva dell’assessore ai Trasporti e presidente del CRAM, Donato Di Matteo, è stato il presidente vicario della Regione Abruzzo, Enrico Paolini, ad aprire con il suo intervento i lavori dell’assise degli Abruzzesi nel Mondo. Con un richiamo al difficile momento che vive la Regione, ha sottolineato l’impegno del governo regionale, pur andando verso l’appuntamento elettorale, per evitare l’imposizione di nuove tasse a copertura del disavanzo della sanità e per salvaguardare presso l’Unione europea importanti progetti di investimento nei settori nevralgici dello sviluppo regionale, per il loro finanziamento. Forte l’apprezzamento di Paolini per il lavoro svolto dal CRAM in questi tre anni, riconoscimenti al presidente Di Matteo, che merita la riconferma nel prossimo mandato alla guida dell’organismo. Presenti per la Regione anche l’assessore ai Lavori Pubblici Mahmud (Mimmo) Srour e l’assessore all’Agricoltura Marco Verticelli, che hanno rimarcato le buone politiche impostate dal CRAM per le comunità abruzzesi all’estero.

Srour, d’origine siriana, ha peraltro ricordato la sua esperienza d’immigrato in Italia, studente poi ingegnere laureato presso l’università dell’Aquila, testimoniando il grande senso d’accoglienza della comunità abruzzese, fino a diventare un caso nazionale, quando venne eletto sindaco d’un piccolo comune dell’aquilano. Ha auspicato che la Regione Abruzzo continui le sue politiche di relazione con i paesi del Mediterraneo (settore brillantemente curato dall’assessore Srour, ndr), coltivando ogni occasione di dialogo tra culture e religioni, per diffondere i valori della pace e dell’accoglienza ai migranti,  naturale per una terra che ha conosciuto molta emigrazione. Verticelli, nel suo contributo, ha sottolineato la rilevanza del progetto ByAbruzzo avviato in Brasile dal CRAM e sostenuto dal suo assessorato, che ha fatto della Federazione delle Associazioni Abruzzesi (Feabra), presieduta da Franco Marchetti, il fulcro per la promozione del turismo e dell’enogastronomia abruzzese. L’investimento sulla rete associativa ha portato all’apertura di due qualificate strutture, a San Paolo e Riberao Preto, già con soddisfacenti risultati. Analogo intervento è in via di definizione in Romania. Il progetto segna una svolta nella presenza dell’Abruzzo all’estero, dove la

promozione viene affidata ad “ambasciatori” motivati, quali sono i corregionali in quei Paesi. Con il suo intervento Giuseppe Tagliente, consigliere regionale e componente del CRAM, ha riferito sull’incertezza di tenere l’assemblea, peraltro già programmata ad Adelaide, in Australia, per i gravi fatti sopravvenuti. S’è poi giustamente deciso di celebrarla in Abruzzo, terra di gente onesta che non merita d’essere considerata per come è apparsa sulla stampa, non potendosi addebitare le responsabilità dei singoli all’intera classe politica. A suo parere, un buon lavoro ha fatto il CRAM in tre anni, con ottimi risultati, ed il futuro governo regionale dovrebbe essere impegnato a continuare sulle politiche messe finora in campo. Non di circostanza il saluto del Sindaco di Pescara, Luciano D’Alfonso, nel lodare l’abilità degli abruzzesi all’estero nell’accreditare

l’Abruzzo come regione del mondo. Bisogna investire sul grande patrimonio di intelligenze, professionalità ed esperienze avanzate che detengono le nostre comunità all’estero.

A questo punto è iniziata la nutrita serie degli interventi dei consiglieri del CRAM, aperta da Rocco Artale, delegato della Germania, un Paese che, per piccole beghe tra associazioni, finora non aveva espresso rappresentanti nell’organismo. E’ stata la determinazione del presidente Di Matteo, andato direttamente a conoscere la situazione, che ha consentito l’anno scorso di definire la questione con la nomina di Artale. Emigrato nel 1962 a Wolfsburg, operaio alla Wolkswagen, poi sindacalista, quindi sindaco d’un paese dell’hinterland ed ora consigliere comunale della città, Artale è un po’ simbolo dell’integrazione e del prestigio acquisito dai nostri emigrati in Germania. Non è stato questo il solo successo d’uno dei punti programmatici qualificanti del CRAM, quale l’ampliamento della rete associativa. Sono infatti nate o sono in corso di costituzione associazioni abruzzesi in Spagna, Cuba, Svezia, Olanda, Paraguay, Romania, Colombia e Francia. A seguire, molti gli interventi dei delegati sui temi generali, sulle questioni specifiche continentali e d’ogni singolo paese: Anna Maria Michelangelo, vice presidente del CRAM, Nicola Di Teodoro e Nicola Ciammaricone (Venezuela); Ivana Fracasso, Angelo Di Ianni e Angela Di Benedetto (Canada); Franco Marchetti (Brasile); Franco Santellocco (Algeria); Simeone Di Francesco, Giuseppe Falasca e Nadia Mecoli (Australia); Anna Maria Martella, Fabio Marraffini e Giovanni Scenna (Argentina); Mario Lannutti Bonanni (Uruguay); Mario Di Cicco (Sud Africa); Giulio Inglese (Stati Uniti); Levino Di Placido (Belgio); l’on. Antonio Razzi, Enzo Alloggia e Marcello D’Emilio (Svizzera); Francesco De Santis (Lussemburgo); Anna Maria Di Giammarino (Cile); Domenico D’Amico (Associazioni Abruzzesi d’Italia); quindi delle altre rappresentanze istituzionali, associative e sindacali che hanno componenti nel CRAM, con interventi di Goffredo Palmerini (Anci), Diana Mazzone (Anfe), Mario Narducci e Francesco D’Orazio (Unaie), Giuseppe Mangolini (Aitef), Berardino Di Vincenzo (Uncem), Mario Palladoro (Uil) e Lucio Ricci (Filef).

In sintesi, un’orgogliosa valutazione del lavoro con la rassegna di progetti e iniziative, con le scelte qualificanti operate nel triennio per potenziare le attività della Regione verso le comunità abruzzesi nel campo della cultura, dell’assistenza, della formazione, delle politiche per i giovani, della valorizzazione del sistema associativo. Davvero s’è determinata una svolta nell’attuale mandato del CRAM che, con rammarico, purtroppo si conclude anticipatamente. E tuttavia si lascia alle spalle il paternalismo e la nostalgia, sostituiti con un approccio diverso e maturo che guarda alle comunità abruzzesi all’estero come risorsa. Importante la decisione

d’uscire dal guscio regionale per andare a conoscere le varie realtà abruzzesi nel mondo, le quali mai avevano visto tanta quantità di relazioni dalla regione d’origine. Il che ha rafforzato il senso d’appartenenza e lo

spirito d’iniziativa. Poi vedendo crescere una responsabile presenza giovanile capace d’elaborare programmi specifici per la terza e quarta generazione dell’emigrazione che altrimenti rischiavano di recidere il cordone ombelicale con la terra dei propri avi. Ora, grazie ai progetti deliberati nei loro Congressi tenuti nel 2006 a Santiago (Cile), poi a Mar del Plata (Argentina) e quest’anno a Montreal (Canada), nuove politiche sono state messe in cantiere per poter studiare nelle università italiane, per master post laurea, per formazione professionale presso aziende abruzzesi, per lo studio della lingua e della cultura italiana. A tale riguardo

un corposo progetto è in via di definizione tra il CRAM ed il Convitto Nazionale “Domenico Cotugno” dell’Aquila, perché giovani abruzzesi da tutto il mondo possano venire un anno in Abruzzo a studiare, con riconoscimento legale degli studi. Lo stesso rettore del Convitto, Livio Bearzi, una lunga esperienza d’insegnamento all’estero, ne ha illustrato i dettagli durante i lavori dell’assemblea.

Molto intensa anche la seconda giornata plenaria, che ha visto la partecipazione dei deputati Giuseppe Angeli ed  Antonio Razzi e dell’ex parlamentare Mariza Bafile. L’intera sessione antimeridiana è stata dedicata ai temi generali, con una forte preoccupazione per i tagli in finanziaria operati dal governo sugli stanziamenti per gli Italiani all’estero, una vera falcidia che avrà ripercussioni drammatiche sui servizi consolari e sulle provvidenze destinate ai connazionali in stato di disagio economico per l’assistenza sanitaria. Molta parte del dibattito l’ha presa un provvedimento specifico per il Venezuela, con un’appassionata perorazione di Mariza Bafile e del presidente della Fondazione Abruzzo Solidale di Caracas, Amedeo Di Ludovico. Il progetto è stato poi definito nei suoi aspetti operativi dopo un confronto tecnico politico. Attenzione è stata posta al problema dell’esenzione dall’Ici della prima casa anche per i residenti all’estero e della riforma delle scuole italiane all’estero, oggetto peraltro di proposte di legge già presentate in Parlamento e riprese nel documento finale votato dall’assemblea. Nel documento si invocano anche modifiche alla legge a sostegno della stampa italiana e alla normativa a favore delle associazioni di promozione sociale per estenderla anche all’estero, si chiedono inoltre la conferma degli indirizzi programmatici del CRAM anche nel prossimo mandato, l’implementazione della presenza giovanile e femminile negli organismi e la celebrazione in Abruzzo del Congresso dei giovani  in concomitanza con il Giochi del Mediterraneo “Pescara 2009”. Infine, l’assemblea ha deliberato all’unanimità l’iscrizione all’albo regionale dell’Associazione Abruzzese del Zulia (Venezuela) e del più antico sodalizio regionale costituito in Italia, l’Associazione Abruzzese di Roma, fondata da Silvio Spaventa nel 1886.

In serata, una sorpresa speciale. Su invito di Domenico D’Amico, presidente dell’Associazione La Maiella” di Rho che nel maggio scorso l’ebbe ospite in un applauditissimo spettacolo, l’attrice Daniela Musini ha tenuto per i consiglieri del CRAM un recital di liriche dannunziane. Ricorre quest’anno il 70° anniversario della morte di Gabriele D’Annunzio, il grande scrittore poeta e drammaturgo nato nel 1863 a Pescara. Vincitrice di numerosi premi, Daniela Musini è stata di recente insignita a Lugano (Svizzera) del Premio Internazionale 2008 “Donna dell’Anno per la Cultura” con l’Alto Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

L’attrice ha tenuto molti spettacoli in Italia e presso gli Istituti italiani di Cultura di Berlino, Istambul, Ankara, Kyoto, Varsavia e Colonia. Autrice teatrale e scrittrice, vanta diverse pubblicazioni di successo. L’artista, studiosa della vita e delle opere di D’Annunzio, in un contesto del tutto estemporaneo ed improprio, s’è espressa in una performance di eccellente levatura, a riprova d’un eclettismo raro. Colta e raffinata, Daniela Musini ha intrigato i suoi spettatori dapprima narrando sprazzi di vita del Vate, poi interpretando del Poeta due liriche: “La pioggia nel pineto” e  “L’onda”. Un dono inaspettato, magnifico ed indimenticabile, a chiudere in bellezza l’ultima riunione di mandato del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo.

IL DRAMMA DELLA MALARIA NELL’AFRICA SUB SAHARIANA

di Pietro Iovenitti

Una testimonianza dal Centro Ospedaliero di Anyama, in Costa d’Avorio

Il 2 gennaio del 1960 Fausto Coppi saluta per sempre il suo pubblico, l’uomo che pedalava più veloce del vento diviene una leggenda. Il suo corpo invaso dal Plasmodium cede di schianto, mal curato da alcuni medici. La malaria, più forte delle salite dello Stelvio, spezza come un fuscello l’invincibile Coppi. Nessuno aveva intuito che la febbre che lo aveva assalito una volta tornato dall’Alto Volta potesse dipendere dalla malaria. Da quarant’anni la malattia non è più endemica nel nostro paese dopo essere stata eradicata a cavallo tra gli anni ’40 e ’50. Oggi ritroviamo in Italia solo qualche centinaia di casi di malaria di “importazione”, turisti sfortunati e poveri immigrati. Tutto questo sta a significare che da qualche decennio la maggior parte dei medici del nostro paese non ha mai assistito, durante la pratica clinica, a un accesso palustre. Grazie al cielo abbiamo rimosso la malaria dalle nostre preoccupazioni e ne abbiamo cancellato ogni ricordo. Ma allo stesso tempo nei paesi del cosiddetto terzo mondo la malaria uccide ancora, lasciando dietro di sé una lunga scia di vittime. Per parlare di malaria c’è bisogno di avvicinarsi e guardare negli occhi questa malattia. Il termine “malaria” deriva dalla parola medievale “mal aria” e “paludismo” dal termine latino “palus, paludis” (palude) in quanto si credeva che la malattia potesse essere trasmessa dalla cattiva aria stagnante delle paludi. Soltanto a fine Ottocento si comprese che una specie di zanzara era responsabile della trasmissione della malattia all’uomo. Ma il concetto delle paludi e dell’aria stagnante c’entrano ancora qualcosa con la malaria. Infatti la zanzara, vettore della malaria, si sviluppa nelle sue prime tre fasi vitali proprio in ambiente acquatico ed ecco che le zone paludose, umide e stagnanti rappresentano un ambiente favorevole per la crescita e la sopravvivenza dell’insetto.

In poche parole la malaria è una malattia infettiva trasmessa all’uomo dalla zanzara femmina del genere Anopheles la cui puntura inocula nell’uomo il parassita Plasmodium  - ne esistono quattro specie, tra cui la più pericolosa è il Plasmodium falciparum - responsabile del quadro clinico. La malaria ha un periodo di incubazione di 10-12 giorni. I plasmodi iniettati nell’uomo dalla zanzara raggiungono il fegato dove si riproducono molto rapidamente ritornando successivamente nella circolazione sanguigna dove invadono e distruggono una buona parte dei globuli rossi. A questo punto si manifestano i sintomi della malattia caratterizzati da febbre alta, cefalea, brividi, sudorazioni, dolori muscolari e addominali, vomito, diarrea, splenomegalia, allucinazioni e anemia. In

alcuni casi la sintomatologia è così grave da portare alla morte (malaria cerebrale). In ogni caso la prognosi dipende molto da una tempestiva diagnosi e da una corretta terapia. Ancora oggi il 40% della popolazione del globo è esposta alla malaria. Ogni anno, nel mondo, si verificano circa 500 milioni di casi di malaria acuta, tra cui 2 milioni di decessi soprattutto bambini sotto i 5 anni di età e donne incinte. Si calcola che ogni 30 secondi un bambino muore a causa della malaria. In alcuni paesi la

malattia provoca una notevole perdita economica e le spese per combatterla assorbono più del 40% del bilancio sanitario. Ancora una volta il sud del mondo è colpito da questo flagello, soprattutto l’Africa sub sahariana che “ospita” oltre il 60% dei casi di malaria e oltre il 90% delle morti ad essa attribuibili. Nonostante l’impiego delle zanzariere impregnate con insetticidi e dei farmaci anti-malarici (clorochina, chinino e derivati dell’artemisinina) la situazione resta ancora molto preoccupante. 

Appena arrivati in Africa anche noi, come medici, ci siamo dovuti scontrare con questa terribile malattia che avevamo studiato superficialmente sui testi universitari. Abbiamo dovuto riprendere in mano un vecchio libro di malattie infettive e grazie ad internet e ai consigli di alcuni colleghi ivoriani abbiamo iniziato a capirci qualcosa. Nei paesi dove la malattia è endemica, e tra questi la Costa d’Avorio, quasi tutti sono colpiti almeno una volta dalla malaria. Nella maggior parte dei casi gli accessi palustri si ripetono nel corso del tempo minando l’integrità fisica delle persone. Se alla malaria si aggiunge la malnutrizione, il caldo insopportabile e alcune altre affezioni come la febbre tifoide, la tubercolosi e l’AIDS, allora la situazione diviene complicata. Un terzo delle consultazioni prenatali presso il nostro ospedale riguarda donne gravide affette da malaria. Ogni anno in Africa 30 milioni di donne gravide contraggono la malaria e circa 10.000 perdono la vita. Tale patologia, se contratta in gravidanza, oltre a provocare danni sulla madre aumenta considerevolmente il rischio di aborto, rottura prematura delle membrane, ritardo di crescita intrauterino, parto pretermine e morte in utero. Quando una donna gravida affetta da malaria si reca in consultazione riferisce una serie di sintomi utilizzando delle espressioni tipiche in un francese approssimativo, come ad esempio: “je suis fatiguée” (sono stanca), “je ne mange pas” (non riesco a mangiare), “ma tête me fait mal” (ho mal di testa), “je vomit” (vomito), “mon corps chauffe” (ho la febbre), “je pisse jaune” (la mia urina ha un colore giallo scuro).

Solo le più fortunate possono raggiungere un ospedale per essere curate. I casi lievi necessitano di una terapia orale a base di chinino e paracetamolo, mentre i casi più gravi richiedono l’ospedalizzazione e l’infusione di potenti antimalarici. Ma la maggior parte delle donne colpite non ha i mezzi per recarsi in ospedale e resta a casa in preda a crisi terribili. Una sensazione di freddo intenso invade il corpo, poi sale la temperatura e interviene una profusa sudorazione. Le forze vengono a mancare, si perde l’appetito, si è scossi da crampi addominali e si iniziano

a vedere inesistenti animali che corrono sulle pareti. Quando si tratta poi di malaria cerebrale la donna perde la coscienza, entra in coma e se non riesce a curarsi immediatamente rischia la morte. I casi che vediamo ogni giorno sono centinaia, la terapia è ben codificata e sembra ottenere buoni risultati, ma non si assiste ad un arresto dell’endemia, ad una bonifica dei territori e all’eliminazione del vettore. Tristemente nell’Africa sub sahariana i risultati sono ancora marginali e la malaria continua ad andare a braccetto con la povertà e il degrado ambientale.

L’altra sera ho visto un documentario molto toccante sul genocidio consumatosi in Ruanda nell’aprile 1994. In quell’occasione furono massacrati a colpi di macete circa 800.000 tutsi e hutu moderati per mano di alcune frange di hutu estremisti. Tutti i capi di stato e i rappresentanti delle maggiori organizzazioni internazionali, rimasti immobili e indifferenti durante il massacro, giurarono sui propri figli che una tale barbarie non dovesse più ripetersi. Da allora in Palestina, in Irak,

in Congo, in Sudan e in tante altre parti del mondo sono accadute più o meno le stesse cose. Non solo guerre e stermini, ma anche malaria e HIV, dissenteria e fame hanno decimato e continuano a farlo i più poveri, mentre il resto del mondo resta a debita distanza quasi facendo finta di non sapere. Tristemente un nuovo Ruanda, un'altra guerra mondiale, un altro olocausto si ripetono tutti i giorni. 

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IL MOLISE PROTAGONISTA AL SALONE DEL GUSTO DI TORINO

di Angelo Lo Rizzo

Un inaspettato successo ha ottenuto il Molise con la sua partecipazione al Salone del Gusto di Torino, grazie anche e soprattutto  per le degustazioni guidate a cura dell’esperto gastronomo Pierluigi Cocchini e per i prodotti della tradizione pastorale e contadina molisana e “last but not least” per gli appetitosi piatti serviti come la zuppa a base di legumi, porcini e tartufo per i formaggi di latte vaccino, come manteche, ricotte, scamorze, stracciate e caciocavallo. Il tutto innaffiato con gli ottimi vini del territorio, in primis la Tintilia, uva autoctona che stupisce ed incanta palati di esperti e non.

La manifestazione, inaugurata alla presenza del Presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso, del Sindaco di Torino Chiamperino e del presidente Slow Food Carlo Petrini, nonché del Ministro alle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Luca Zaia ha offerto più di uno spunto sulle emergenze attuali riguardo il cibo, sia a livello mondiale che locale. Nel corso dei lavori si è parlato, fra l’altro, del “new deal” di Slow Food, degli impegni relativi all’esaltazione del ruolo dell’agricoltura al fine di riportare il cibo al suo valore più autentico.

Tutti discorsi pienamente calzanti nella realtà molisana, come ha sottolineato Nicola di Niro del Moligal: “non è casuale la nostra partecipazione a questo Salone internazionale – ha riferito l’esperto del Moligal – a chiusura del programma di Cooperazione Transnazionale Leader con i nostri partner abbiamo deciso di sostenere una serie di eventi volti alla valorizzazione delle tipicità del territorio, che ha tutte le prerogative per promuoversi attraverso le sue stesse realtà”.

Col Salone del Gusto continua l’impegno del gruppo di azione locale molisano da poco rientrato dal Salone Internazionale dell’Agroalimentare di Parigi, dove la presenza del Molise si è concretizzata con la nascita di una nuova realtà associativa. “Con il partenariato europeo abbiamo chiuso un importantissimo accordo – ha continuato di Niro – siamo promotori e primi attori dell’Associazione Europea della Produzione di Qualità che vede sostenitori del progetto anche portoghesi e francesi.”

Insomma il Salone del Gusto di Torino rappresenta veramente un importante punto di riferimento per gli operatori pubblici e privati che promuovono l’offerta turistica legata all’enogastronomia, ed una privilegiata vetrina anche per piccoli e medi centri che desiderano farsi conoscere.

IL MONDO DELL’AGRITURISMO AD AREZZO

di Franca Vitone

settima edizione di AgrieTour

Per tre giorni, dal 14 al 16 Novembre, la campagna italiana si incontrerà al Centro Affari di Arezzo, in occasione della settima edizione di AgrieTour, l’evento – unico in Italia – interamente dedicato all’agriturismo ed al suo inconfondibile stile di vita.

Secondo i dati ISTAT supererà il miliardo di euro il volume di affari legato al settore dell’agriturismo in  questo 2008. E, secondo le proiezioni presentate dalla Coldiretti, a fine anno, si potrà contare su un’ulteriore crescita di presenze nei circa 18 mila agriturismo sparsi nella penisola.

Patrocinato dal Ministero per le Politiche Agricole e dall’ENIT e con la partecipazione attiva di Agriturist, Terra Nostra, Turismo Verde, Regione Toscana, Agenzia Toscana Promozione, Camera di Commercio, Comune e Provincia di Arezzo, Agrietour è ormai diventato un appuntamento da non perdere per i sempre più numerosi appassionati di questo genere di vacanze ma anche, e soprattutto, per gli operatori di settore.

 “Con i suoi workshop, i Master di aggiornamento, la promozione di pacchetti speciali – spiega Franco Fani responsabile della manifestazione – Agrietour è diventato un punto di riferimento essenziale per chi opera nel comparto. Basti pensare che in questa edizione ospiteremo circa 600 espositori mettendo a disposizione 15.000mq della nostra struttura. Senza dimenticare che la presenza di oltre 100 buyers italiani ed internazionali testimonia il successo di questo appuntamento”.

Il turismo rurale, per definizione, è un prodotto estremamente personalizzato, cioè un prodotto che difficilmente si può standardizzare. Turismo rurale significa partecipare ad un clima, ad una situazione, ad un tipo di vita ben definito, che non si può conciliare con modelli economici e sociali di massa. Proprio per questo il turismo in campagna cresce ogni anno. Piace al turista la vacanza a contatto con la natura, il ritrovare ritmi lenti, cibi genuini e l’occasione di praticare sport all’aria aperta. Soggiornare in un’azienda agrituristica significa gustare un modo diverso per avvicinare la natura e scoprire il territorio, con la possibilità di spostarsi costruendosi un itinerario personalizzato, per andare alla scoperta di specialità locali, piatti regionali, artigianato e prodotti tipici.

Infatti la scoperta di antichi piatti, di sapori genuini, di una cucina in qualche modo familiare rappresentano per l’agriturista dei valori cui è difficile rinunciare. Non per niente uno dei momenti più attesi della settima edizione di Agrietour è proprio il Campionato italiano della Cucina

Tradizionale, una gara in cui gli chef provenienti dai diversi territori si sfideranno a colpi di gustosi piatti della tradizione.

IL PIANTO DI UNA CASA

di Raffaella Santulli

C’ero una volta…

Vera ed aperta al mondo, benché mi affacciassi su una piazza gelida ed inamabile, dura come le sue pietre ed i suoi abitanti, inospitale.

Fortilizio e nido ho difeso la mia signora, almeno in una qualche tollerabile misura: le mie finestre erano cieche.

L’ho isolata perché lei potesse sentire se stessa: i suoi passi, il respiro che le soffiava dentro, il rumore del suo cuore che spesso l’agitava e ne rompeva il ritmo.

Sono stata la sua casa, il suo specchio, il suo volto, la ripetizione che ha potenziato la sua vita. L’essenziale, la sua avventura, quella più rischiosa, difficile ed anche seducente l’ha scommessa qui; la sua capacità o incapacità di amare e di costruire, di avere e di dare felicità, di crescere con coraggio o di rattrappirsi nella paura: è qui che si è messa in gioco e a rischio.

Sono stata il luogo centrale della sua esistenza, con il suo bene ed il suo male, e dunque pure dell’impegno, dell’intensità di vivere, delle passioni più forti, talora devastanti: per il compagno della vita.

I bimbi non mi hanno popolato ed allora le manie più assortite l’hanno fatta da padrone.

Generazioni di cameriere hanno spolverato libri ammucchiati in ogni dove e lucidato maniglie, pomoli ed argenti.

E allora giovinotto: fermati.

Non sono stata per molti anni anche il tuo rifugio?

Non distruggere la mia aura.

SPIGOLATURE

di Francesco M.T. Tarantino

Il Purgatorio

In occasione del 2 novembre, giorno dei morti, i nostri cimiteri si affollano.

Fiori, lumini, preghiere, messe e quant’altro.

Va tutto bene! Per onorare i propri defunti, per il decoro dei loro sepolcri, per la quiete delle coscienze. Ogni cosa è demandata alla discrezionalità di noi viventi e in questo non entro in merito.

Che cosa ne riceve il defunto?  NULLA.

Perché far credere che le succitate cose giovino ai nostri morti?

Non c’è nessun fondamento se non una forma di superstizione o, se si vuole, di tradizione o, peggio, di credenza religiosa. Non c’è traccia nelle Sacre Scritture del cosiddetto “purgatorio”.

Al contrario nel Vangelo di Luca al capitolo 16 verso 26 è scritto chiaramente che non c’è luogo intermedio tra l’inferno e il paradiso e non esiste possibilità alcuna di eventuale passaggio dall’uno all’altro luogo.

E ancora nello stesso Vangelo, al capitolo 23 verso 43, Cristo stesso dice al malfattore crocifisso con lui, ravvedutosi in quel momento, “oggi stesso sarai con me in paradiso” cioè subito! Non dopo essere passato per il purgatorio un’imprecisata quantità di anni ma, ripeto, “oggi stesso”.

Cosa si nasconde dietro la dottrina del purgatorio?

Si specula sulla pietà per i morti ventilando la possibilità di affrettare il passaggio da questo ipotetico luogo di sofferenza, al paradiso che è luogo di beatitudine eterna. E tutto questo per i soldi, tanti soldi, soltanto soldi. Denaro in cambio di indulgenze!

Eppure Cristo si arrabbiò (forse l’unica volta) proprio contro coloro che espletavano questo mercimonio nel tempio.

Confronta il vangelo di Giovanni al capitolo 2 versi 14-16.

IL TURISMO DEL MARE IN VETRINA

di Franca Vitone

Al quartiere fieristico di Pesaro

A Pesaro, la città ove aleggia ancora l’armonia delle musiche di Gioacchino Rossini, si è conclusa nello scorso ottobre la 14^ edizione della Borsa del Turismo del Mare, un evento che rappresenta uno dei più importanti avvenimenti borsistici dedicato alle vacanze in località balneari.

Oltre 400 sono stati gli operatori del settore provenienti da tutto il territorio nazionale e che hanno partecipato all’affollato workshop, avviando contatti con ben 60 buyers, selezionati dall’ENIT, arrivati da 15 Paesi europei., dall’Austria agli U.S.A., dalla Germania alla Russia, dalla Francia all’Olanda, e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Presenti  anche 20 rappresentanti di CRAL e Dopolavoro delle principali aziende pubbliche e private italiane. Una vera e propria vetrina internazionale della domanda e dell’offerta, divenuta ormai un appuntamento consolidato nel panorama italiano delle borse turistiche.

La manifestazione promossa dall’ENIT, dall’Ente Fiere di Pesaro, dalla Regione Marche, dalla Camera di Commercio di Pesaro-Urbino, da Unioncamere, dall’Alitalia e, infine, dalle Associazioni di categoria Confesercenti e Confcommercio, si è confermata un vantaggioso momento di aggiornamento professionale ed un’occasione ideale per trattare scambi ed affari.

Protagonista dell’evento è stato, ovviamente il “mare”, che rappresenta il segmento più gettonato e che rappresenta migliaia di strutture ricettive lungo i 7.500 chilometri di spiagge del le coste italiane., ma gli organizzatori hanno voluto offrire ai partecipanti anche un Educational Tour per portarli alla scoperta dell’arte, dei paesaggi e delle eccellenze gastronomiche non solo della costa ma anche dell’entroterra pesarese.

Il turismo balneare –ha affermato Eugenio Magnani, Direttore Generale dell’ENIT . è “un prodotto che va sostenuto e promosso con maggiore efficacia, soprattutto in tempo di globalizzazione per contrastare in maniera adeguata l’offerta dei nostri maggiori competitor internazionali, sempre più agguerrita e sferrata su vari fronti”.

INSOFFERENZA E DIFFIDENZA: ATTEGGIAMENTI DETTATI DA ASPIRAZIONI SOFFOCATE

di Alessandra Maradei

I tagli della Finanziaria, il decreto che ripristina il maestro unico, hanno contribuito a far esplodere la polveriera “mondo dell’istruzione”.

La protesta partita sottovoce sta dilagando dalle elementari alle università, sottoponendo alla nostra attenzione contrasti che in molti atenei hanno alzato il livello, decretando il passaggio dalle scaramucce al conflitto vero.

C’è chi ha parlato di “nuovo ‘68” per etichettare e contrassegnare questi movimenti,anche se quella che stiamo combattendo non è una battaglia contraddistinta da bandiere politiche.

La nostra è una battaglia che punta l’indice contro la possibilità che il diritto al lavoro e un futuro dignitoso non siano l’approdo di anni di studio e sacrifici.

Il clima incandescente di questi giorni mi ha spinto a riflettere e a condurre un’analisi delle situazioni con cui siamo costretti a convivere: raccomandazioni, favoritismi, meccanismi baronali nell’edificazione della carriera.

E’ ormai la cultura del compromesso ad insinuarsi abilmente nella maglie della nostra società .

Sperimentando personalmente le conseguenze di questo gigantesco realismo, i ragazzi sono sempre più indotti a chiedersi : quanto contano le raccomandazioni? Esiste ancora la capacità di riconoscere il merito? Quanto contano la creatività, il talento, la capacità di innovare trovando anche il modo di imporsi?

Il nostro non è un paese per bravi: spesso bastano un pizzico di furbizia e di accondiscendenza verso i docenti per guadagnarsi un bel voto.

I ragazzi che vorrebbero essere valutati onestamente perché lo studio è una forma di affermazione sociale, di crescita sul piano personale finiscono per diventare diffidenti: ci si aspetta molto di più dalle Università, e anche se i voti sono gratificanti, è difficile dirsi davvero valorizzati.

La mia non è rassegnazione: certo è che la generazione dei nati tra  ‘83 e ‘86 dovrà contare molto su sé stessa.

Non c’è più spazio per sogni ed ambizioni. Il nostro sguardo sulla società è più realistico, responsabile: la crisi economica è un’occasione per ripensare le regole del gioco.

Verrà probabilmente meno la conferma del prestigio individuale, segnata in questi anni da superstipendi.

E’ importante fare gruppo, non si può fare carriera puntando solo su una formazione specialistica, ma investendo su cultura e capacità di relazionarsi.

“IST AM 24.3.1944 GESTORBEN”

di Francesco Aronne

Novembre mese dei morti. I cimiteri si preparano alla loro primavera d’autunno. Il primo pensiero di ognuno va ai propri cari che hanno lasciato questo mondo. Gesti e riti consumati nel tempo, consuetudini, che ripropongono l’illusione del flebile ricongiungimento in questi giorni di attenzione oltre la soglia dello spavento supremo con chi ci attende di là da quel varco.

Percezioni personali che snocciolano pensieri fortemente soggettivi per chiunque passeggia fra le tombe amiche, posa un fiore, accende un cero. L’ombra della nera Signora è ovunque: dietro ogni lapide, tra inutili orpelli segnati inesorabilmente dal trascorrere del tempo, nelle iscrizioni e negli epitaffi, tra le foto di quanti, di ogni età, ci ricordano che quel che noi siamo loro furono e quel che loro sono noi saremo. La nostra vacuità.

Come un conforto è l’andirivieni del formicaio umano che brulica in questi giorni nei cimiteri: mal comune mezzo gaudio dice un vecchio e saggio adagio…

I cimiteri ripropongono il più delle volte una iconografia sin troppo impregnata da immagini dantesche (mirabilmente interpretate da Dorè): città dolenti, eterno dolore, perdute genti… A volte, però, la mente attraverso imperscrutabili meccanismi associativi ci riporta lontano: il cimitero ebraico di Praga, sette strati di tombe sovrapposte e nello strato superficiale schegge di pietra con incomprensibili iscrizioni, che sembrano grida, anzi urla di atroce sofferenza, che si eleva da questo popolo al mondo. Il cimitero detto degli inglesi di Roma. I cimiteri della Galizia dove nessuna foto è messa sulle tombe, antiche pietre avviluppate da muschi e licheni. I piccoli cimiteri di due o tre tombe vicine ad una chiesetta su spopolate isole greche. E tante altre ed altre le immagini che si accalcano.

Luoghi sacri e distanti, anche per i culti e per le culture che li governano, scelti perché con la pietà umana si conservi in qualche modo un frammento della vita, o comunque qualche ricordo, di quanti ci hanno consegnato in custodia il pianeta in cui viviamo.

Vi sono poi altri luoghi, noti o ignoti, conosciuti o occulti, che hanno inghiottito tragicamente tante (o poche) vite, diventando di fatto sinistri luoghi di sepoltura, sconsacrati cimiteri, loro malgrado. Il ricordo delle vicende, ove note, che li hanno resi tali, mostrano l’altro lato della morte, quello tragico di prematuro capolinea per tante, troppe vite inesorabilmente e crudelmente recise. Spesso la retorica del ricordo di tragici eventi, in cui è facile inciampare, li fa diventare patrimonio collettivo ma ne rimuove la crudezza delle atrocità commesse, l’inammissibile e cieca violenza, l’insopportabile fetore di carni putrefatte che esala da corpi straziati. Una sorta di imbalsamazione che edulcora o allontana, mitigandola, l’assurdità di eccidi propri ed esclusivi della nostra specie nell’intero regno animale.

Salvo poi capitare, di accedere a questi luoghi per vie traverse, e scoprire che emanano ancora urla strazianti, nonostante l’apparente silenzio e irreale quiete che li avvolge. Ricordo la visita alla risiera di San Saba a Trieste, il passaggio per Dachau in Baviera, gli uffici della Gestapo a Berlino, la stessa e vicina Ferramonti di Tarsia, Luoghi tutti segnati da un folle delirio che pervase l’Europa, mutando tragicamente il destino di milioni di uomini. Luoghi che trasmettono ancora forti ed inquietanti sensazioni. Ma potremo citarne altri coevi o di altre epoche, anche contemporanei e figli di altre ideologie o religioni (gli eccidi Khmer in Cambogia, la Siberia staliniana, il Ruanda, i Balcani, la Cecenia, il massacro dei Curdi e tantissimi altri).

Tutti accomunati da un unico tremendo orrore: massacri o luoghi di inenarrabili sofferenze!

La memoria è un dovere che diventa antenna per captare le energie che ancora questi luoghi promanano. Nei primi giorni di novembre, estendere il ricordo a questi brandelli di umanità significa avere percezione della complessità del destino umano, costretto a misurarsi con una forza oscura, poliedrica e costantemente in agguato: il male!

Ed è così che leggendo “I segreti di Roma” di Corrado Augias mi sono imbattuto in un capitolo dal titolo che ho voluto riproporre, anche come ringraziamento all’autore per le sue 24 intense pagine, in questa emissione novembrina. La frase del titolo, in tedesco, era contenuta in un biglietto fatto recapitare nei giorni successivi alla data riportata, con teutonica precisione, a molti dei parenti delle vittime. Si diceva, laconicamente che il signor tal dei tali il giorno 24 marzo 1944 era morto.

Al lettore più attento la data avrà dato un equivocabile indizio sulla strage di cui si parla: le Fosse Ardeatine. Tragico episodio consegnato alla storia e partorito dagli ultimi rantoli di una folle ideologia al suo crepuscolo.

Non si vuole qui riproporre nei suoi risvolti l’accaduto, rimandando e raccomandando l’eventuale interessato lettore, ma anche tutti gli altri, alla lettura integrale del capitolo dell’opera citata, dove il colto autore con lo stile che gli è proprio, fatto di garbo ma anche di mirabile precisione storica e zelante ricerca, offre un’appassionante e toccante descrizione di quel tragico contesto e ne fa rivivere nei dettagli l’immane tragedia.

Lo spunto che si vuole qui cogliere, è di una riflessione che partendo da quanto accaduto riguardi l’uomo. Un ordine assurdo che non lasciò

indenni persino i carnefici (il maggiore Hellmut Dobbrick comandante del 3o battaglione SS che aveva subito l’attacco si rifiutò di eseguire l’ordine) trovò alla fine i macabri esecutori. L’uomo che tortura con efferatezza, l’uomo che uccide senza pietà, l’uomo che si nasconde vigliaccamente dietro un ordine, l’uomo che gioisce per l’altrui sofferenza e dolore e mette a disposizione il suo ingegno per la realizzazione di efferati strumenti e metodi di tortura, l’uomo che riesce ad abbandonarsi ai suoi piaceri tra le urla di torturati che sopraggiungono dalla stanza vicina. Poco importa il colore di una divisa, lo sconfitto e l’uomo che erra confuso da millenni dopo la cacciata dall’Eden.

In quell’eccidio furono uccisi in 335 (anzi in 336, compresa un’anziana donna intenta a raccogliere cicoria nei paraggi dell’attuale sacrario, falciata da un milite tedesco  per non essersi fermata all’alt) : c’erano fra loro agenti di polizia e venditori ambulanti, operai e camerieri, medici ed ufficiali, carabinieri ed impiegati, ferrovieri e musicisti, studenti e tipografi, professori e contadini. Settanta erano ebrei(…)Il più giovane aveva 14 anni, molti i giovani fra i 18 ed i 20 anni. Del primo carico faceva parte, tra gli altri, Don Pappagallo, che con eccezionale vigore riuscì a liberarsi dai lacci e, alzando le braccia, benedisse i suoi compagni di pena. Gli aguzzini non osarono interrompere quel povero gesto di pietà.

Il massacro proseguì ininterrottamente per l’intero pomeriggio, in un’orgia di colpi e di grida, nel puzzo del fumo, del sangue, degli escrementi, con gli stessi carnefici che ad un certo punto dovettero essere ubriacati per continuare quell’infame lavoro. La precisione e la rapidità che Kappler aveva teorizzato non ressero alla prova dei fatti. E man a mano che i cadaveri ingombravano le gallerie, i nuovi arrivati erano costretti ad inerpicarsi sui corpi delle vittime per essere a loro volta assassinati. I militari, ubriachi, non sparavano più con la precisione richiesta…

Le gallerie colme di cadaveri furono fatte saltare con l’esplosivo e per coprire l’odore insopportabile che ne proveniva, i nazisti, nei giorni seguenti, fecero scaricare alcuni camion di spazzatura davanti agli ostruiti ingressi. Inutile ed assurdo tentativo per un impossibile occultamento.

Chiudiamo questo tragico ricordo riportando le parole che Attilio Ascarelli, docente di medicina legale alla Sapienza, ci ha lasciato sul rinvenimento dell’eccidio:

“Inoltrandosi all’interno delle lugubri gallerie un senso di freddo invadeva il visitatore oppresso da un fetore ammorbante al quale era difficile resistere, fetore che dava la nausea e stimolava il vomito. Non vi è chi sia entrato per una volta in quel luogo di tristezza e di martirio che non ne abbia portato un senso indimenticabile di orrore, un senso di pietà per le vittime, di esecrazione per gli uccisori… I membri della commissione ne rimasero atterriti.”

R.I,P.

LE PRESIDENZIALI USA VISTE DALL’ITALIA

di Emanuela Medoro

La battaglia finale

Un sondaggio Gallup pone agli elettori la seguente domanda: nelle ultime settimane sei stato  contattato per il tuo voto per le presidenziali, di persona, per email, posta, o altro?Il risultato è stato si per il 38% per Obama, per il 30% da McCain. Dunque la campagna di Obama è stata più intensa,

C'è stato l'intenso lavoro  dei gruppi del suo grassroot movement, movimento di base, su un  modello sperimentato a Chicago,  si tratta di una fitta rete di volontari che a livello locale,  anche in luoghi sperduti e mai raggiunti dalla politica, hanno organizzano una fitta rete di incontri, centinaia di telefonate, visite porta a porta, dibattiti con proiezione di video, messaggi online.

Gli ultimi messaggi online sono: “Alzati e combatti per  la vittoria” da parte di McCain, il messaggio di un militare rivolto a tutti, in generale, il messaggio di un combattente, ricordiamo che ha subito cinque anni di prigionia  e torture  durante  la guerra del Vietnam, torture di cui porta i segni. Obama, invece, dice “E' nelle tue mani, Emanuela”, ovvero è un messaggio reso fortemente personale dall'uso del nome del destinatario.

Tutti i sondaggi danno Obama vincente, ma notiamo che i sondaggi Gallup indicano un lento e costante recupero di McCain.

Ed Hillary che fa? Quest'anno si rinnova non solo il presidente, ma anche il congresso ed il senato. E qui sono attivissimi sia lei che il consorte Bill, nel sostenere candidati  donne e uomini per vincere posti al senato di importanza strategica.

Ed ora vorrei prendere in considerazione un   aggiornamento Gallup del 27 ottobre basato su più di 21,000  interviste condotte nel mese di ottobre riguardo al rapporto tra intensità della vita religiosa, vista come frequenza nelle chiese ed espressione di voto. Qui John McCain vince in modo schiacciante, con un margine di 37 punti, fra i  bianchi  non ispanici che frequentano la chiesa ogni settimana, mentre Obama domina fra i bianchi che ci vanno poco o mai. Il gruppo dei bianchi non ispanici che frequenta la chiesa quasi ogni settimana, cioè meno degli altri, sostiene McCain con un margine minore, di 12 punti. La relazione  fra la frequenza in chiesa ed il modo di votare era già stata chiarita nelle precedenti elezioni presidenziali, e l'analisi dei dati raccolti in ottobre dice che anche quest'anno non c'è differenza. In particolare la correlazione positiva fra intensità religiosa ed il voto repubblicano per la presidenza è parte del panorama politico americano da molti anni.

A questo proposito devo dire che Obama nei suoi comizi parla non di religioni che dividono, ma di fede in valori che uniscono tutti, cristiani cattolici e protestanti, musulmani, ebrei, indù,  fede in un comune destino che ha contribuito alla crescita dei  valori dell' America e che oggi deve servire a superare tutte le divisioni esistenti. E' un' idea fondante del multiculturalismo di Obama, idea fortemente condivisa dalle sue immense folle che scandiscono lo slogan: Yes, we can. 

A conclusione di questo articolo finale devo dire che il termine cristiano è purtroppo non solo usato, ma parecchio abusato, in quanto si definiscono cristiani anche i membri del  nefando e funesto KKKlan, gli incappucciati

bianchi famosi per fare roghi di neri nel sud (Ricordate il film Mississipi burning?) Klan che noi   credevamo sciolto per sempre, ma che è ricomparso agli onori delle cronache recenti, in relazione ad una progettata strage di neri che doveva culminare con l'assassinio di Obama, per ora il tutto è stato sventato. Un incubo presente in tutta questa campagna elettorale, e che  se mai Obama dovesse arrivarci, lo sarà anche nella presidenza, nel ricordo di Abramo Lincoln, freddato perché aveva osato affrancare gli schiavi, di John e Bob Kennedy e di Martin Luther King.

La candidatura di Marisa Bafile segna una svolta per l’Abruzzo

di Goffredo Palmerini

In lista con Carlo Costantini, candidato del centrosinistra, apre alla Regione una porta sul mondo

 

E’ molto più d’un gesto di sensibilità verso le comunità abruzzesi nel mondo la candidatura di Marisa Bafile nel listino maggioritario dell’ on. Carlo Costantini, candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Abruzzo, nella consultazione elettorale del 30 novembre prossimo. Segna invece una svolta vera per l’Abruzzo, regione che nel secolo scorso ha conosciuto largamente l’emigrazione in tutti i continenti, con una comunità all’estero oggi stimata un milione e trecentomila persone, tanto quanto la popolazione residente sul territorio regionale. La presenza in lista di Marisa Bafile - per due anni parlamentare eletta nella circoscrizione estero del sud America e fino all’aprile scorso Segretaria nell’ufficio di presidenza della Camera dei Deputati – segna davvero una svolta per l’Abruzzo, indicando anche per altre regioni un esempio virtuoso d’attenzione verso i connazionali all’estero che voglia affrancarsi dal paternalismo e dagli stereotipi che ancora persistono nella mentalità di larga parte della classe politica italiana. Marisa Bafile, infatti, per formazione culturale e per visione politica interpreta l’esatto contrario di certi clichés che ancora resistono nella visione comune del fenomeno emigratorio italiano. Dunque una scelta  importante, che qualifica il centrosinistra per averla adottata e che segna un’apertura verso la realtà dell’emigrazione abruzzese oggi, una volontà di valorizzarla come risorsa d’inestimabile qualità.

Per chi abbia un minimo d’interesse vero, e d’umiltà, l’avvicinarsi alle comunità abruzzesi all’estero permette di scoprire un patrimonio inimmaginabile di risorse umane, professionali ed imprenditoriali, di valori civili impersonati dagli Abruzzesi ed incardinati nelle società dei Paesi d’emigrazione che porta loro una messe di riconoscimenti, stima e prestigio, guadagnati sul campo in decenni d’impegno competitivo, talvolta contro supponenze e pregiudizi. Oggi gli Abruzzesi all’estero sono considerati per il loro valore umano, sociale, creativo ed intellettuale. Hanno raggiunto risultati importanti in ogni campo, nel lavoro, nelle imprese e nei ruoli di responsabilità che espletano nei Paesi in cui vivono. Le generazioni successive alla prima emigrazione oggi esprimono una schiera di personalità, emergenti in ogni settore della vita sociale e civile, dall’imprenditoria alle professioni, dall’economia alle università, dalla ricerca alla politica. Riscattando le condizioni di povertà dignitosa che furono alla base della loro emigrazione in ogni continente, lasciando i borghi delle nostre montagne o i paesi delle pianure ancora soggiogate dal latifondo, gli Abruzzesi hanno contribuito, specie nell’ultimo mezzo secolo, alla crescita dei Paesi d’accoglienza, guadagnandosi rispetto e stima con le generose testimonianze di vita che hanno saputo dare. In quelle stesse terre, dal nord al sud America, dall’Africa all’Australia, in ogni paese della vecchia Europa, essi hanno realizzato una fitta rete associativa che se da un lato ha conservato l’identità regionale, dall’altro costituisce un cespite su cui sono edificate le ragioni stesse del riconoscimento agli Abruzzesi da parte di quelle società.

Di queste cose, che riguardano anche altre comunità regionali, in Italia certa classe politica dirigente stenta ad averne piena consapevolezza ed a comprenderne il significato profondo. Persino a capirne il valore, nel momento in cui l’Italia attraversa uno dei periodi più difficili della sua storia, con difficoltà economiche appesantite da un trend di crescita (-0,6%) per la prima volta negativo dopo decenni, con tutte le conseguenze sociali d’una recessione nel bel mezzo d’una tormenta finanziaria che scuote l’intero pianeta. In questo contesto, a maggior ragione riguardante la nostra regione, l’Abruzzo con le sue realtà produttive ha tutto l’interesse ad aprirsi verso mercati nuovi e ad ricercare nuove opportunità. Ecco quindi che personalità della levatura di Marisa Bafile sono di rilevante importanza per la conoscenza profonda che hanno dell’altro Abruzzo all’estero, una ramificata rete di “ambasciatori nel mondo” sui quali investire per l’internazionalizzazione dell’economia regionale, bisognosa d’aprirsi a nuovi campi della competizione mondiale. Oggi davvero è possibile per l’Abruzzo poter contare su un valore aggiunto, costituito dai suoi figli all’estero, mettendone in rete qualità e valori, grazie ad una Regione che abbia l’intelligenza d’allargare i suoi confini a tutta la sua comunità nel mondo. Questo, dunque, il significato più vero della chiamata di Marisa Bafile all’impegno diretto in Abruzzo. Lei, che l’emigrazione ha direttamente conosciuto ed indagato da osservatori qualificati, come la direzione d’un giornale all’estero, La Voce d’Italia, distintosi per le battaglie in difesa degli italiani in Venezuela ed in tutto il sud America - se persino Gabriel Garcia Marquez ne scrisse in un romanzo parlando di Gaetano Bafile, suo padre - o attraverso la direzione di patronati, fino al ruolo di Parlamentare attenta ed operosa, lei appunto è la figura migliore per avviare, nel caso il centrosinistra vinca le elezioni, questo esperimento decisivo per il futuro della Regione. Di questa eventualità mi confidò qualche tempo fa, richiesta d’un impegno in Abruzzo da personalità del mondo politico nazionale, lei ancora riflettendo sulle decisioni. Le espressi tutto il mio favore. Tra l’altro assecondava una proposta che da alcuni anni veniva da ambienti del mondo associativo all’estero, specie da Enzo Alloggia, presidente degli Abruzzesi di Basilea e componente del CRAM. Proprio quest’estate, all’indomani del ciclone giudiziario che ha investito la Regione, Alloggia aveva riproposto la sua idea d’un rappresentante degli Abruzzesi all’estero nel listino regionale, non essendo state previste altre misure strutturali nello Statuto. Lo aveva fatto di recente con una lettera, inviata anche al consigliere regionale Gianni Melilla, che della candidatura di Marisa Bafile qualche giorno fa ha sottolineato il valore. Una scelta che va oltre, molto oltre, il semplice tributo ai nostri corregionali all’estero, riconoscendo loro dignità anche all’interno dell’istituzione regionale. Se fosse solo questa la ragione, quantunque utile, darebbe l’impressione d’una captatio benevolentiae di cui francamente la comunità abruzzese all’estero non sente il bisogno. Avverte invece, con il rigore e l’efficacia che Marisa Bafile ha da sempre saputo esprimere, il desiderio, l’utilità e finanche il bisogno per la stessa Regione di vedere finalmente aperto un ponte stabile tra l’Abruzzo e le comunità abruzzesi all’estero. Un ponte di relazioni mature che dia modo di mettere ad investimento le forti valenze e qualità nel reciproco interesse, superando quella patina ingiallita che ancora indulge alla visione nostalgica dell’emigrazione, incapace di riconoscere quanto di straordinariamente eccellente hanno saputo creare gli Abruzzesi fuori dall’Abruzzo e quale giacimento d’intelligenze rappresentano. Ora, degli Abruzzesi all’estero l’Abruzzo ha davvero grande bisogno.

PRESIDENZIALI USA VISTE DALL’ITALIA

di Emanuela Medoro

La tempesta

Purtroppo non la tempesta sognante e simbolica di W. Shakespeare, ma quella molto più concreta americana,  tamponata con il maxi intervento statale di 850 miliardi di dollari, il più grande intervento pubblico  nel mondo della finanza e delle banche dalle origini del capitalismo. Ed è già  stato calcolato che non basteranno, ce ne vorranno tanti altri.

 I disastri come i trionfi sono figli  di tutti, e non dimentichiamo che prima Ronald Reagan  e poi Bill Clinton ci hanno dato insieme un bel periodo di crescita. La presidenza Bush con le guerre al terrorismo ha lentamente cambiato la situazione, ed ora è al termine. Pertanto il clamoroso crack ha scatenato una serie di attacchi personali, accuse  ciniche e violente e rivendicazioni, che suonano come un si salvi chi può, tristissimo. Il tutto fatto, come al solito, anche con video ed email.

Cominciamo da parte repubblicana, riporto, tradotto alla lettera, un passo di una email firmata Sarah Palin: Il senatore Obama ed i suoi amici dell'estrema sinistra dicono sempre una cosa e ne fanno un'altra. Dicono che danno il loro sostegno alle truppe, ma con una giravolta  votano per togliere i fondi ai nostri uomini e donne in uniforme. Dicono di tagliare le tasse, e con un'altra giravolta,  votano per l'aumento. Dicono di essere per l'indipendenza energetica, ma non  vogliono sostenere le trivellazioni in territori nuovi. E' chiaro che non possiamo fidarci di loro. Segue la richiesta di contributi per le spese della campagna elettorale,  da 25 a 2000 dollari.

L'attacco più duro di Obama invece riguarda lo scandalo Keating, fine anni '80 primi anni '90, questo testo è corredato da un documentario di un quarto d'ora. Fu il fallimento della Lincoln Savings and Loan, una delle più grandi del paese, che costò al governo americano, ed in definitiva al contribuente, 124 miliardi di dollari per salvare i risparmiatori. In quell'occasione McCain finì di fronte al comitato etico del senato  che giudicò sconsiderata la sua posizione in difesa di Charles Keating, il quale finì poi in prigione per la bancarotta fraudolenta della sua banca californiana. Segue un parallelo con la situazione odierna.

Come questa mattina riporta Rainews, l'incontro scontro di Nashville del 7 ottobre  ha mostrato  McCain stanco e nervoso, Obama più aggressivo, ambedue hanno risposto alle domande del pubblico  ribadendo tutti i punti chiave del loro programma. McCain ha accusato Obama di voler aumentare le tasse, ed ha promesso  riforme per l'energia, assistenza sanitaria e sicurezza sociale. A sua volta Obama ha ribadito che il suo piano farà pagare meno tasse al 95% degli americani ed ha indicato le sue priorità: al primo posto l'energia, favorendo l'indipendenza dal Medio Oriente, poi riforma dell'assistenza sanitaria e dell'istruzione. Scontate le reciproche accuse in politica estera.

Il sondaggio Gallup del 7 ottobre dà a McCain il 42% delle preferenze, il 51% ad Obama, con una crescita costante di giorno in giorno dalla fine di settembre, dato confermato, sia pure con variazioni delle proporzioni, da altri istituti di ricerca. Si aspettava una rimonta  repubblicana  con  questo incontro, ma finora sembra che non ci sia stata. C'è meno di un mese

perché possa realizzarsi. Aspettiamoci dunque una raffica di nuovi colpi di scena, sorprese, attacchi e contrattacchi.

Certo è che considerati tutti i problemi economici ed internazionali che il nuovo presidente, chiunque  esso sia, eredita da otto anni di presidenza Bush ci vorranno talenti, intelletto e temperamento  veramente eccellenti, superiori,  per cambiare il paese ed il mondo e portarli in una direzione migliore.

LE ATTIVITA’ DELL’ACCADEMIA PICENA APRUTINA DEI VELATI

di Goffredo Palmerini

Risorta dopo quattro secoli, tiene corsi universitari on line, mostre e convegni nella Badia di Corropoli

La prima accademia di cui si ha notizia nella storia d’Abruzzo è l’Accademia dei Fortunati, nata all’Aquila nel 1579. Tra gli accademici Salvatore Massonio (1559-1629), personaggio di grande rilievo,  medico storico e scrittore. Con il nome pastorale di “Avviluppato”, Massonio diede un forte impulso all’Accademia dei Fortunati, della quale fu per sette volte eletto Principe. Altri insigni personalità della cultura e della società aquilana del tempo l’affiancarono, come Amico Agnifili, Flaminio Antonelli, Baldassarre Cappa per citarne solo alcuni. Eppure, appena vent’anni dopo, per incuria ed indifferenza di gran parte dei soci, l’Accademia fu sul punto d’estinguersi. Ma la città viveva in quel periodo un grande fervore intellettuale, specie ad opera della Compagnia di Gesù che vi aveva aperto l’Aquilanum Collegium. Infatti, si deve proprio ad un gesuita, padre Sertorio Caputo – filosofo e matematico, nato nel 1556 a  Paterno Calabro e morto in odore di santità nel 1608 all’Aquila, dov’è sepolto in una cappella della chiesa dei Gesuiti – la salvezza dell’accademia, rinnovata e mutata nel nome in Accademia dei Velati nel 1598. La sede dell’istituzione era nello splendido Palazzo del Magistrato - ora municipio del capoluogo regionale -  proprio di fonte alla chiesa dei Gesuiti, progettato da Pico Fonticulano e già residenza di madama Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo V e governatrice dell’Abruzzo, donna davvero eccezionale andata sposa ad Ottavio Farnese. Per stemma un’aquila in volo tra le nubi, l’Accademia dei Velati coltivò studi in diversi campi dell’intelletto, dalla filosofia alla matematica, dalla retorica alla filologia, dalla storia alla poetica. Con Sertorio Caputo continuò ad operare Salvatore Massonio, insieme ad Antonio Alferi, Giulio Cesare Benedetti con il nome di Guelfaglione, Muzio Pansa, che per l’Accademia dettarono le regole. L’istituzione operò almeno fino al 1717, fu poi trasformata in Colonia Aternina dei Velati e quindi Colonia Aternina degli Arcadi, con finalità letterarie, per iniziativa di Giuseppe De Benedictis, barone di Scoppito, che ne fu Principe.

Da allora vari mutamenti nel nome e nelle finalità si sono susseguiti, senza peraltro notazioni degne di rilievo. Fin quando, nel 1971, due matematici dell’Università dell’Aquila, i docenti Franco Eugeni e Serafino Patrizio, costituirono il Circolo dei Velati, in ricordo dell’antica Accademia, chiamando a presiederlo il prof. Franco Pellegrino. Fu una vera fucina di iniziative culturali e scientifiche multidisciplinari, nella quale si cimentarono in studi e ricerche molti giovani docenti dell’ateneo aquilano. Sulla solida esperienza maturata con il Circolo, nel 1988 il prof. Franco Eugeni, all’epoca docente all’università di Catania, raccolse intorno ad un ambizioso progetto significative personalità scientifiche, in campo matematico economico ed ingegneristico, dagli atenei abruzzesi (i prof. Ilio Adorisio, Luigia Berardi e Aniello Russo Spena dalla “V. Rivera” dell’Aquila, il prof. Antonio Maturo dalla “G. D’Annunzio” di Chieti) ma anche dalle università di Giessen (prof. Albrecht Beutelspacher), Napoli (prof. Bruno Rizzi), Roma “La Sapienza” (prof. Romano Scozzafava e Mario Gionfriddo) ), Milano Statale (prof. Giovanni Melzi) e Politecnico (prof. Mario Mercanti), fondando l’Accademia Aprutina dei Velati, alla cui presidenza fu chiamato il decano, prof. Ilio Adorisio. Molte le iniziative scientifiche messe in cantiere, compresa la rivista “Ratio mathematica”. Nel 1992, scomparso il prof. Adorisio, il prof. Eugeni venne chiamato alla presidenza dell’Accademia, in seguito arricchitasi con altri insigni associati, come il prof. Bal Khishan Dass (università di Delhi, in India), l’ammiraglio Giovanni Moro, il prof. Gianni Astarita (università di Napoli), il prof. Alessandro Del Bufalo (università dell’Aquila),  il prof. Piergiulio Corsini (università di Udine), la prof. Maria Tallini Scafati (università di Roma), e dal 1997 il prof. Ion Tofan (università “Petre Andrei” di Iasi, in Romania).

Nel ‘98, ricorrendo il quarto centenario dalla fondazione dell’antica Accademia dei Velati, nasce l’Accademia Picena Aprutina dei Velati (Apav) alla cui guida è chiamato il prof. Franco Eugeni, instancabile animatore delle attività accademiche fino a tutt’oggi. L’istituzione si dota d’una piattaforma informatica di notevole potenza, per lo sviluppo delle sue attività formative e culturali. Attualmente l’Accademia cura per l’Università di Teramo master telematici seguiti da 800 allievi, mentre in collaborazione con l’università “Petre Andrei” di Iasi ha attivato on line il corso di laurea in Scienze economiche e quello per la laurea specialistica in Management europeo, collegati alla Facoltà di Economia dell’ateneo romeno. Nell’ultimo decennio notevole è lo sviluppo delle attività dell’Accademia, nel frattempo insediatasi nella splendida Badia di S. Maria di Mejulano, a Corropoli, cittadina in provincia di Teramo. Situata sulla sommità d’un colle, la Badia domina sul mutevole paesaggio delle colline teramane coltivate a vite, per la produzione di pregevoli vini Montepulciano d’Abruzzo. Costruita dai Benedettini all’inizio del secondo millennio sui resti d’un tempio pagano preesistente, nelle ampie stanze dell’abbazia destinate a scriptorium operarono eccellenti miniaturisti. Alla fine del Quattrocento la Badia fu ceduta ai Celestini, su richiesta del Duca di Atri e signore di Corropoli, Andrea Matteo III degli Acquaviva. Rimase abbazia celestiniana fino al 1805, quando con le leggi di soppressione degli ordini religiosi emanate da Napoleone, il monastero fu ceduto a privati. E’ diventata di proprietà pubblica, della Provincia di Teramo, solo negli anni Trenta del secolo scorso. Restaurata di recente, la Badia è un vero gioiello architettonico.

Appunto in questo suggestivo contesto architettonico la scorsa settimana l’Accademia Picena Aprutina dei Velati ha tenuto due importanti iniziative culturali e scientifiche: una mostra di pittura ed il convegno “I beni culturali, l’ambiente e i cambiamenti climatici”. Nell’aula magna, ricavata nella navata della chiesa abbaziale, perfetto anfitrione della serata il prof. Aladino De Paulis, è stata inaugurata una bella mostra della pittrice Carla Manco. L’artista, nata ad Atri, si trasferisce giovanissima in Germania, dove completa gli studi artistici. E’ un’emigrante di successo, con l’arte. A Monaco avvia un’intensa carriera nelle

redazioni di prestigiose riviste di moda, con il ruolo di direttore artistico. Layouter per l’edizione tedesca della rivista “Vogue”, designer per diverse case cinematografiche, è decoratrice delle porcellane Rosenthal. Progetta architetture artistiche per interni e lavori pittorici monumentali, come il Palazzo Bernheimer della Deutch Bank e del Porche Zentrum di Monaco. Nota ed apprezzata, ha tenuto in Germania numerose esposizioni (le più significative a Monaco, Francoforte, Norimberga, Amburgo, Colonia e Berlino). Altre mostre, di grande successo, Carla Manco ha tenuto a Londra, Saint Tropez e, in Italia, a Roma, L’Aquila, Teramo e Roccaraso, per citare le più importanti. I suoi dipinti, anche di grandi dimensioni, risentono dell’espressionismo tedesco – ma anche della pittura informale - del quale raccolgono l’immediata icasticità del cromatismo deciso. E’ stato l’on. Antonio Tancredi, presidente della Fondazione Crocetti, a presentare l’esposizione di Carla Manco, artista che la Fondazione ha ospitato nei suoi musei di Teramo e Roma.  La pittura della Manco è davvero intensa, coinvolgente nei suoi timbri cromatici come nel tratto. “Vi si raccoglie l’influsso della pop art – ha annotato Tancredi - impossibile non evocare Andy Warhol, quando la Manco usa la pittura seriale o quando si cimenta nei ritratti”. Insomma, un’artista davvero interessante sulla quale la critica si è espressa con apprezzamenti lusinghieri. E questa esposizione, assai ricca di opere, ne dà conferma. 

Ma veniamo al convegno. Tema attualissimo, è stato presentato nei suoi obiettivi da Aladino De Paulis, che l’ha coordinato con sapiente dosaggio dei tempi, dato il numero di relatori ed ospiti. Il presidente Eugeni ha portato il saluto dell’Accademia, ha annunciato il prossimo trasferimento nella Badia del centro telematico ed ha riferito dei messaggi giunti dal ministro per l’Attuazione del Programma, Gianfranco Rotondi, e dal Ministro per i Beni Culturali, Sandro Bondi. La parola è passata poi all’on. Tommaso Ginoble, il quale si è posto il problema delle aggressioni all’ambiente, condividendo in pieno lo spirito del Protocollo di Kyoto. Tanto più vale questa preoccupazione per l’Abruzzo, regione a forte vocazione ambientale, non immune da rischi e problemi. Ha portato il saluto del Ministro Bondi il direttore regionale dei Beni Ambientali, Anna Maria Reggiani.  Sarebbe comunque intervenuta al convegno, anche senza l’incarico affidatole dal ministro, per l’alto interesse dei temi in agenda. Ha infatti segnalato le conseguenze dell’inquinamento sul patrimonio monumentale abruzzese. Fin qui il convegno scorreva con calma piatta. S’è acceso non poco, pur con il linguaggio felpato degli accademici, con l’intervento del prof. Uberto Crescenti, già rettore dell’università “D’Annunzio” di Chieti, geologo. La sua analisi sul clima si basa sui dati storici. Il vero problema del riscaldamento globale – ha detto - sta nel dilemma se sia responsabilità dell’uomo oppure no. Gli ambientalisti hanno amplificato il catastrofismo, con la compiacenza dei media. La loro non è scienza, ma fantascienza. Da qui un attacco senza riserve al protocollo di Kyoto, perché supposto su una responsabilità dell’uomo, non invece su una naturalità dei cambi climatici, come accaduto nelle epoche del pianeta. Cerca quindi di confutare i dati sull’aumento di temperatura, perché a suo dire inattendibili. L’unica scienza in grado di capire bene i fenomeni è la geologia, perché è storica. Le certezze non le ha nessuno. Bisogna rifarsi solo alla scienza, che non è né di destra né di sinistra. Dunque, non è corretto demonizzare l’anidride carbonica, ma l’approccio corretto è questo: siccome il cambiamento climatico “naturalmente” ci sarà, come ci attrezziamo, come lo governiamo? L’uomo non può fermare la natura, dunque Kyoto è la più grande beffa per l’umanità. Perfino il premio Nobel Rubbia si è allineato con i catastrofisti. Infine, ha contestato l’IPCC, asserendo che s’è costituito un gruppo di scienziati che la pensano come lui, su basi scientifiche, ma che non hanno eco sui mezzi d’informazione.

Con garbo, ma con fermezza, il prof. Sergio Rapagnà, ingegnere chimico docente alla Facoltà di Agraria dell’ateneo teramano, ha seguito un percorso con opinioni opposte, con un excursus sui consumi energetici. Oggi ciascun uomo (siamo 6 miliardi) consuma 2.750 kg di petrolio equivalente, quando all’inizio della rivoluzione industriale ne consumava 570 kg. Alla fine del secolo il consumo pro capite si stima sarà di 11.000 kg. Nella produzione di energia, solo il 35% si trasforma in energia, il 65% va disperso nell’ambiente sotto forma di calore. Dopo un’analisi delle fonti energetiche – in testa il carbone al 40%, in aumento – Rapagnà ha esposto in dettaglio le corrispondenti immissioni nell’atmosfera di CO2. La Cina quest’anno ha superato gli Usa per immissioni di anidride carbonica nell’ambiente. Nel giro di trent’anni la CO2  prodotta dall’uomo è raddoppiata (circa 30.000 milioni di tonnellate). Dunque, occorrono fonti alternative per la produzione energetica, come sole, vento e soprattutto biomasse. Bisogna soprattutto cambiare tecnologie, per la produzione d’idrogeno, perché i biocombustibili richiedono un enorme impegno territoriale per le produzioni di base. Interessante l’intervento del dr. Stefano Giovannoni, magistrato a Teramo, pubblico ministero nei reati ambientali in preoccupante ascesa. Si è soffermato sulla legislazione di settore, ma soprattutto su alcune sentenze della Consulta e della Corte di Giustizia Europea che, in nuce, definiscono l’ambiente come “bene giuridico”. Riferendo sul caso italiano, negli ultimi cinquant’anni l’Italia ha consumato territorio per edilizia per un’estensione pari a Lazio e Abruzzo messi insieme. Ha pensato il prof. Achille Renzetti, dell’Enea, a dire quanto sia costata all’Italia la rinuncia al nucleare, venti anni fa: 60 miliardi di euro. Con tutte le conseguenze per l’effetto serra, dovute all’anidride carbonica, al metano, ai clorofluorocarburi ed al protossido d’azoto immessi nell’atmosfera, responsabili del buco d’ozono,  esteso per 10 milioni di kmq di superficie, quasi quanto il Canada. Per controbattere il minimalismo del prof. Crescenti, ha fatto un esempio. Se nell’ambiente del convegno c’è chi fuma una sigaretta, quel fumo non porta conseguenze apprezzabili, come se fossero cinque i fumatori. Ma se tutti ci si mettesse a fumare, sarebbe davvero problematico per la salute di tutti. Lo stesso vale per l’atmosfera, quando sono in continua ascesa le quantità di anidride carbonica immesse. Basti pensare che nel Seicento Shakespeare respirava aria con 180 ppm di anidride carbonica, ora noi ne respiriamo 380 ppm, una bella differenza. Ha concluso i lavori il prof. Aniello Russo Spena, vice presidente dell’Accademia, preside della Facoltà d’Ingegneria dell’Aquila, confermando che non sempre i modelli matematici danno risposte concordi e dettagliando le conseguenze sull’uomo e sul pianeta del riscaldamento globale. Tante buone ragioni pèrché tutti i Paesi, specie quelli più sviluppati, si facciano carico di ridurre la produzione di agenti responsabili del global warming, con forti investimenti nella ricerca e nelle nuove tecnologie. Di certo, la nuova frontiera per la scienza e per l’umanità.

LE EOLIE, CAPPERI!

di  Giorgio Rinaldi

Ecco profilarsi Vulcano, la prima delle isole dell’arcipelago delle Eolie.

L’aliscafo partito di buon mattino da Milazzo, sulle coste siciliane, la raggiunge, attracca.

Sulle spiaggia di sabbia nera, in una luce irreale, si animano i bagnanti.

Si riparte.

Il nuovo sbarco è nell’isola regina, Lipari, che –trattandosi della più grande- dà anche il suo nome all’arcipelago.

La giornata è magnifica, l’aria pulita, magica.

Di fronte vedi Salina, a sinistra guardi Filicudi ed Alicudi.

A destra Panarea, e più oltre Stromboli, il cui vulcano erutta imperterrito sprigionando fiamme e lanciando lapilli: spettacolo impressionante nel buio della notte mentre si costeggia l’isola in nave o si raggiunge la prossimità della cima utilizzando collaudati sentieri che si inerpicano per i fianchi della montagna.

Se con lo sguardo ritorni verso l’isola madre, vedi i monti Peloritani, e più oltre l’Etna che, quando entra in attività, colora il cielo di rosso in un unico ed ineguagliabile affascinante spettacolo.

Le bellezze delle isole Eolie e la qualità del mare che le circonda non si discutono.

Vale la pena, invece, scoprire il territorio, le genti che abitano questi posti, certamente non facili da vivere, specialmente d’inverno.

Si, bisogna sempre tenere a mente che se il mare si ingrossa i collegamenti navali si bloccano, e quelli con gli elicotteri  non è sempre possibile effettuarli.

L’isolamento (la parola non nasce casualmente) è sempre in agguato e non tutti sono in grado di affrontare una quotidianità che la natura impasta di bellezze incommensurabili e di durezze altrettanto straordinarie.

L’economia delle isole, oltre al turismo ed alla pesca, cessata l’estrazione di pietra pomice, vede importanti contributi dalla produzione di vini e di capperi.

Tra i vini, oltre ai vitigni di Insolia (che ritroviamo anche e non a caso alle isole del Giglio e d’Elba, seppur con diversa vinificazione e nome

leggermente diverso: Inzolia) e Nerello Mescalese e Cappuccio, la parte del leone la fa il famoso Malvasia delle Lipari, prodotto con il 95% di uve

di Malvasia e 5% di Corinto Nero, la cui origine è della regione greca del Peloponneso e risale al VI secolo a.c..

Il cappero di Salina, inserito nei presidi Slow Food, è addizionato di sale marino ed è una vera prelibatezza dal sapore intenso ed aromatizzato.

L’arcipelago eoliano, come del resto tutte le isole, non ha bisogno di un turismo di massa o “mordi e fuggi” concentrato, vieppiù, nei pochi mesi estivi: il delicato equilibrio di un ecosistema particolare finirebbe con il risentirne grandemente.

L’Arcipelago si aspetta dei visitatori sensibili e rispettosi dell’ambiente che possano visitare, studiare (fauna, flora, ambiente, geotermovulcanologia, acquacoltura, archeologia e, e, e…) nonchè vivere le isole tutto l’anno.

La recente “Conferenza Internazionale sul Turismo nelle Isole Minori” che si è tenuta a Lipari lo scorso 31 ottobre 2008, ha concluso i suoi lavori proprio con l’indicazione di salvaguardare e sostenere le identità locali delle isole cosiddette minori con modelli appropriati di sviluppo e sostenibilità.

Gli eoliani attendono turisti, visitatori, viaggiatori pronti ad integrarsi con il tessuto sociale degli isolani.

A vivere la loro vita.

A scandire con loro il ritmo di un tempo che non appartiene ad altre latitudini.

Un tempo che i mitologici vulcani delle Eolie dominano da millenni.

uanta intelligenza occor

MEDICI O SOLO PERSONE NEI CAMICI BIANCHI?

di Рудакова Елена

Abito in una provincia della Russia vicino a Mosca. Nel mio paese ci sono circa 60 000 abitanti, per di più pensionati. La gioventù infatti  preferisce partire per cercare in altri posti una vita migliore e per guadagnare più soldi.

Per dare un’idea di come  si vive nelle province russe  basta parlare degli ospedali e della medicina in generale.

Secondo me in Russia il medico non svolge una professione, ma ha solo un titolo.  Non tutti coloro che indossano il camice bianco hanno effettivamente la dignità di portarlo.  E in Russia  ciò accade di frequente, specialmente in provincia.

Il nostro sistema sanitario nazionale è una catastrofe totale. Il camice bianco che indossa il medico è per lui solo un abito di lavoro, non di più. Il camice bianco non obbliga insomma il medico ad operare con coscienza. Cosi  come il mantello del giudice non obbliga lo stesso  ad essere giusto.

Tutto ciò  a noi russi da dolore e  vergogna. Lo stato della nostra sanità pubblica  è oggi come quello del XIX secolo. Purtroppo, è questa la verità.

Ogni anno in Russia muoiono  più due milioni di persone. E di questi due milioni 500-600 mila persone forse muoiono per errori dei medici.

Nei paesi sviluppati da molto tempo ci sono  norme che regolamentano e responsabilizzano  il lavoro dei medici. Ci sono protocolli precisi per gli esami da fare e per le cure. In Russia invece non ci sono protocolli di terapia e  non c’è un concetto giuridico di  «errore medico».

Lo dico con molta sicurezza perchè la mia famiglia, come tante altre, ha  vissuto questo  tipo di problema sanitario.

Nel maggio di quest’anno mio padre si è ammalato. Quando è stato male, per un acuto dolore addominale, abbiamo chiamato il pronto soccorso. Tutto ciò è accaduto di domenica, e chi vive in Russia sa bene che è meglio non ammalarsi nei giorni festivi perchè nessuno ti soccorre. Purtroppo, è proprio cosi…

Tutta la giornata mio papa è stato in ospedale. Gli hanno somministrato un calmante e basta. Solo lunedì l’hanno poi operato. E se fosse stato troppo tardi?

Dopo l’operazione il medico ci ha detto che per il mio papà non c’erano più speranze: il tumore dell’ intestino con molte metastasi non perdona.  Dopo due mesi parlando con un medico mio conoscente, vengo a sapere che dall’esame  istologico non risultavano metastasi. E’ giusto tutto questo? E tra l’altro senza ricevere almeno delle scuse.

Vorrei citare ancora un altro caso. Quello accaduto poco tempo fa alla figlia quattordicenne di una mia amica. La ragazza a seguito di una perdurante emorragia si è recata dal ginecologo per una visita. Ma è rimasta sorpresa quando è venuta a sapere  che per avere una diagnosi doveva prenotare prima l’ esame radiologico.  Data la gravità della situazione non le è restato altro da fare che rivolgersi ad una struttura privata a pagamento!!!! Il cui costo ammonta a 20 €, che per noi sono molti, pari a più di  200 € in Italia. Insisto molto sull’argomento in quanto abito in un territorio ad elevata concentrazione radioattiva dopo l’incidente in Cernobil. 

Nella mia città sono moltissime le persone che  hanno i problemi con il tiroide, non a caso anch’io ne soffro. Ma il nostro endocrinologo ci tranquillizza dicendo che alla fin fine il livello delle radiazioni  nel nostro territorio è sopportabile e che non avremo grossi problemi di salute. 

Cosi stanno insomma le cose, questa è la nostra triste realtà.

Da noi quando vai da un medico devi sempre tenere a mente che quello che hai di fronte il più delle volte è solo una persona che indossa un camice bianco…

PRESIDENZIALI USA VISTE DALL’ITALIA

di Emanuela Medoro

Non mi tassate

Lo scontro  politico fra la oligarchia conservatrice wasp, bianca ,anglosassone e protestante ed il multiculturalismo della società  futura sta avvenendo all'interno di una tempesta economica e finanziaria di portata storica, che oltre a  costituirne lo sfondo può influenzare  il risultato finale.

Intanto la campagna elettorale, lunghissima, segna i suoi ultimi passi con qualche resoconto in  cifre.

I primi vengono da David Plouffe, uno dei dirigenti della campagna di Obama e riguardano i contributi per la campagna elettorale. Ricordiamo che Obama a giugno rinunciò ai contributi federali. Nel mese di settembre, dunque, la media dei contributi è stata di 86 dollari a persona, per 3.100.000 contribuenti. Segue l'elenco delle professioni dei contribuenti, da cui emerge una larga partecipazione della classe media: artisti, insegnanti, lavoratori, impresari, medici, veterinari, farmacisti, militari, lavoratori del sociale, impiegati, studenti, elettricisti. I maggiori contributi sono arrivati da pensionati e studenti, i primi  perché si sentono troppo sacrificati dalla precedente amministrazione, i secondi sentono più forte la speranza di un cambiamento.

Tanti tipi di lavoro da classe media sono elencati nel resoconto dei democratici, manca però l'idraulico, perchè Joe the plumber, più o meno Beppe lo stagnino, fu una bella invenzione di J.McCain, che manda un bel messaggio scritto, “I am Joe the plumber, don't tax me for working hard”. Beppe lo stagnino sono io, non mi tassate perché lavoro sul  serio”.

 Joe the plumber  chiese a Obama perchè lo voleva punire per il suo lavoro, ebbe questa risposta, “Quando si diffonde la ricchezza (when you spread the wealth around), è un bene per tutti.”quindi, secondo McCain gli americani dovranno scegliere fra chi vuole compensare il duro lavoro e chi, invece, vuole diffondere la ricchezza. La diffusione della ricchezza per mezzo di un'equa tassazione  deve essere, secondo lui, proprio il peccato capitale del mondo.

Ed ecco ora Sarah Palin, che  incalza forte a proposito dell'affare ACORN, gruppo di sinistra sotto inchiesta per frode nella registrazione di nuovi elettori. Ricordo che negli USA si diventa elettori su domanda. Quest'anno risultano iscritti  nelle liste elettorali 9 milioni di nuovi elettori. Queste  nuove liste sono dunque oggetto di contestazioni e ricorsi, cosa che fa prevedere chissà quali lungaggini e discussioni per i risultati finali.

Poi ho casualmente pescato online uno slogan, “tornatene in Africa terrorista rosso”, testo di una telefonata registrata (phone robocall) trasmessa agli elettori incerti. Questo slogan   la dice lunga sulla cultura dei  destinatari, chiaramente  una fascia della popolazione poco istruita e

dai gusti sempliciotti per non dire rozzi, e la dice lunga anche sulla cultura dell'emittente.

A sostegno di Obama è sceso in campo Colin Powell, il più grande e rispettato ufficiale e statista afroamericano nella storia degli USA, della stessa età di John McCain , ed ex segretario di stato dei Repubblicani. Secondo lui Obama ha una particolare intelligenza, curiosità, larghezza di vedute ed idee chiare nell'economia, candidato adatto al cambiamento di generazione di cui l'America ha bisogno. McCain, invece, gli appare di

vedute limitate,  incerto e non adatto a questo momento storico. Inoltre Sarah Palin, secondo lui, non è pronta per fare il presidente. Dichiarazioni venute dopo lunghe osservazioni e riflessioni, ed espresse con dignità ed autorevolezza.

Gli  ultimi sondaggi Gallup danno Obama su McCain, 52% e  41% delle preferenze degli elettori. Cifre sempre poco attendibili, non dimentichiamo che nelle ultime elezioni vinse Bush anche se le previsioni dicevano il contrario.

SAN LORENZO IN BANALE, PATRIA DELLA CIUÌGA, BORGO GOLOSO E BELLISSIMO

di Gianni de’ Silva

 Dolomiti di Brenta, San Lorenzo ,già celebre per il raro salamino con le rape, è da poco entrato nella schiera de “I Borghi più Belli d’Italia”.

La vivace Sagra della Ciuìga, in programma dal 7 al 9 novembre, diventa così più che mai occasione imperdibile per scoprire questa povera, ricca prelibatezza del Trentino, vanto dell’Italia intera, ma anche tutto l’antico fascino del borgo. Una tregiorni all’insegna di degustazioni, menu a tema, spettacoli di strada e musica antica… Speciali pacchetti negli hotel del territorio.

Di necessità virtù. Di pura necessità si trattò quando nella seconda metà dell’Ottocento, in un clima di grandi ristrettezze, ai piedi delle Dolomiti di Brenta si inventarono la ciuìga. E oggi quel singolare salame con le rape, confezionato secondo tradizione solo ed esclusivamente nel borgo rurale di San Lorenzo in Banale  è indiscussa virtù gastronomica del comprensorio Terme di Comano Dolomiti di Brenta, del Trentino e dell’Italia intera.

Unica e inimitata, confezionata originariamente con soli scarti di maiale (testa, cuore e polmoni), in proporzione del 20%, e con abbondanza di rape cotte e tritate, ai giorni nostri vanta invece il 70% di carni suine scelte e soltanto il 30% di ortaggi. Quel che basta però per conferirle un sapore deciso, pungente ma non piccante e davvero unico. Inconfondibile, come la forma piccola e allungata, simile a una pigna di conifera… quella che in dialetto locale si chiama appunto “ciuìga”.

Riscattato il suo passato di povertà, il salamino affumicato è oggi una vera prelibatezza, da gustare al naturale, rielaborato in gustosi sughi, abbinato a patate lesse e cicoria oppure puré di patate e “capusi” (cavolo-cappuccio), adagiato su fette di pane leggermente tostato e imburrato e persino affettato sulla pizza. Ma rigorosamente in loco, in quello spicchio segreto e bellissimo di Trentino nascosto alle spalle del lago di Garda, alle falde del Parco Naturale Adamello Brenta.

L’autunno è la sua stagione, quando si uccide il maiale e quando nei campi maturano le rape. E’ in questo periodo che i pochi, abili macellai del

Banale sciorinano golose catene di ciuìghe, solo apparentemente infinite. Prodotte artigianalmente e in quantità limitata, requisite dai ristoranti locali e prenotate dagli estimatori, le ciuìghe vanno letteralmente a ruba.

L’evento, che prevede tre giorni di degustazioni nelle cantine, menu a tema a prezzo fisso nei ristoranti, spettacoli di strada e antichi mestieri, offre l’opportunità di ammirare, in tutto il loro festoso fermento, gli angoli più affascinanti e antichi di San Lorenzo, prime fra tutte la frazione Prusa, teatro della sagra, e quella Senaso, con il vecchio affumicatoio dove ancora gli abitanti portano ad affumicare le loro ciuìghe artigianali. A San Lorenzo si rintracciano ancora -nelle tipiche architetture in pietra e legno così come nell’ospitalità schietta della gente- i costumi e le usanze di un tempo. Da assaporare nell’impasto unico della ciuìga, da respirare nelle atmosfere nostalgiche tra i vicoli. da ammirare nelle sale del nuovo museo etnografico “C’era una volta”.

E da ripercorrere, tappa dopo tappa, nel suggestivo “Viaggio dell’Emozione con Gusto”, la cena itinerante in programma venerdì 7

novembre (su prenotazione), che conduce a ritroso nel tempo, nella storia e nei sapori della valle, con assaggi, musica e… strani incontri.

SEI GRANDE, PICCOLO SAMPEI!

di Paola Cerana

La notizia risale a sabato 18 ottobre: un ragazzino di dodici anni, Gabriele, è riuscito a pescare uno storione lungo più di un metro del peso di ben 7 chili!

E’ successo a Caltignaga, un piccolo paese adagiato tra le campagne e le risaie del novarese, in una vecchia cava sorgiva sfruttata come riserva di pesca sportiva. In mezzo a tanti pescatori adulti, appassionati come lui ma con un’esperienza ovviamente incomparabile, Gabriele ha sorpreso tutti quando, dopo venti minuti di silenziosa concentrazione, ha recuperato con tutta la sua energia la lenza dal fondo del lago e … oplà, ecco guizzare fuori l’enorme pesce ancora battagliero.

Non è un evento da poco, perché lo storione è uno dei più grandi pesci d’acqua dolce d’Europa. E’ poderoso, resistente e molto longevo. Viene dal mare e migra fin qui risalendo le correnti degli affluenti con tutte le sue forze, per fermarsi definitivamente nei fiumi e nei laghi a nutrirsi e riprodursi. Ha l’abitudine di rifugiarsi sui fondali nascondendosi nella sabbia quando si sente minacciato ed è davvero un’impresa scovarlo da là sotto. Oltretutto ha un’abboccata ferma e molto potente, che richiede la capacità di moderare la frizione della lenza per non rischiare di perderlo durante il recupero. Oltre all’abilità tecnica ci vuole quindi tanta pazienza e sensibilità tattile per vincerlo, perché bisogna sfiancarlo sul fondo, senza fretta evitando violenti strattoni, prima di recuperarlo a riva.

Dopo venti lunghi minuti di sfida, Gabriele ha riavvolto svelto la lenza senza mai perdere il contatto con la preda e l’ha infine afferrata con un guadino portandola a terra, mentre si dimenava nella rete, ormai senza speranza. Tra l’ammirazione, la sorpresa e l’invidia di molti pescatori, che si son dovuti accontentare di un misero bottino fatto di carpe e trote, il piccolo eroe s’è portato a casa soddisfatto il suo ghiotto trofeo.

Mi ricorda il protagonista di una serie di cartoni animati giapponese in voga qualche anno fa. Sampei era un ragazzino di tredici anni appassionato di pesca che, con la sua inseparabile canna e il suo tenace carattere, viveva avventure straordinarie, alla ricerca continua del leggendario pesce Takitaro, guidato dagli insegnamenti del suo saggio nonno. Come Sampei anche Gabriele deve aver maturato una disciplina non solamente tecnica ma soprattutto interiore per essere riuscito nell’impresa.

Oltretutto Gabriele non è nuovo a certe straordinarie avventure. Già lo scorso anno, dopo una lunga attesa che avrebbe messo a dura prova i nervi di molti pescatori, tutto solo con la sua attrezzatura, su una pacifica riva del lago di Lugano, si sentì improvvisamente strattonare la lenza. Cominciò così una serrata battaglia con un bel lucioperca, tratto in inganno dall’esca traditrice. Sfortunatamente, proprio mentre Gabriele si sentiva ormai vittorioso e stava per recuperarlo sul molo, l’i mprovvido

pesce riuscì a slamarsi e a liberarsi con un guizzo. Ma era debole ormai e il suo predatore, tenace più che mai, non l’avrebbe di certo mollato. Con un tuffo, tutto vestito e senza un attimo di esitazione, ha raggiunto a nuoto la sua preda che si è rassegnata esausta tra le braccia dell’ardito pescatore. Naturalmente il povero lucioperca ha terminato la sua lotta in padella, resuscitando in un profumato bagno di limone, sale e pepe!

Nemmeno il mitico Takitaro avrebbe avuto scampo né una fine altrettanto saporita.

Bravo Gabriele, sei grande! La tua mamma è orgogliosa di te!

Per dovere di cronaca, il povero animale non è stato sacrificato inutilmente. Dopo una lunga marinatura in olio, limone, vino bianco, timo, prezzemolo, sale e pepe e dopo una breve passata in forno con aglio e rosmarino, lo storione in tranci ha fatto il suo trionfale ingresso a tavola, con sommo piacere di tutti i commensali.

Perciò … complimenti anche alla cuoca! 

SOGNANDO ANCORA L’ALBA DELLA MIA ETA’

di Marilena Rodica Chiretu

Tra la luce dell’ alba e il fuoco del tramonto,
tra i sorrisi spenti nel dolore del canto,
cadeva la pioggia fredda nella coppa
profonda del mio rotondo amore;
un bicchiere pieno di fiocchi puri
disperde sulla notte dei capelli
ricordi  degli attimi più belli.
C’ era un dolce sogno scritto

sul muro rosso della gabbia,
soffocava il buio tra le griglie
gridando il raggio della libertà.
Solo nella rosa del mattutino sole
chiudo adesso i confini del passato,
ma scorre ancora il sangue nelle vene
cercando la strada smarrita della dignità.
Un muro ha crollato nel grembo del Ponente,
un altro si è alzato per i miei sguardi tra luci di falò,
oscurano il nuovo orizzonte dipinto nei colori degli occhi,
delle mani, dei desideri sulle roventi labbra della diversità.
Un’alba nasce, un’ altra muore,
vivo ferita nella gabbia
di schiuma bianca
con macchie nere
sul volto triste
della realtà
sognando
ancora
l’alba
della
mia
età

S.O.S. TATA?

DA BOLOGNA RISPONDE ADRIANA CANTISANI

di Rossella Regina

La nuova Tata conquista il pubblico e ammette:

“Anch'io, a volte, lancerei un S.O.S.”.


Chi non ha mai chiesto aiuto!?! Uomini, donne. E se queste due categorie si fondono e danno vita ad una famiglia? Beh, il risultato non cambia: la differenza sta nel tipo di S.O.S. lanciato, in altre parole, S.O.S. Tata. Si chiama così il format targato Magnolia dedicato a quelle famiglie
che, con evidenti problemi di gestione della prole, possono chiamare in loro aiuto una Tata specializzata in grado di fornire preziosi consigli su come affrontare spinose questioni di genere.

Lucia, Francesca, Mara, Renata e Rita sono le magnifiche 5 entrate finora a far parte dell'Olimpo delle Tate alla cui porta, per l'edizione 2008 del format (in onda su Fox Life ogni venerdì alle ore 21 e prossimamente su LA7), bussano Adriana, Francesca e Lucia: tre figure dagli approcci
completamente diversi, destinate ad ingraziarsi  simpatie ed antipatie del pubblico familiar-televisivo nazionale.

Ad aver letteralmente già 'rapito' l'attenzione di tutti con la sua travolgente spontaneità, è stata Tata Adriana Cantisani, 41enne uruguayana d'adozione bolognese ma cresciuta negli States, rivelatasi al pubblico nella puntata dello scorso 10 ottobre.

“Adriana, com'è cominciato tutto con S.O.S. Tata? La produzione era alla ricerca di una Tata “anglossassone” e cercando sul web si è imbattuta nel sito di 'English is Fun!' (www.englishisfun.it), che è il metodo innovativo d'insegnamento della lingua inglese più diffuso in Italia, che ho messo a punto una decina di anni fa. Non mi è stato chiesto di interagire con i bambini in lingua, ma credo l'obiettivo fosse quello di portare all'interno del format un approccio educativo e culturale diverso dai precedenti”.

3 puntate (la prossima è in scaletta per il 31 ottobre), che ti hanno vista confrontarti con esperienze diverse: quale delle tre ti ha maggiormente soddisfatta?

“L'esperienza che mi ha lasciato maggiormente un segno è stata la prima (quella andata in onda il 10 ottobre), sia per la situazione particolarmente delicata (Giorgia, 7 anni, aveva evidenti difficoltà motorie), sia per l'approccio fattivo della famiglia, unita nel perseguire l'obiettivo comune di rendere Giorgia il più autonoma possibile. Ciò
ha permesso a Gisella e Franco, i genitori, di dedicare ai restanti due figli, Martina e Matteo, le giuste attenzioni che meritavano. E mi piace, inoltre, sottolineare che il rapporto con questa famiglia non si è concluso con 'nero' delle telecamere”.

“S.O.S. Tata è, fondamentalmente, un reality-show. Quanto vale, per questo programma, la regola 'poco reality, tanto show'?

“Le famiglie sono vere, i bisogni sono veri come le situazioni e non ci sono attori: questo è S.O.S. Tata. E' chiaro che anche dietro una trasmissione di questo genere ci sia del montaggio (ogni Tata vive con la famiglia ben 7 giorni d'intenso confronto, che vengono, poi, sintetizzati
in 50 minuti di video), ma l'esclusivo intento è quello di suggerire al pubblico metodi e modalità comportamentali semplici ed efficaci da adottare quotidianamente con i propri figli”.


”Mamma, moglie e donna in carriera (ideatrice di 'English is Fun!', Consulente esclusiva Chicco per la linea di giochi parlanti bilingue e socia fondatrice, insieme a Natalia De Luca, Mirko Moliterni e Biagio Settineri della sede bolognese del British Institutes), Tata Adriana non ha
problemi a rivelarci che, a volte, anche lei lancerebbe un S.O.S.”.

“Sono una Tata” – dice -  ma non sono una macchina, né tantomeno perfetta. L'importante, comunque,è mettersi sempre in discussione, in qualsiasi circostanza. E - conclude ironicamente – “chissà che il mio prossimo S.O.S. non sia rivolto ad 'Adolescenti: Istruzioni per l'uso' (ennesimo format Magnolia), visto che i miei due
ragazzi crescono a vista d'occhio”!!!


Un consiglio a tutte quelle famiglie italiane che vorrebbero una Tata come te tra le quattro pareti domestiche.

“Fare il genitore è un impegno che dura una vita, questo vuol dire riuscire a portare avanti un progetto educativo comune che ci si è proposti fin dall'inizio. Perché ciò avvenga nel modo più soddisfacente
possibile, il confronto ed il dialogo tra i componenti del nucleo
familiare sono strumenti fondamentali. Ma se le risposte tardassero ad arrivare, ci sarà sempre Tata Adriana pronta ad intervenire”!

TORINO, L’ANTICA CAPITALE

di Nadia Seclì

I torinesi debbono molto a qualcosa o a qualcuno.

Di certo ai Savoia, che l’elessero capitale del Regno.

Poi alla Fiat e agli Agnelli.

E alle decine e decine di migliaia di immigrati meridionali.

Giri per Torino e tutto parla delle Loro Maestà: palazzi, toponomastica, nomi di bar e ristoranti.

La presenza della Fiat si è fatta più discreta, ma non puoi ignorarla.

Come non ignori i volti, le cadenze ed inflessioni linguistiche che ti rimandano a dialetti di altre parti d’Italia.

Arrivi a Torino e ti ritrovi catapultato in pieno Risorgimento.

E, di colpo, ti ricordi che ti trovi nella prima Capitale della Penisola.

Torino è veramente una bella città.

Pulita, ordinata, tranquilla, a tratti quasi sonnolenta.

Ti colpisce la presenza di tante e tante librerie.

Di tante farmacie e di tanti bar, anzi: caffè, come si chiamavano una volta.

Tutti locali con arredamento d’epoca.

Addirittura, il famoso fast food “Mac Donalds”, uguale a sé stesso in ogni parte del mondo, a Torino ha dovuto indossare la livrea dell’antico negozio cittadino, con i legni ed i fregi di ottone.

Il centro di Torino, in via di forzata e quasi completa chiusura alle auto, è molto grande e ti da l’idea di appartenere ad una grande metropoli mondiale.

Tanti i palazzi ottocenteschi dalle belle facciate, anche se in pieno centro, tra piazza Castello e piazza San Carlo, si staglia una bruttissima costruzione pseudo-moderna che svetta più alta della stessa Mole Antonelliana, con il tricolore piantato all’apice: un pugno in un occhio da cui i torinesi, probabilmente, non si sono ancora riavuti.

Eppure, i torinesi hanno avuto un eroe come Pietro Micca, che di dinamite se ne intendeva.

Certo metaforicamente imitandolo, potrebbero fare un po’ di sano rumore!

Il Po scorre lento, incurante dei deliri dei suoi anacronistici adoratori.

Dalla sua riva destra inizia la stupenda collina e su, in alto, c’è la Basilica di Superga, quella dove andò a sbattere sessanta anni fa l’aereo che trasportava l’intera squadra di calcio del Torino.

Anche questo edificio di culto venne fatto costruire dai Savoia, dove vollero essere tumulati.

Tanto altro c’è da vedere a Torino e dintorni, ma più che raccontarlo, vale la pena scoprirlo da soli.

“TUTTI PAZZI PER LA TELE”

di Francesco M.T. Tarantino

Non sembrava vero! Il paesello in televisione

Tutti impazziti per un attimo di celebrità

Sfilano tutti come marionette con il gonfalone

In una vetrina di stupidità tra ingenuità e vanità

Tutti pazzi per la tele sul canale nazionale

Saltellando in un girotondo di un gioco deficiente

Esibendo una cultura che non serve e che non vale

In una ribalta di provincia falsa e insufficiente

E tutti fanno a gara per mostrar vecchi mestieri

Nella piazza del paese trasformata in palcoscenico

Ma nei vicoli adiacenti non ci son luci né forestieri

Resta qualche vecchio e un Bastiano schizofrenico

Che non sa batter le mani per il circo dei giocolieri

Forse perché in televisione non è molto fotogenico

UN APRÉS-MIDI A BRUXELLES

di Paola Cerana

Parto per Bruxelles armata di ombrello e impermeabile, sicura di essere accolta dal solito cielo grigio che normalmente accarezza i palazzi e le strade di questa città. Invece al mio arrivo mi attende un regalo: il sole pennella un pomeriggio brillante e colorato che sa ancora di primavera e che si fa beffa dell’autunno ormai inoltrato.

La prima sensazione che provo girando per le strade è di trovarmi in una città effervescente, in costante movimento: tutti sembrano andare di fretta ma è una fretta fisiologica, senza stress. La gente passa svelta a piedi o in bicicletta, auricolare all’orecchio, ventiquattrore in mano o sul manubrio, giacca sottobraccio e cravatta svolazzante. Tutti animati da una disinvolta eleganza. E’ una città giovane e multietnica e la mescolanza di lingue che intercetto per le vie le dà una personalità tutta sua, che mi fa sentire al centro del mondo.

Appena fuori dal mio hotel mi dirigo verso La Grand Place, cercando di orientarmi con le vaghe indicazioni sbirciate in internet. Subito un giovane molto gentile, e per la verità dall’aspetto niente male, mi dà il benvenuto offrendosi di accompagnarmi fin là, cogliendo evidentemente la mia aria un po’ spaesata e incuriosita da tutto. In pochi minuti, tra quattro chiacchiere in un improvvisato franglish davvero divertente, sbocchiamo nella Grand Place che, complice il bel tempo, mi appare particolarmente ridente. Il bel giovane perde invece il sorriso e mi saluta un po’ deluso quando gli rispondo che non sono sola a Bruxelles, no, mi aspetta mon copain all’hotel.

La Place mi ricorda le tipiche grandi piazze delle vecchie città europee. Come in un collage di film diversi rivedo Monaco, Vienna, Dresda, Amburgo e Bruges, fiabesco borgo medievale non lontano da qui. Il cielo luminoso trasforma la piazza in una festa e la storia dei suoi severi palazzi dai pennacchi dorati si mescola alla vivacità leggera dei bistrot, delle birrerie e dei ristorantini, da dove un miscuglio tentatore di profumi caramellosi rischia di farmi ingrassare semplicemente stuzzicandomi le narici.

Giusto il tempo di scattare qualche foto e mi rimetto in cammino, questa volta senza guida, e in silenzio mi gusto le voci e gli odori della città. Sembra tutto in miniatura fuori dalla Grand Place: un diramarsi di stradine in pavé consumato dagli anni, incorniciate da tanti piccoli negozi che offrono fieri prodotti belgi di ogni tipo. Ma è soprattutto un susseguirsi di chocolaterie che espongono in vetrina delizie di cioccolato di infinite

forme e colori, come fossero gioielli rubati ai tesori di qualche bella principessa.

Passato e presente si fondono proprio come il cioccolato a Bruxelles e il contrasto tra la solennità dell’Hotel de Ville, della Maison du Roi con i grattacieli moderni sempre più proiettati verso l’alto mi trasporta in pochi attimi qua e là nella storia.

Non ho tempo per cedere alla gola delle chocolaterie. Prima di rientrare in hotel devio svelta verso il Parlamento Europeo e mi rendo conto che anche l’aspetto della città, e non solo quello della sua gente, è in movimento. In un mondo che in questo momento sembra paralizzato e tormentato dalla sfiducia mi sorprende trovarmi in mezzo a enormi cantieri che preannunciano la nascita di edifici futuristici da capogiro, la cui imponenza sarà ingentilita dalla leggerezza delle forme e dei rivestimenti. La sede del Parlamento Europeo è lo specchio perfetto in cui si riflette l’altra faccia di Bruxelles, quella moderna, tutta vetri e trasparenze, che allaccia la storia di un Paese al futuro di una Comunità di Paesi.

Ma il mio presente mi dice che è tardi. Affretto il passo e la stanchezza vola via al pensiero di cenare con un amico inglese che lavora qui e che non vedo da tempo. Mr. Bill è un vero gentleman, alla cui finezza anglosassone si sposa uno spirito vivace che lo rende irresistibile e ancora affascinante nonostante la sua non più giovane età. L’appuntamento è in un ristorante italiano, “Cose così”, che di italiano in realtà ha solo il simpatico nome. Per raggiungerlo occorre attraversare un quartiere africano: tutto è nero qui, i negozi che vendono frutta e verdura esotiche, i profumi delle spezie che si mescolano nell’aria, la musica che aleggia fuori dai locali e la gente che ci saluta con un sorriso buono come solo loro hanno. E’ un quartiere pacifico, che invita a passeggiare tranquillamente fino a tarda notte, dando l’illusione, clima permettendo, di trovarsi davvero in un angolo d’Africa.

Anche il ristorante sa di tropici: luci basse che ricordano il tramonto della savana, tavoli di legno ravvivati da tremolanti candele, scudi e maschere dipinte alle pareti, tamburi che diffondono nella sala un soffuso ritmo tribale e uno chef del Togo che ci accoglie con un sorriso bianchissimo,

come il grembiule che indossa. Davanti a una bottiglia di Chardonnay gelata gustiamo un trancio di tonno rosso appena scottato, alto come una mattonella ma tenero come una sfoglia, profumato di rucola e pomodorini, che sanno davvero di Italia.

La cena scivola via tra i racconti affascinanti del mio commensale giramondo, che fa viaggiare anche me a bordo delle sue parole. E’ sempre un piacere stare ad ascoltarlo. All’improvviso però mi rendo conto che c’è qualcosa di diverso in lui. Bill non scappa più fuori dal ristorante, ogni dieci minuti, per fumare una sigaretta in libertà. Ecco cosa c’è di nuovo: ha finalmente smesso di fumare! E brindando alla notizia con l’ultimo bicchiere di vino Bill mi confessa di essere io l’inconsapevole artefice della sua sofferta conversione. Una mia ingenua e-mail indirizzata a lui tempo fa terminava con “… and please Bill, don’t smoke too much!”, un affettuoso invito, insomma, a non fumare troppo. Sapevo che sua moglie era all’oscuro del suo vizio ma non immaginavo che lei avesse libero accesso alla sua posta elettronica. Così da quel giorno, svelato rovinosamente il suo segreto, Bill ha dovuto promettere alla sua signora che non avrebbe più toccato una sigaretta. Promessa che ha coraggiosamente mantenuto!

In verità non so se scusarmi o se scoppiare a ridere immaginando la tragicomica situazione. Ma l’imbarazzo svanisce di fronte all’unica cosa importante, e cioè che Bill non è più schiavo del fumo. Una sola cortesia mi domanda, alla fine della nostra piacevolissima cena, coccolando tra le mani un bicchiere di Chivas: “Please, Paola, don’t send me any e-mail asking me not to drink too much whiskey!!!” (per favore, Paola, non mandarmi e-mail in cui mi chiedi di non bere troppo whiskey!).

Finisce così, con una risata, un abbraccio e una promessa di rivederci presto, il simpatico appuntamento con Bill. La notte è ormai inoltrata e ci avviamo, in direzione opposta, ciascuno  verso il proprio hotel, accompagnati dalle tenui  luci dei caratteristici lampioni cittadini. Mentre cammino ripenso al pomeriggio  trascorso: un pomeriggio pieno di inaspettate sensazioni per quella che doveva essere una semplice e rapida tappa, prima di raggiungere Parigi. Mi trovo invece a rivivere con piacere una estemporanea passeggiata nell’effervescente centro della città, con il suo disarmante senso di giovinezza, l’armonica convivenza di modernità e antichità e le sue dolci tentazioni al cioccolato. Insomma, mezza giornata di un’inattesa full-immersion emotiva.

Guardo il cielo e mi accorgo che Bruxelles mi sta regalando anche una magnifica notte stellata foriera di un’altra generosa giornata di sole.  Domattina,  dunque, proseguirò  per Parigi. Mi attendono la Ville Lumiere, Pigalle, gli Champs-Elysées, il Louvre ma forse semplicemente camminerò senza meta precisa per i trottoirs,  per provare anche lì l’emozione di sentirmi  parisienne per un giorno come, per un après-midi,  mi sono  sentita  una citoyenne di Bruxelles.

VOCE FUORI DAL CORO

di Bernardina Tonti

Ti ho visto

Sotto le luci della ribalta

Ti ho fissato con il naso all’insù

…Tu, un uomo e il suo cappello

Hai perso il tuo mantello!

Con cui avvolgevi la notte

E spegnevi i sogni.

Ti ho visto

Sul palcoscenico della vita

Aggirarti famelico, più di un lupo

E nutrirti dell’anima di altra gente.

Ho visto il tuo volto e le sue mille facce

Celare una vita senza mordente

Scandita dal tempo

Perennemente

quello sottratto a me

Brutalmente

Lo lascio alla tua coscienza

Inutilmente

La mia schiacciata da un peso

Inconsistente

…Io provo ad addormentarmi

Serenamente

FARONOTIZIE.IT  - Anno III - n° 30, Novembre 2008

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