FARONOTIZIE.IT - Anno III - n° 30, Novembre 2008
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Direttore responsabile Giorgio Rinaldi
A PALAZZO ISOLANI
di Piero Valdiserra
A Bologna, presso Palazzo Isolani (Via S. Stefano 16),
dall’8 al 16 novembre 2008 (con vernissage sabato 8 novembre, ore 17.30),
si terrà
Gianfranco Maria Beltrami, milanese trasferitosi da anni in Canton Ticino (Svizzera), ha lavorato a lungo come architetto, coltivando la sua passione per la pittura parallelamente alla sua professione.
Nel 1977 una profonda crisi lo ha portato a scegliere l’arte come sua esclusiva attività. Una crisi autentica, intellettuale e spirituale, alla ricerca di quelle risposte sul senso della vita che ogni uomo dovrebbe porsi e che lo ha portato a trasferire sulla tela le proprie aspirazioni e le proprie emozioni. Il percorso artistico si sviluppa attraverso lo studio dei grandi maestri e delle loro tecniche, per costruire quella base di “mestiere” che ogni pittore dovrebbe conoscere, e si realizza in una pittura che esprime le sensazioni più autentiche, grazie ad una mano “benedetta”, obbediente a un occhio che sa vedere l’essenza delle cose. L’arte di Gianfranco Beltrami esprime senso della composizione, armonia del colore e decisione del tratto, mescola riferimenti classici di grande scuola a pennellate istintive, coniuga riflessione con emozione.
Questa personale a Bologna non mancherà certamente di avvicinare nuovi estimatori al mondo visionario e affascinante di Gianfranco Maria Beltrami.
Fragments’ Gallery
“L’ Artista che sceglie di “frammentare” un proprio quadro decide di operare un grande sacrificio durante il quale l’opera stessa, in quanto unità completa, viene smembrata affinché possa essere condivisa da molte persone e quindi assurgere a multipla valenza.
Dopo il sacrificio l’Artista e tutti i possessori di un singolo
”frammento” formano di fatto
una comunità artistica spiritualmente in perenne simbiosi.
Solo Artisti veramente ispirati scelgono di destinare alcune loro opere a questo rito sacrificale.”
La frammentazione dell’ opera di Gianfranco M. Feltrami
La frammentazione di un’ opera d’ arte è una operazione che richiede attenzione e cura massime, assimilabile all’ opera dei tagliatori di diamanti, dove anche il minimo errore può compromettere un capolavoro.
Ogni fase della frammentazione, dalla misurazione al taglio, dal montaggio sul passe-partout a quello sulla tela, sono svolte sotto il rigoroso controllo di Fragments’ Gallery.
La firma autografa dell’ Artista e di Fragments’ Gallery garantiscono l’ unicità dei frammenti e la loro autenticità.
In
occasione della sua personale bolognese, Gianfranco Maria Beltrami ha deciso
di destinare la sua opera “Babele
I visitatori potranno scegliere il proprio frammento ed entrare così a far parte della comunità artistica che verrà a crearsi.
Ogni
frammento dell’ opera “Babele
Sponsors: Banca Generali, Dr. Andrea de Socio, D.ssa Alessandra Amato, Cesarini Sforza Spumanti S.p.A., Mangaroca International S.A., Dr. Dario Rossi, Giovanni Sassoli de’ Bianchi.
Info: G.M.Beltrami, tel. +41 91 9942356, e-mail gianfranco.beltrami@ticino.com
AI MILITI IGNORATI
di Francesco M.T. Tarantino
Più che ignoti foste ignorati
Feriti uccisi e poi macellati
Sconosciuti partiste per la guerra
Anonimi cadeste in trincee di terra
L’alba che vi guardò partire
Fu la stessa che vi lasciò morire
Senza lacrime di moglie e di figli
Foste falciati come fiori di gigli
Che beffa morire di guerra lercia
Per una lapide appesa alla quercia
Senza il nome una corona d’alloro
E una medaglia che dicono d’oro
Che nessuno sa cosa farsene:
Un modo per dimenticarsene!
Non aveste onori né ringraziamenti
Solo fandonie e inutili monumenti
Ed ora vi colmano di benedizioni
Coi preti che dispensano assoluzioni
Voi capiste lo sfregio del vile disprezzo
Di chi pensa che la vita ha un prezzo
Resta di voi una falsa memoria
Che non conosce né nomi né storia
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Francesco M.T. Tarantino ha di recente pubblicato la sua seconda raccolta di poesie dal titolo “Disturbi del cuore”, MEF – L’Autore Libri Firenze-.
ALL’ALEXANDER MUSEUM PALACE DI PESARO
di Franca Vitone
ARTE E TURISMO POSSONO COESISTERE
i vincitori del Premio “Sanzio è Raffaello”
Collegare il mondo dell’arte al mondo del turismo, può creare una sinergia fortissima, ed una fortissima crescita, con un incremento della produttività ed un miglioramento della qualità della vita.
Deve essere stato questo il pensiero del Conte Alessandro Marcucci Pinoli di Valfesina, Nani per gli amici, personalità particolare ed eclettica, avvocato, console ed ambasciatore, ma soprattutto scultore, scrittore e poeta e proprietario dei VIP Hotels, gruppo di raffinati alberghi tra Pesaro ed Urbino, quando ha deciso di realizzare sul lungomare di Pesaro l’Hotel Alexander, un originale “museo-albergo”, un’opera calata in un moderno contesto di ricezione turistica .
L’idea di fondo è di celebrare l’arte in ogni sua forma, di divenire punto di incontro per l’arte contemporanea, luogo di ritrovo di giovani creativi italiani e stranieri.
Nove
piani di arte contemporanea: 63 camere firmate da 75 artisti e le parti comuni
decorate da altri 25, per un totale di 100 fra pittori e scultori. Inoltre
una grande collezione di sculture e quadri dei principali protagonisti dell’arte
contemporanea in Italia, da Sandro Chia a Giò Pomodoro, da Enzo Cucchi a Mimmo
Paladino e si potrebbe continuare ancora a lungo. Ogni sala, ogni stanza,
ogni dettaglio porta la firma di un autore diverso, a cominciare dalla stele
alta
Ed è qui che il 25 ottobre si è svolta la cerimonia della consegna del Premio “Sanzio è Raffaello”. I premi sono stati assegnati a Valerio Massimo Manfredi ed alla stilista Rosanna Ansaloni.
Al
primo, scrittore già “Bancarella
L’Alexander, è un resort alberghiero che resta nella mente e nel cuore per l’eccellenza della posizione, per l’eccellenza della struttura architettonica e dell’arredo, che rispecchia la personalità del Conte “Nani” che Vittorio Sgarbi definisce “gentile, disponibile, originale..una persona la cui esistenza è fondata sul paradosso”, per l’eccellenza dello staff che garantisce una passione ed una qualità del servizio altrettanto unici, per l’eccellenza della cucina.
PRESIDENZIALI USA VISTE DALL’ITALIA
di Emanuela Medoro
Ancora nella tempesta
Non si può parlare della conclusione di questa lunghissima campagna elettorale senza tener presente la situazione politica e finanziaria in cui si sta svolgendo. Ai normali colpi di coda preelettorali cioè attacchi e contrattacchi di ogni genere, fanno infatti da sfondo le micidiali e brusche altalene della borsa di NY che si propagano in tutto il mondo occidentale ed orientale. Il vento della recessione soffia un po' dappertutto, portando l'incubo di licenziamenti in massa, fallimenti di aziende, inflazione. E sono solo le questioni economiche che oggi dominano le cronache.
Sono stati i problemi dell'economia a dominare l'incontro/scontro tenuto presso l'Università di Hofstra a Long Island la sera di mercoledì, a conclusione della serie d'incontri diretti dei due candidati. Questo è stato sicuramente più vivace e ricco di spunti programmatici degli altri due incontri, ma, come risulta dai primi sondaggi d'opinione fatti a caldo, non ha spostato le preferenze degli elettori americani.
McCain ha attaccato duro e l'altro, in difesa, ha dimostrato di non lasciarsi coinvolgere, anzi di essere di una freddezza glaciale, qualità che molti bianchi biondi apprezzeranno parecchio. Attaccato sui suoi rapporti con un certo terrorista Ayers, Obama ha tranquillamente risposto che all'epoca dei fatti aveva solo otto anni. Sono poi rispuntati fuori i temi classici delle differenze fra i due partiti come l'aborto e le tasse. Riguardo all'aborto, il repubblicano ha parlato per la vita, pro life, e dunque per il cambiamento della normativa attuale, e l'altro per la scelta, pro choice , cioè per il mantenimento di essa.
Quanto alle tasse protagonista indiscusso della serata il destinatario di tutte le dichiarazioni: Joe l'idraulico, un tale che vuole diventare proprietario della piccola azienda in cui lavora da vent'anni ed una volta, alla fine di un comizio, ha chiesto ad Obama se, in caso di sua presidenza, dovrà pagare più tasse.Rivolgendosi a questo Joe, McCain ha detto di essere in linea di principio contrario alle tasse e di stare attento, perché se vince Obama pagherà tante tasse da rimanerne schiacciato, e l'altro, no, io voglio aumentare le tasse solo ai ricchi, cioè al 5% della popolazione, non aumenterò le tasse al 95% anzi, le diminuirò, ed in più darò l'assistenza medica. Chissà che cosa troverà quello che avrà in mano le chiavi del tesoro, non lo sa nessuno per ora, ed è questo che farà la vera politica fiscale.
Sarah Palin, nel discorso ufficiale per l'accettazione della sua candidatura come vice presidente del partito repubblicano. Dunque allora disse fra l'altro: c'è un tempo per la politica ed un tempo per la leadership...(a time for politics and a time for leadeship), cioè lei ha distinto chiaramente la leadership dalla politica. Secondo lei,dunque, la funzione guida è diversa, è al disopra della politica, cioè del rapporto con la società organizzata e le sue istituzioni, una frase che sarebbe piaciuta a Luigi XIV, il Re Sole. Obama, invece, fa discendere la legittimazione della funzione guida da un rapporto diretto con gli elettori, tipico a questo proposito l'organizzazione del suo movimento di base, evidenziato in un recente comizio diffuso online, in cui diceva delle frasi semplicissime, es.: ....queste elezioni storiche non riguardano me, ma voi,...oppure il cambiamento non deve venire da Washington, ma andare a Washington..., a cui tutti i presenti
rispondevano in coro con lo slogan Change, yes we can, posizioni demagogiche, ma meno preoccupanti dell'idea di leadership diversa dalla politica, quella del re sole.
Ricordiamo in conclusione che tutti i sondaggi di opinione danno in vantaggio Obama su McCain, però ricordiamo anche che nel 2004, davano in genere, vincente John Kerry, e poi vinse G. Bush.
BARACK HUSSEIN OBAMA, IL VINCITORE
di Emanuela Medoro
Il fatto più straordinario ed anche più commovente della storia americana, un uomo di colore nella sala ovale della Casa Bianca, segna il passaggio dall'America wasp, a maggioranza bianca, di cultura anglo sassone e religione protestante, ad un America multiculturale, che riconosce ed accetta la presenza di etnie e culture diverse non solo nella società civile e nel mondo del lavoro, ma anche nel mondo della politica alta, quella che prende decisioni che riguardano gli USA e tutto il mondo.
E' un fatto che ha alle spalle una storia sanguinosa, prima la importazione ed il commercio di schiavi neri, poi la guerra di secessione, fra gli stati del nord e la confederazione di stati del sud e l'assassinio del presidente Abramo Lincoln, colpevole di aver abolito la schiavitù nera. Seguì la segregazione razziale, la cui più visibile manifestazione fu ed è tuttora la divisione nelle grandi città industriali del nord fra quartieri benestanti bianchi e ghetti neri.
Appena una cinquantina di anni fa una donna nera si rifiutò di cedere il posto ad un bianco sull'autobus, gesto eroico allora, che iniziò un lento processo di integrazione e crescita economica e civile dei neri. Rimane ancora oggi un fatto, però, che l'arrivo di neri nei quartieri riservati ai bianchi fa scendere precipitosamente il valore delle case, cosa che in America sanno anche i bambini. Inoltre sono ancora vivi nefandi gruppi di folli estremisti come i naziskin ed il KKK, il clan degli incappucciati bianchi responsabile di roghi di neri nel sud, che ritengono di dover difendere con le armi la purezza dei cristiani di razza bianca.
Ed ora dopo otto anni di presidenza repubblicana Bush, segnata dalla guerra in Iraq per armi di distruzione di massa che non sono mai state trovate perchè non c'erano, da una devolution selvaggia che ha portato al fallimento storico della Lehman Brothers, da un massiccio intervento statale, senza precedenti nella storia del capitalismo, per evitare il tracollo del sistema bancario, e da un' economia a crescita zero o quasi, ecco che gli americani voltano pagina, coraggiosamente votano per la novità, anziché per l'usato sicuro.
Il 44 Presidente degli USA si chiama Barack Hussein Obama, finora senatore dell'Illinois. Ecco alcuni cenni biografici su di lui:
È nato il 4 agosto
Lolo Soetoro. La famiglia si è trasferita
in Indonesia, dove Obama è rimasto fino all'età di 10 anni, dopo di che è
tornato a vivere con i nonni alle Hawaii, dove ha frequentato con una borsa
di studio
Sposato con Michelle Robinson, ha due figlie femmine. Appartiene alla United Church of Christ.
Dopo avere terminato il college nel 1983, Obama ha lavorato per un consulente finanziario di New York ed una associazione di consumatori. Ha trovato lavoro a Chicago nel 1985 nell'organizzazione del Progetto di sviluppo delle comunità - un gruppo religioso che si proponeva di migliorare le condizioni di vita nei quartieri poveri.
Tre anni dopo è entrato alla Harvard Law School, dove è diventato il primo presidente nero della rivista di legge dell'università. Ha lavorato come associato pro tempore nello studio legale Sidley Austin a Chicago, dove ha conosciuto la futura moglie. Dopo essersi laureato a Harvard nel 1991, Obama ha esercitato come avvocato specializzato in diritti civili in un piccolo studio di Chicago, in seguito è diventato professore di diritto costituzionale alla University of Chicago nel 1993.
Cariche politiche: Obama ha ottenuto un seggio al Senato dell'Illinois nel 1996. Durante quella legislatura ha lavorato sulla legislazione del welfare e temi etici e su un provvedimento che prevedeva la registrazione elettronica degli interrogatori della polizia e delle confessioni nelle inchieste per omicidio.
Obama ha conquistato un seggio molto ambito per il Senato Usa nel 2004, strappando a sette rivali la candidatura per il Partito democratico e ha poi vinto l'elezione.
Il National Journal, che non parteggia per alcuna forza politica, ha definito Obama il senatore più liberal nel 2007, fondando il suo giudizio su come aveva votato in Parlamento quell'anno. Era stato classificato al 10mo posto della lista dei più liberal nel 2008 e al 16mo posto nel 2005.(Fonte Reuters)
Riassumo in breve il punto fondante della sua campagna elettorale, si chiama grassroot movement, il movimento delle radici dell'erba, che ha esteso a tutti gli stati americani l'esperienza di Obama fatta nel ghetto nero di Chicago nell'organizzazione di masse di diseredati per il miglioramento del loro tenore di vita in generale e per la difesa dei diritti civili, miglioramento che deve avvenire dal basso in alto (from the bottom up) e non viceversa. Ha esteso questa esperienza a tutti gli USA, creando una fitta rete di volontari attivissimi ed entusiasti senza precedenti nella storia americana. Questi hanno fatto telefonate, visite porta a porta, incontri pubblici per la discussione del programma elettorale, inviato email, e soprattutto hanno raccolto soldi, tantissimi, 700 milioni di dollari, per pagare le spese della campagna elettorale. Ricordiamo che a giugno Obama rinunciò al finanziamento pubblico della campagna elettorale. L'evento finale della campagna è stato un documentario di mezz'ora, trasmesso sulle reti costa a costa alla stessa ora, dal contenuto che ha toccato l'emotività del pubblico, altre che la ragione.
E questo è il segreto della ascesa politica di Obama, infatti egli è un tipo definito polarizzante, cioè che unisce la gente e la organizza, bravissimo a superare le differenze ed i contrasti di interessi in nome di valori etici comuni a tutti. Prima di tutto la fede in un destino comune dell'uomo, nel progresso economico e civile che deve superare le divisioni create dalle religioni esistenti.
Ha raggiunto ed emozionato masse sterminate non solo con la forza delle idee, ma con lo stile della sua oratoria. I suoi comizi, infatti sono costruiti su frasi semplici che si ripetono ed organizzano le varie argomentazioni, si ripetono seguite dal coro del pubblico che scandisce lo slogan: change, yes we can, diventato sempre più intenso e partecipato, coro che
sottolinea le sue argomentazioni come accade nei concerti gospel, dove ad un solista che canta frasi semplicissime, e ripetute all'infinito, risponde il coro sul palcoscenico ed il pubblico in sala. Pubblico originariamente composto di soli neri, oggi, da tutti.
Auguriamoci ora che questo concerto gospel duri 4 anni, anzi 8, senza spargimento di sangue.
BELL’ITALIA E GIAPPONE
di Michiyo Suzuki
L’articolo è stato lasciato cosi come scritto, per precisa scelta editoriale, per dare modo al lettore di apprezzare tutta le genuinità del pensiero dell’estensore che si sforza di scrivere nella nostra lingua.
Ciao a tutti!
Mi dispiace che la scorsa volta ho scritto qualcosa di negativo sull’Italia. Quindi oggi voglio scrivere qualcosa di positivo.
Prima ho scritto che mi ero innamorata d’Italia quando ci sono andata per la prima volta. L’Italia è sempre uno dei paesi che piacciono alla gente giapponese. Sapevo che tanti turisti giapponesi andavano sempre in Italia in vacanze, perchè l’Italia è bella Però io, avendo una personalità di cercare di resistere qualcosa a voga, non volevo andarci prima. Pero quando ho visto il Colosseo per la prima volta, ero comossa, ho avuto le pelle d’orca, veramente sopraffatta! Anche Venezia mi ho colpito moltissimo come un gioiello! Ma anche se cosi bella, non vorrei abitare a Venezia, perchè voglio abitare sulla terra.
Quasi 10 anni fa mi piaceva molto l’America. Ci sono andata negli Stati Uniti 4 volte, Hawai 4 volte, Guam 2 volte, Saipan 2 volte, l’Australia 1 volta. Pensavo che fossero molto belle. La natura di America, per esempio Grand Canyon, mi ha colpito molto con la grandezza. Le città di San Francisco, Los Angeles, New York, ecc. sono belle, ma mi sembra che qualcosa gli manchi. Tutto era nuovo e bello. Penso che gli manca la storia, e cultura originale.
In Italia o Europa in generale ci si sente moltissimo la storia e cultura, sopratutto gli effetti di cristianesimo, visitando i palazzi meravigliosi e tradizionali di ogni città. Sono stata colpita dei tante quadri religiosi, i vetro colorati, la scultura, ecc. della chiese non solo per la bellezza anche per la storia e il tempo che ci avrebbe voluto per produrre cosi bellezza.
Anche in Giappone ci sono qualche città bella, originale, tradizionale, culturale di cui siamo orgogliosi come Kyoto, Nara, Nagasaki, ecc. Ma secondo me in Italia quasi tutte le città sono belle! Significo che anche una città piccola e locale è bella con la sua chiesa, il suo duomo, la sua piazza, il mare o la montagna, oppure gli entrambi. Pero in Giappone invece una città tipica locale come la città che abito io non è bella in generale. La città funziona perfettamente come un quartiere residenziale con tutte le funzioni necessarie. Pero non è bella! Sopratutto la panorama che si fa dalla mia finestra del piano 4 di parazzo non è bella, vedendo solo tanti palazzi tuti quadri a misura diversi collocati disordinatamente. Che differenza della panorama di Genova, Firenze, Napoli, Mondello, Cefalù, ecc.!!!! In caso d’Italia ogni città mostra una perfetta armonia di bellezza, una ottima combinazione di palazzi, il mare e la montagna. I parazzi hanno in generale il stesso tono di colore e forma. Ho sentito dagli Italiani che ci sono le regole strettissime su costruzione. Quando una persona vuole costruire un palazzo tutto nuovo oppure cambiare un poi del palazzo, si deve ricevere l’approvazione dell’ufficio.
In Giappone nel passato le case si facevano con carta e legno. Questo è un po’ esagerato, pero non si usavano in Giappone la pietra come in Europa. Quindi le case non hanno sopravvissuto dei incendi, terremoti, i
bombardamenti delle guerre mondiale, ecc. Pero alcune case hanno sopravvissuto, pero il governo non hanno nessuna fatica di proteggere
queste case fatte di legno, molto giapponese, tradizionale con l’atmosfera particolare. Nella epoca di Meiji (1968_1912) quando il Giappone cercava di raggiungere i paesi di Europa tanti palazzi meravigliosi sono stati costrutti di mattone. Ancora qualche palazzo fatto in questa epoca si puo vedere. Il palazzo della stazione di Tokyo, la stazione piu grande in Giappone, è uno degli esempi di questi parazzi meravigliosi. Pero qualche volta questi parazzi fatti in Meiji sono distrutti per la causa di “il progetto di risviluppo”, distruggendo tutti palazzi in un quartiere al centro di Tokyo e costruendo qualche grattacielo moderno e bello e un parco. Grazie a questo movimento la città di Tokyo si è trasformata molto in questi 10 anni. Pero durante questo periodo tanti palazzi antichi e belli sono stati persi, anche la cultura. Mi sembra un grande peccato!
In questo senso il governo Italiano funziona benissimo per proteggere la bellezza delle città, il quale di Giappone invece non fa niente. Grazie alla politica del governo Italiano che generalmente non si ringrazia molto in Italia, l’Italia rimane sempre un paese cosi bello che continue ad attirare tanti turisti dal tutto il mondo.
Vorrei abitare in Italia!
BREVI NOTE SULL’IRAN
di Raffaele Miraglia
Gli iraniani affiggono gli annunci mortuari vicino alle moschee e nei bazar. Anche se non capite una sola lettera di quello che c’è scritto, capite subito cosa sono. Assomigliano a quelli che vedete qui nei paesi del nord Italia. Con una piccola differenza. Alcuni sono senza la foto del defunto. Per la precisione, sono senza la foto della defunta. Già, negli annunci mortuari delle donne non si mette la foto.
In vita hanno potuto mostrare in pubblico solo il volto, ma quando muoiono delle donne non si deve vedere neppure quello.
Eppure, o forse proprio per questo, sono soprattutto le donne quelle che ti avvicinano, ti dicono “Welcome to Iran”, ti chiedono da dove vieni e subito dopo ti domandano se non hai avuto paura a venire in Iran, visto quello che gli americani dicono degli iraniani. E capita che quella ragazza, che ti ha detto che sta facendo il master in bioingegneria alimentare e che ha parlato con te tre o quattro minuti, tiri fuori un bigliettino e ti scriva il suo indirizzo e-mail e il suo numero di telefono e ti dica di contattarla. Non equivocare, lo dice a me e a mia moglie. Così come me lo dicono altri ragazzi che incontro per strada. Non mi era mai successo di raccogliere tanti indirizzi e-mail e tanti numeri di telefono. Non mi era mai successo in altre parti del mondo di essere fermato per strada da un ragazzo che ti dice che stasera lui e i suoi amici si trovano in una casa da the e che avrebbero piacere di parlare con te. “Vi veniamo a prendere in albergo.” E quando parli con loro, sei subissato di domande e la metà riguardano il rapporto uomo-donna in occidente.
E non sono solo i ragazzi, quelli istruiti e che sanno l’inglese. Sono anche i genitori, che parlano solo farsi e allora mandano avanti la figlia o il figlio, che ti traducono le domande e che traducono alla madre e al padre le tue risposte. Quei genitori che, fuori dal monumento che hai visitato, ti fanno
chiedere dai figli dove stai andando e ti fanno dire che ti portano loro con la loro macchina.
Di turisti stranieri in Iran, come potete immaginare, ce ne sono proprio pochi. Se escludete quelli dei viaggi organizzati (che ovviamente non hanno contatti con i locali), eravamo proprio in pochi con cui poter parlare. Nei posti più turistici, in agosto, eravamo al massimo una ventina, negli altri c’eravamo solo io e Rosella.
I turisti iraniani, invece, sono molti e moltissimi fanno camping. Non il nostro, il loro. Li vedi dappertutto, con il tappeto disteso nel parco, ma anche al lato dell’autostrada, il fornello del gas con sopra la teiera e la
tendina tipo igloo. Sì, la tendina la vedi anche in quello che da noi sarebbe al sud la villa comunale e qui a Bologna piazza dell’Unità e, addirittura, piazza Maggiore.
Tu, invece, da bravo turista fai da te, che leggi la parte generale della guida per capire quali sono le cose strane in cui ti imbatterai, rimani comunque stupito quando per strada ti si avvicina qualcuno con un
vassoio di pasticcini e un altro coperto di bicchieri di plastica pieni di succo di frutta. E ancora di più quando sei in taxi e all’incrocio qualcuno ti bussa sul finestrino per offrirti pasticcino e bevanda. Nella guida non c’era scritto, ma lo abbiamo capito in fretta cosa stava succedendo. In Iran si festeggia per strada con i passanti sconosciuti. Si offre il “rinfresco” a chiunque sia nella vicinanze. Ci si mette persino all’uscita della tangenziale (e si acuisce l’ingorgo permanente che caratterizza il traffico cittadino).
E se questo ti stupisce, ancora di più lo è il fatto che negli enormi bazar nessuno ti assilla per venderti qualcosa. Se si eccettua un venditore di tappeti a Teheran e il figlio di un miniatore a Esfahan, nessun altro ci ha attirato nel suo negozio. E se entravi in un negozio, eri tu a chiedere, se volevi qualcosa. Gli iraniani non sono arabi e lo si vede anche in questo.
Così come lo intuisci quando incontri chi in qualche modo ha a che fare con i rari turisti e cerca di guadagnarci su. In Iran, se ti fregano, hai speso 1 o 2 euro in più. Più facile che incontri, scendendo dall’autobus, un “taxista” che, con una macchina normale, si offre di accompagnarti all’hotel e poi estrae un foglio di quaderno scritto a mano in inglese dove si dice che lui ti può portare anche in qualche località vicina o a fare il tour della città e, se ti dimostri interessato, si attacca al telefono, ti passa la moglie, che parla inglese, e con lei contratti il tour. Anzi, il tragitto verso l’albergo si allunga di qualche centinaia di metri per passare a casa sua, in modo che la moglie possa spiegarti meglio cosa ti offre il marito, senza dover parlare al cellulare, che magari non ci si capisce bene. E’ quel che, per esempio, ci è capitato a Kashan e con quel “taxista” siamo andati ad Abyaneh, passando a poche decine di metri dal luogo dove gli iraniani stanno costruendo quel maledetto reattore nucleare di cui avrete sentito parlare (toccante vedere tutto attorno delle piccole montagnette artificiali, sormontate da postazioni di artiglieria contraerea, che abbatterebbero al più un ultraleggero).
A tanta ospitalità fa da comunque contraltare il controllo poliziesco. Prendi il bus o il taxi per andare da una città all’altra? Devi dare il tuo nome, che verrà segnato su una lista, che verrà consegnata al posto di controllo. Mi sembrava di essere ritornato al Guatemala del 1988, ma lì c’era un paese in piena guerra civile e, anche se stavi dalla parte degli insorti, comprendevi quei militari che controllavano tutti i mezzi di trasporto. In Iran non c’è nessuna guerra civile, ma il governo teme il luoghi dove si ritrovano i giovani e così, per disincentivarli a trovarsi nelle case da the, vieta l’uso dei narghilè. E’ come vietare il ballo in una discoteca.
Ma a ben pensare, un peggiore controllo delle idee è quello sottile e impercettibile che ci facciamo noi qui in Italia. Il 99% delle persone a cui ho detto “Vado in vacanza in Iran” o “Sono andato in vacanza in Iran” mi ha guardato sgranando gli occhi. “Ma non è pericoloso?” E alla mia risposta “Solo se americani o israeliani sganciano una bomba”, quel 99%
abbassato gli occhi e ha riconosciuto “In effetti”.
In compenso un altro amico, a cui avevo chiesto consigli per il viaggio, sapendo che in Iran c’era stato, mi ha detto: “Quest’anno faccio io il turista avventuroso, vado nell’Impero del Male.”
E ieri ho visto le sue foto di New York.
CANI DI RAZZA
Editoriale del Direttore Giorgio Rinaldi
Intolleranza, xenofobia, etnocentrismo, razzismo: termini ciascuno con un significato preciso per indicare un sentimento, un atteggiamento, un’ideologia, un preciso disegno politico.
Un buon numero di giornalisti, politici, opinionisti in genere, la cui connotazione certa è un’esibita crassa ignoranza, a cominciare dal corretto uso della lingua italiana, parlano –spesso a sproposito- dell’immigrazione negando o addebitando agli italiani manifestazioni che, sbrigativamente, definiscono razziste.
Così, anziché chiedersi come mai nel breve corso di qualche decennio siamo passati da oggetto a soggetto di vergognosi attacchi contro gli emigrati generalmente intesi, in Italia il dibattito si è subito incentrato sulla giustezza o meno di una politica di segregazione da applicare ai bambini stranieri che si iscrivono alle scuole elementari italiane.
Superando il ribrezzo che la parola “apartheid” può e deve suscitare in ogni uomo degno di questo nome, non si può non sottolineare, tra i tanti, alcuni aspetti di questa penosa vicenda:
1) L’Italia è un paese sostanzialmente a maggioranza conservatrice, con marcate tendenze reazionarie.
2) La nostra giovane democrazia non è riuscita a scrollarsi da dosso le incrostazioni lasciate dal passato regime fascista.
3) Rappresentative zone del Paese hanno espresso classi politiche che fanno del razzismo, o della xenofobia, la loro bandiera.
In un Paese che è attanagliato da gravosissimi problemi economico-sociali; che vede milioni di persone che vanno ogni giorno più impoverendosi; che ha interi territori e popolazioni ostaggi della criminalità organizzata; dove banchieri, petrolieri, speculatori di Borsa, etc., etc., la fanno da padroni, gli unici problemi che sembrano interessare gli italiani sono quelli, oltre al sette in condotta e al grembiulino per gli scolari, delle multe alle prostitute ed ai clienti che non praticano fuori dagli occhi del mondo, nonché per qualche decina di migliaia di bambini stranieri che dovrebbero essere tenuti lontani dai pargoli nazionali fintanto che non abbiano imparato la lingua di Dante.
Possibile che si ignori bellamente che per superare il “gravoso” problema, se problema mai c’è, dei bimbi stranieri che per obbligo di legge devono andare –giustamente- a scuola basta un blando corso di sostegno, visto che i bambini imparano notoriamente a parlare, leggere, scrivere e far di conto ad una velocità impressionante ?
Certo che non è possibile, almeno in parte.
E, allora ?
E’ un antico giochino che, per fortuna, è scoperto da tempo, anche se gli ostinatamente ciechi non mancano.
Ecco la ricetta collaudata:
Si prende un argomento qualsiasi, tra quelli che interessano ora quella fazione, ora quel partito, ora quella lobby.
La si offre in pasto ai giornali e alle tv.
Si comincia a parlarne, nonostante a volte la straripante insulsaggine (vedasi: “nazione padana”; “fatturato della mafia” –da quando la mafia emette fatture e deposita i bilanci?-; il “cacao meravigliao”; il “sarchiappone”…
Poi, alla lunga, qualcuno finisce con il crederci veramente e confonde la fantasia con la realtà.
E, qualcosa nella sacca del cacciatore rimane…
Concetti astratti entrano nel linguaggio comune e cominciano a far parte del patrimonio di ciascuno.
In questo modo il dibattito viene ingessato su luoghi comuni e diventa fuorviante rispetto alle soluzioni da trovare.
Da qualche mese, ad esempio, si è “scoperto” il concetto di “percezione”, così in presenza della più eclatante corbelleria basta invocare la “sensazione individuale”, come per il caldo o per il freddo: aumenta il desiderio di sicurezza nelle città, mentre i dati ufficiali dicono che la criminalità è in netto calo, basta ricorrere al concetto di “insicurezza percepita”, e il gioco è fatto !
Resta, però, da sapere quanti di noi italiani siamo davvero di sentimenti ultra nazionalisti e quanti, invece, di sentimenti improntati alla solidarietà e all’intelligenza di coltivare la ricchezza che ci viene dalle moltitudini di genti di altri luoghi che vogliono vivere con noi.
Si pensi alla fortuna di avere un bimbo in classe con bimbi di lingua araba, cinese, indi…. In breve anche il nostro diventerà un poliglotta senza sforzo. O trovarsi un domani qualcuno di questi bimbi in governi o posti di comando stranieri e trovarsi, come per incanto, ad avere rapporti privilegiati tra i Paesi…
E’ così faticoso da comprendere?
Di converso, per quanti sforzi facciamo, l’etichetta del mafioso, del furbetto, di quelli che solo per un errore divino vivono nel paese più bello del mondo, non riusciamo proprio a levarcela di dosso.
Sarà perché, come per le reclute nell’Esercito che criticavano il “nonnismo” dei congedanti per poi avere lo stesso comportamento con chi arrivava dopo di loro, il nostro popolo, per decenni e decenni emigrato in ogni angolo del mondo, appena raggiunto un po’ di benessere interno ha rinnegato il suo passato ed ha iniziato a comportarsi allo stesso modo di quei tedeschi, francesi, svizzeri, americani che ritenevano gli italiani tutti criminali, accattoni, magliari e via elencando.
Forse è il caso di fermarsi un po’ a riflettere e considerare che “razzismo” fa sempre il paio con “cretinismo”.
CI RIVEDREMO IN FINALE…MORMANNO IL PAESE DEI RECORD!
di Nicola Alberti
Nella settima settimana consecutiva di partecipazione alla trasmissione di RAI2 Mezzogiorno in Famiglia si è interrotta la serie di vittorie di Mormanno nelle sfide tra i comuni d’Italia.
È stato il comune di Trino
(in provincia di Vercelli) ad arrestare la lunga marcia di Mormanno iniziata
nella prima trasmissione nel mese di settembre.
La gara è stata bella ed emozionante.
Mormanno parte bene nella prima manche del sabato vincendo la gara e l’ennesima medaglia (la decima -che rappresenta primato assoluto!-). Nella gara decisiva della domenica Mormanno è sempre avanti nei parziali ma il gioco, si sa, si decide nel finale quando i due comuni concorrenti “vanno alle mani”. Quelle di Trino sono mani veloci, troppo per i nostri ragazzi che uno ad uno sono eliminati.
Ultime speranze nello strappacoppa,
il gioco della doccia. Lorena è brava a tenere il tempo ma non abbastanza
per evitarle la doccia; al ritorno racconta che l’acqua dopotutto era tiepida
ma per tutta Mormanno è stata comunque una “doccia gelata”!
Si chiudono quindi i riflettori sulla piazza Umberto I; a fine trasmissione
l’atmosfera è un po’ mesta, la scena dei tecnici che smontano cavi e attrezzature
è abituale ma questa volta è l’ultima.
I registi e la conduttrice, solitamente dinamici e frenetici, si lasciano andare ad un amichevole indugio, dopotutto il clima è piacevole nella meravigliosa giornata di sole autunnale.
Consumato il rito delle
foto ricordo un po’ di chiacchiere di paese, qualche considerazione sulla
puntata e soprattutto saluti e affettuosi arrivederci. Arrivederci allora,
infatti l’avventura non è finita: appuntamento in primavera per le fasi finali
alle quali Mormanno accederà sicuramente.
Tra le note positive di questa bellissima esperienza rimarrà sicuramente l’amicizia
che i ragazzi da studio hanno legato con i concorrenti degli altri comuni
a dimostrazione che l’Italia dei “Mille Campanili”, da sud a nord, è molto
più unita e positiva del Paese disgregato che la cronaca ci racconta. Un caloroso
saluto quindi a tutti gli amici di S. Pellegrino Terme (BG), Bibbiona (LI),
Satriano di Lucania (PZ), Lanuvio (RM), Gandino (BG), Vigarano Mainarda (FE)
e agli ultimi di Trino (VC).
COOPERAZIONE ABRUZZESE: L’ECOTURISMO IN GUINEA BISSAU
di Goffredo Palmerini
Un progetto di sviluppo nel Parco Nazionale delle Foreste di Cantanhez, con il sostegno dell’Abruzzo
L’AQUILA –
La premessa era necessaria
per parlare d’un altro interessante programma di cooperazione dell’Abruzzo,
questa volta in Guinea Bissau, avviato giusto un anno fa. EcoGuiné
– così si chiama il progetto - è iniziato da ottobre 2007 e si
completerà a dicembre 2009. Mira a sviluppare in quel Paese africano le grandi
potenzialità ambientali del Parco Nazionale delle Foreste di Cantanhez
e
campo naturalistico ed ambientale. Definita “regione verde d’Europa”, l’Abruzzo ha oltre un terzo dell’intero territorio regionale protetto, dove sono presenti ben tre parchi nazionali (Parco Nazionale d’Abruzzo-Lazio-Molise, Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga, Parco della Maiella), il Parco Regionale Velino-Sirente, moltissime oasi ed aree salvaguardate per flora e fauna.
Questo è dunque EcoGuiné, programma di cooperazione che oltre alla Regione Abruzzo ha come partner il Parco Nazionale del Gran Sasso, l’Università degli Studi dell’Aquila, laureandi con borse di studio della Regione ed altri cooperanti. Del progetto EcoGuiné è coordinatore Claudio Arbore. Romano di nascita, trentacinquenne, dal 1996 Arbore vive e lavora in Abruzzo, dove da anni è impegnato sul fronte della conservazione e della protezione della natura, attraverso l’educazione ambientale nelle scuole e promuovendo iniziative tese a far conoscere le montagne abruzzesi ed il loro ecosistema, grazie anche alla sua esperienza d’alpinista. Presidente dal 2006 dell’Associazione Interpreti Naturalistici (Ain onlus), ha iniziato la sua attività di cooperante cinque anni fa partecipando, nella veste di consulente e ricercatore in geografia umana, a diversi progetti dell’Unione Europea in Africa, quali Ecopas e Agir. Pur continuando a collaborare in iniziative multilaterali, da due anni è impegnato nella promozione e realizzazione del Progetto EcoGuiné, di cui è il responsabile, nel quadro del programma di cooperazione decentrata della Regione Abruzzo.
Perché la scelta della Guinea Bissau? Lascio la risposta
alle parole di Claudio Arbore, prese da un articolo scritto da lui stesso
su una rivista abruzzese. “
con quelle dell’uomo, chiave di volta di tutte le azioni di conservazione, socialmente ed ecologicamente sostenibili (…)”.
Altre azioni del progetto hanno invece riguardato l’Abruzzo e i cittadini abruzzesi: un gemellaggio tra la scuola di Calascio - splendido borgo arroccato alle falde del Gran Sasso con una superba Rocca, location di molti film famosi - e quella del villaggio di Dulombi, in Guinea Bissau; un video girato sul progetto; infine, una mostra fotografica che merita un’annotazione. Tutte azioni volte a sensibilizzare i cittadini abruzzesi sui valori della solidarietà tra i popoli e dello sviluppo sostenibile, affinché si possano temperare gli effetti negativi della globalizzazione. Ma veniamo alla Mostra EcoGuiné. Allestita nell’ambito della 714^ Perdonanza Celestiniana, l’esposizione è stata ospitata negli androni della Presidenza della Provincia dell’Aquila, proprio nel cuore della città. Con 65 immagini fotografiche della Guinea Bissau la mostra ha cercato di raccontare la realtà di quel piccolo Paese africano e le azioni di appoggio allo sviluppo che l’Ain sta portando avanti con il progetto EcoGuiné. L’inserimento della mostra nel programma ufficiale della Perdonanza è stato inoltre un riconoscimento dell’importanza del messaggio di solidarietà e di pace tra i popoli che EcoGuiné intende promuovere attraverso uno sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile. Migliaia i visitatori dell’esposizione, dal 26 agosto al 5 settembre scorso. All’inaugurazione della mostra un saluto davvero speciale l’ha portato Ela Gandhi, rettore dell’Università di Durban, già parlamentare sudafricana e nipote del Mahatma, quest’anno ospite d’onore alla Perdonanza. L’insigne Personalità sudafricana, accompagnata dalla Presidente della Provincia dell’Aquila, Stefania Pezzopane, ha rimarcato il valore della mostra e del progetto EcoGuiné come testimonianze di pace e collaborazione tra nord e sud del mondo, tra genti e culture diverse.
Il progetto EcoGuiné, si diceva, si concluderà a dicembre del prossimo anno. Per quella data saranno completati la formazione e l’equipaggiamento delle guide ecoturistiche, la realizzazione d’un censimento e d’una cartografia delle risorse naturalistiche, grazie al partenariato di Ong ed associazioni bissau-guineane. Diversificare ed integrare le attività economiche, promuovere l’organizzazione e l’associazionismo tra le comunità di base, sono i princìpi fondamentali per una forma di sviluppo sostenibile originale ed appropriata per quei villaggi.. La natura, in Guinea Bissau, è davvero generosa per varietà delle specie animali e vegetali, un vero eden
faunistico e botanico. Il
Parco Nazionale delle Foreste di Cantanhez e
UN TIEPIDO AUTUNNO, UN MITE INVERNO
di Ferdinando Paternostro
Cara Chiara Giallonardo,
intanto complimenti: nei tanti collegamenti da Mormanno, in queste sette settimane di “Mezzogiorno in Famiglia”, hai sempre dato voce alle tradizioni ed alle bellezze della nostra cittadina con stile e garbo: per la promozione del nostro piccolo centro, che anche grazie a queste iniziative spera in un rilancio economico e culturale, non potevamo avere una madrina migliore.
Hai raccolto da tutti consensi meritati, simpatia e cordialissima accoglienza: sei stata Mormannese nelle brevi passeggiate in Piazza, nei locali che hai frequentato; hai sentito gli odori dei nostri vicoli e ti sei svegliata ai rintocchi dell’orologio della nostra torre campanaria.
Con alcuni, forse, hai stretto rapporti di breve ma sincera amicizia.
Quello che forse non sai, carissima Chiara, e che in questo tiepido autunno calabrese, hai infiammato i cuori di tanti compaesani, sposati e no, che ti hanno eletta regina del loro platonico paradiso di fantasie ed alle cui grigie giornate, anche solo per una breve stagione, ha dato un senso la certezza, nel week end successivo, del tuo ritorno.
Li ho visti scrutando in TV i loro occhi, nelle animate quinte dei tuoi collegamenti.
Li conosco bene… erano felici !
Ora per tutti loro un breve e mite inverno, diverso da tutti gli altri: a primavera, per le semifinali del programma, nella stagione della vita che rinasce, tornerai ...
.. e che non venga, per favore, Roberta Gangeri !
Un affettuoso saluto.
I VINCITORI DEL PREMIO “GUERRIERO DI CAPESTRANO”
di Emanuela Medoro
Il Premio internazionale a Goffredo Palmerini per la sua attività sulla stampa italiana all’estero
Importanti insediamenti
dei Vestini, uno dei popoli italici dell’antico Abruzzo, erano situati
lungo il tracciato millenario del tratturo, dove poi in epoca romana si sarebbe
snodata la via Claudia Nova, consolare che collegava la città sabina
di Amiternum alla via Valeria. Nella valle del Tirino, sotto l’attuale Capestrano,
sorgeva l’antica Aufinum (Ofena). In quei pressi, nella piana, nel 1934 un
contadino rinvenne un importante reperto della civiltà italica, subito chiamato
“Guerriero di Capestrano” per l’imponenza e la misteriosa singolarità
dell'equipaggiamento. Studi approfonditi, segnatamente dell’archeologo Adriano
Capestrano è anche il paese dove nacque San Giovanni, il 24 giugno 1386, uno degli uomini più importanti nella storia del vecchio continente. Abbandonata la professione forense a Perugia, Giovanni divenne francescano dell’Osservanza. Allievo ed amico di San Bernardino da Siena, fu un grande predicatore e condottiero, la cui fama si estese in tutta Europa. Nel 1453, caduta Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente, la paura per la minaccia alla cristianità europea era tangibile e incombente, a causa dall’avanzata inarrestabile dell’islam e dei Turchi. Se l’Europa si salvò, fu sopratutto per merito di Giovanni da Capestrano, il frate abruzzese che con la sua predicazione promosse la difesa del continente dai Turchi, reclutando truppe per l’esercito specie in Ungheria. La sua azione a difesa dell’Occidente fu determinante nella
vittoriosa e decisiva battaglia
di Belgrado, dove spronò e guidò le truppe, meritandogli l’appellativo
di “apostolo dell’Europa Unita”. Purtroppo, però, gli costò la vita, perché
proprio a Belgrado contrasse la peste, morendo tre mesi nel convento di Ilok,
in Croazia, il 23 ottobre 1456. Fu canonizzato nel 1690 da papa Alessandro
VIII. Tutto questo è Capestrano. Un borgo suggestivo oggi gemellato, nel nome
del grande Santo, con la città di San Juan de Capistrano, in California.
Il 12 ottobre, nel salone del Castello pieno in ogni ordine di posti, si è
tenuta la cerimonia di consegna ai vincitori del Premio "Guerriero
di Capestrano", giunto quest'anno alla terza edizione, in Italia
l’unico premio internazionale per l’archeologia. A fare gli onori di casa
il sindaco Antonio D'Alfonso, e Lucia Di Fiore, Presidente della Pro Loco,
presenti il consigliere Fabrizio D'Alessandro in rappresentanza della Provincia
dell'Aquila, altri sindaci del comprensorio ed autorità della provincia.
Premio per l'Archeologia al prof. ADRIANO
Premio per
Premio per
Premio Internazionale a GOFFREDO PALMERINI. Impegnato in politica e nel settore culturale, “…nel difficile fronte che segna il crinale tra realtà umane particolari, non più ancorate alle certezze delle proprie tradizioni, ma collocate in luoghi e condizioni di vita diversi: il che vuol dire abbracciare sia la realtà degli immigrati nel nostro paese, sia quelle di chi dal nostro paese si è allontanato per cercare altrove le risposte giuste alle proprie istanze di vita”, come dice la motivazione del premio. Con perseveranza e creatività egli è riuscito a crearsi un efficace sistema di comunicazione on line con i paesi più lontani: Argentina, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Germania, Messico, Perù, Spagna, Stati Uniti, Svizzera, Sud Africa, Repubblica Dominicana, Uruguay e Venezuela. Una rete globale, fittissima, che collega buona parte delle realtà associative regionali all’estero – egli peraltro è un membro del Consiglio Regionale degli Abruzzesi nel Mondo - dando un grande contributo alla diffusione della cultura italiana, ed abruzzese in particolare, in tutto il mondo attraverso notiziari on line, giornali e periodici in lingua italiana pubblicati all’estero. Palmerini ha dedicato il suo premio a quei 60 milioni d'italiani che con serietà e dignità rappresentano l'Italia all'estero ed ha richiamato il ruolo rilevante ed insostituibile e che la stampa italiana all’estero svolge nei confronti delle nostre comunità nei cinque continenti.
Premio per
La cerimonia si è conclusa
con il conferimento del premio “San Giovanni da Capestrano” a Giuseppe
Fidelibus, per i suoi Saggi su Sant'Agostino. Il premio è stato
dedicato alla memoria di Don Giussani, il cui sostegno morale ed umano è stato
prezioso per portare avanti
IL CRAM ELABORA IL LUTTO E GUARDA AL FUTURO
di Goffredo Palmerini
Annotazioni sul meeting degli Abruzzesi nel Mondo, soddisfacente il bilancio di tre anni, prospettive
E’ stata un’assemblea molto diversa dalle altre quella tenuta dal 16 al 18 ottobre a Montesilvano, in provincia di Pescara, dal Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo (CRAM). L’assise dei delegati delle comunità abruzzesi giunti dai cinque continenti - la sensazione era palpabile - doveva innanzi tutto elaborare il lutto morale, la ferita profonda inferta all’immagine dell’Abruzzo dagli arresti del presidente della Regione, Ottaviano Del Turco, di altri amministratori e dirigenti regionali. Il 14 luglio scorso, in Italia una data come un’altra, ma nell’immaginario evocante la presa della Bastiglia, la notizia fu un colpo allo stomaco per tutti gli abruzzesi, ma specialmente per gli abruzzesi all’estero. Chi scrive era in Bolivia, in quei giorni, e verificò con i corregionali in quel Paese quanto fosse faticoso superare l’immediato senso d’umiliazione. La gente abruzzese è orgogliosa della propria terra. Con grandi sacrifici, nell’ultimo mezzo secolo, grazie a progetti di lungo respiro perseguiti da uomini di governo prestigiosi, come Giuseppe Spataro, Lorenzo Natali e Remo Gaspari, ma anche con una classe politica seria e competente, nella maggioranza come nell’opposizione, l’Abruzzo si è riscattato dalla povertà d’un secolare isolamento. Oggi la regione è assurta a significativi livelli di sviluppo in ogni settore - pur se negli ultimi anni ha subìto una frenata a causa della difficile congiuntura dell’economia nazionale - e s’è guadagnato rispetto e ammirazione grazie alla laboriosità, all’affidabilità e all’onestà della sua gente. In quei giorni, dunque, grandi furono il disagio e la mortificazione degli abruzzesi all’estero, quel milione e trecentomila corregionali che in ogni angolo del mondo, con testimonianze di vita esemplari, hanno edificato l’immagine dell’Abruzzo e reso un servizio straordinario alla crescita dell’Italia. Una sofferenza morale enorme in chi ha speso la vita nei paesi d’emigrazione non solo per risolvere i problemi materiali della propria esistenza, ma anche per affermare, talvolta contro non lievi pregiudizi, le qualità e i valori della comunità regionale e nazionale.
L’Italia, nella concezione che ne hanno gli stranieri, il più delle volte è stata apprezzata e stimata per il comportamento degli italiani all’estero. Sicché, fatti come quelli di recente accaduti in Abruzzo, specie per gli abruzzesi oltre confine, diventano una vera e propria sciagura. Se ne è avuta prova all’apertura dei lavori del CRAM, dove la vicenda giudiziari è stata il “convitato di pietra” da rimuovere, così offensiva dell’impegno generoso che tutti gli abruzzesi nel mondo hanno dedicato alla buona immagine dell’Abruzzo. Certo, le responsabilità penali di quei fatti saranno a carico delle persone giudicate colpevoli, non certo all’istituzione regionale né agli abruzzesi che sono invece le parti lese. Ci si augura che presto la magistratura faccia il suo corso. E’ quindi apparso del tutto fuori luogo l’atteggiamento dell’ex presidente Del Turco, nel corso d’un noto programma televisivo, che ha parlato di teoremi, d’un complotto di non meglio precisati poteri forti avverso la sua politica di rigore. Il processo chiarirà. Intanto, egli che vuole difendere la sua storia politica, socialista per decenni nel sindacato e nella sinistra, lascia intendere una possibile candidatura alle europee nel Pdl. Strano modo di difendere la propria storia. Ma in Italia la coerenza politica ed il rispetto degli elettori sono solo un optional, e ciascuno recita a soggetto. Alla politica compete invece una rigorosa riflessione sulla vicenda per un rinnovato patto etico con la comunità abruzzese, chiamata il 30 novembre prossimo a scegliere con il voto il futuro governo regionale e il nuovo Organo legislativo regionale.
Dopo la relazione introduttiva
dell’assessore ai Trasporti e presidente del CRAM, Donato Di Matteo,
è stato il presidente vicario della Regione Abruzzo, Enrico Paolini,
ad aprire con il suo intervento i lavori dell’assise degli Abruzzesi nel Mondo.
Con un richiamo al difficile momento che vive
Srour, d’origine siriana, ha peraltro ricordato
la sua esperienza d’immigrato in Italia, studente poi ingegnere laureato presso
l’università dell’Aquila, testimoniando il grande senso d’accoglienza della
comunità abruzzese, fino a diventare un caso nazionale, quando venne eletto
sindaco d’un piccolo comune dell’aquilano. Ha auspicato che
promozione viene affidata ad “ambasciatori” motivati, quali sono i corregionali in quei Paesi. Con il suo intervento Giuseppe Tagliente, consigliere regionale e componente del CRAM, ha riferito sull’incertezza di tenere l’assemblea, peraltro già programmata ad Adelaide, in Australia, per i gravi fatti sopravvenuti. S’è poi giustamente deciso di celebrarla in Abruzzo, terra di gente onesta che non merita d’essere considerata per come è apparsa sulla stampa, non potendosi addebitare le responsabilità dei singoli all’intera classe politica. A suo parere, un buon lavoro ha fatto il CRAM in tre anni, con ottimi risultati, ed il futuro governo regionale dovrebbe essere impegnato a continuare sulle politiche messe finora in campo. Non di circostanza il saluto del Sindaco di Pescara, Luciano D’Alfonso, nel lodare l’abilità degli abruzzesi all’estero nell’accreditare
l’Abruzzo come regione del mondo. Bisogna investire sul grande patrimonio di intelligenze, professionalità ed esperienze avanzate che detengono le nostre comunità all’estero.
A questo punto è iniziata
la nutrita serie degli interventi dei consiglieri del CRAM, aperta da Rocco
Artale, delegato della Germania, un Paese che, per piccole beghe
tra associazioni, finora non aveva espresso rappresentanti nell’organismo.
E’ stata la determinazione del presidente Di Matteo, andato direttamente a
conoscere la situazione, che ha consentito l’anno scorso di definire la questione
con la nomina di Artale. Emigrato nel
In sintesi, un’orgogliosa valutazione del lavoro con la rassegna di progetti e iniziative, con le scelte qualificanti operate nel triennio per potenziare le attività della Regione verso le comunità abruzzesi nel campo della cultura, dell’assistenza, della formazione, delle politiche per i giovani, della valorizzazione del sistema associativo. Davvero s’è determinata una svolta nell’attuale mandato del CRAM che, con rammarico, purtroppo si conclude anticipatamente. E tuttavia si lascia alle spalle il paternalismo e la nostalgia, sostituiti con un approccio diverso e maturo che guarda alle comunità abruzzesi all’estero come risorsa. Importante la decisione
d’uscire dal guscio regionale per andare a conoscere le varie realtà abruzzesi nel mondo, le quali mai avevano visto tanta quantità di relazioni dalla regione d’origine. Il che ha rafforzato il senso d’appartenenza e lo
spirito d’iniziativa. Poi
vedendo crescere una responsabile presenza giovanile capace d’elaborare programmi
specifici per la terza e quarta generazione dell’emigrazione che altrimenti
rischiavano di recidere il cordone ombelicale con la terra dei propri avi.
Ora, grazie ai progetti deliberati nei loro Congressi tenuti nel
un corposo progetto è in via di definizione tra il CRAM ed il Convitto Nazionale “Domenico Cotugno” dell’Aquila, perché giovani abruzzesi da tutto il mondo possano venire un anno in Abruzzo a studiare, con riconoscimento legale degli studi. Lo stesso rettore del Convitto, Livio Bearzi, una lunga esperienza d’insegnamento all’estero, ne ha illustrato i dettagli durante i lavori dell’assemblea.
Molto intensa anche la seconda
giornata plenaria, che ha visto la partecipazione dei deputati Giuseppe
Angeli ed Antonio Razzi e dell’ex parlamentare Mariza Bafile.
L’intera sessione antimeridiana è stata dedicata ai temi generali, con una
forte preoccupazione per i tagli in finanziaria operati dal governo sugli
stanziamenti per gli Italiani all’estero, una vera falcidia che avrà ripercussioni
drammatiche sui servizi consolari e sulle provvidenze destinate ai connazionali
in stato di disagio economico per l’assistenza sanitaria. Molta parte del
dibattito l’ha presa un provvedimento specifico per il Venezuela, con un’appassionata
perorazione di Mariza Bafile e del presidente della Fondazione Abruzzo
Solidale di Caracas, Amedeo Di Ludovico. Il progetto è stato
poi definito nei suoi aspetti operativi dopo un confronto tecnico politico.
Attenzione è stata posta al problema dell’esenzione dall’Ici della prima casa
anche per i residenti all’estero e della riforma delle scuole italiane all’estero,
oggetto peraltro di proposte di legge già presentate in Parlamento e riprese
nel documento finale votato dall’assemblea. Nel documento si invocano anche
modifiche alla legge a sostegno della stampa italiana e alla normativa a favore
delle associazioni di promozione sociale per estenderla anche all’estero,
si chiedono inoltre la conferma degli indirizzi programmatici del CRAM anche
nel prossimo mandato, l’implementazione della presenza giovanile e femminile
negli organismi e la celebrazione in Abruzzo del Congresso dei giovani in
concomitanza con il Giochi del Mediterraneo “Pescara
In serata, una sorpresa
speciale. Su invito di Domenico D’Amico, presidente dell’Associazione
“
L’attrice ha tenuto molti spettacoli in Italia e presso gli Istituti italiani di Cultura di Berlino, Istambul, Ankara, Kyoto, Varsavia e Colonia. Autrice teatrale e scrittrice, vanta diverse pubblicazioni di successo. L’artista, studiosa della vita e delle opere di D’Annunzio, in un contesto del tutto estemporaneo ed improprio, s’è espressa in una performance di eccellente levatura, a riprova d’un eclettismo raro. Colta e raffinata, Daniela Musini ha intrigato i suoi spettatori dapprima narrando sprazzi di vita del Vate, poi interpretando del Poeta due liriche: “La pioggia nel pineto” e “L’onda”. Un dono inaspettato, magnifico ed indimenticabile, a chiudere in bellezza l’ultima riunione di mandato del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo.
IL DRAMMA DELLA MALARIA NELL’AFRICA SUB SAHARIANA
di Pietro Iovenitti
Una testimonianza dal Centro Ospedaliero di Anyama, in Costa d’Avorio
Il 2 gennaio del 1960 Fausto Coppi saluta per sempre il suo pubblico, l’uomo che pedalava più veloce del vento diviene una leggenda. Il suo corpo invaso dal Plasmodium cede di schianto, mal curato da alcuni medici. La malaria, più forte delle salite dello Stelvio, spezza come un fuscello l’invincibile Coppi. Nessuno aveva intuito che la febbre che lo aveva assalito una volta tornato dall’Alto Volta potesse dipendere dalla malaria. Da quarant’anni la malattia non è più endemica nel nostro paese dopo essere stata eradicata a cavallo tra gli anni ’40 e ’50. Oggi ritroviamo in Italia solo qualche centinaia di casi di malaria di “importazione”, turisti sfortunati e poveri immigrati. Tutto questo sta a significare che da qualche decennio la maggior parte dei medici del nostro paese non ha mai assistito, durante la pratica clinica, a un accesso palustre. Grazie al cielo abbiamo rimosso la malaria dalle nostre preoccupazioni e ne abbiamo cancellato ogni ricordo. Ma allo stesso tempo nei paesi del cosiddetto terzo mondo la malaria uccide ancora, lasciando dietro di sé una lunga scia di vittime. Per parlare di malaria c’è bisogno di avvicinarsi e guardare negli occhi questa malattia. Il termine “malaria” deriva dalla parola medievale “mal aria” e “paludismo” dal termine latino “palus, paludis” (palude) in quanto si credeva che la malattia potesse essere trasmessa dalla cattiva aria stagnante delle paludi. Soltanto a fine Ottocento si comprese che una specie di zanzara era responsabile della trasmissione della malattia all’uomo. Ma il concetto delle paludi e dell’aria stagnante c’entrano ancora qualcosa con la malaria. Infatti la zanzara, vettore della malaria, si sviluppa nelle sue prime tre fasi vitali proprio in ambiente acquatico ed ecco che le zone paludose, umide e stagnanti rappresentano un ambiente favorevole per la crescita e la sopravvivenza dell’insetto.
In poche parole la malaria è una malattia infettiva trasmessa all’uomo dalla zanzara femmina del genere Anopheles la cui puntura inocula nell’uomo il parassita Plasmodium - ne esistono quattro specie, tra cui la più pericolosa è il Plasmodium falciparum - responsabile del quadro clinico. La malaria ha un periodo di incubazione di 10-12 giorni. I plasmodi iniettati nell’uomo dalla zanzara raggiungono il fegato dove si riproducono molto rapidamente ritornando successivamente nella circolazione sanguigna dove invadono e distruggono una buona parte dei globuli rossi. A questo punto si manifestano i sintomi della malattia caratterizzati da febbre alta, cefalea, brividi, sudorazioni, dolori muscolari e addominali, vomito, diarrea, splenomegalia, allucinazioni e anemia. In
alcuni casi la sintomatologia è così grave da portare alla morte (malaria cerebrale). In ogni caso la prognosi dipende molto da una tempestiva diagnosi e da una corretta terapia. Ancora oggi il 40% della popolazione del globo è esposta alla malaria. Ogni anno, nel mondo, si verificano circa 500 milioni di casi di malaria acuta, tra cui 2 milioni di decessi soprattutto bambini sotto i 5 anni di età e donne incinte. Si calcola che ogni 30 secondi un bambino muore a causa della malaria. In alcuni paesi la
malattia provoca una notevole perdita economica e le spese per combatterla assorbono più del 40% del bilancio sanitario. Ancora una volta il sud del mondo è colpito da questo flagello, soprattutto l’Africa sub sahariana che “ospita” oltre il 60% dei casi di malaria e oltre il 90% delle morti ad essa attribuibili. Nonostante l’impiego delle zanzariere impregnate con insetticidi e dei farmaci anti-malarici (clorochina, chinino e derivati dell’artemisinina) la situazione resta ancora molto preoccupante.
Appena arrivati in Africa anche noi, come medici, ci siamo dovuti scontrare
con questa terribile malattia che avevamo studiato superficialmente sui testi
universitari. Abbiamo dovuto riprendere in mano un vecchio libro di malattie
infettive e grazie ad internet e ai consigli di alcuni colleghi ivoriani abbiamo
iniziato a capirci qualcosa. Nei paesi dove la malattia è endemica, e tra
questi
Solo le più fortunate possono raggiungere un ospedale per essere curate. I casi lievi necessitano di una terapia orale a base di chinino e paracetamolo, mentre i casi più gravi richiedono l’ospedalizzazione e l’infusione di potenti antimalarici. Ma la maggior parte delle donne colpite non ha i mezzi per recarsi in ospedale e resta a casa in preda a crisi terribili. Una sensazione di freddo intenso invade il corpo, poi sale la temperatura e interviene una profusa sudorazione. Le forze vengono a mancare, si perde l’appetito, si è scossi da crampi addominali e si iniziano
a vedere inesistenti animali che corrono sulle pareti. Quando si tratta poi di malaria cerebrale la donna perde la coscienza, entra in coma e se non riesce a curarsi immediatamente rischia la morte. I casi che vediamo ogni giorno sono centinaia, la terapia è ben codificata e sembra ottenere buoni risultati, ma non si assiste ad un arresto dell’endemia, ad una bonifica dei territori e all’eliminazione del vettore. Tristemente nell’Africa sub sahariana i risultati sono ancora marginali e la malaria continua ad andare a braccetto con la povertà e il degrado ambientale.
L’altra sera ho visto un documentario molto toccante sul genocidio consumatosi
in Ruanda nell’aprile
in Congo, in Sudan e in tante altre parti del mondo sono accadute più o meno le stesse cose. Non solo guerre e stermini, ma anche malaria e HIV, dissenteria e fame hanno decimato e continuano a farlo i più poveri, mentre il resto del mondo resta a debita distanza quasi facendo finta di non sapere. Tristemente un nuovo Ruanda, un'altra guerra mondiale, un altro olocausto si ripetono tutti i giorni.
ASSOCIAZIONE PROGETTO AFRIQUE
c/c bancario n. 133854
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ABI:
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Intestato
a: Associazione Progetto Afrique
IL MOLISE PROTAGONISTA AL SALONE DEL GUSTO DI TORINO
di Angelo Lo Rizzo
Un inaspettato successo ha ottenuto il Molise con la sua
partecipazione al Salone del Gusto di Torino, grazie anche e soprattutto
per le degustazioni guidate a cura dell’esperto gastronomo Pierluigi Cocchini
e per i prodotti della tradizione pastorale e contadina molisana e “last but
not least” per gli appetitosi piatti serviti come la zuppa a base di legumi,
porcini e tartufo per i formaggi di latte vaccino, come manteche, ricotte,
scamorze, stracciate e caciocavallo. Il tutto innaffiato con gli ottimi vini
del territorio, in primis
La manifestazione, inaugurata alla presenza del Presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso, del Sindaco di Torino Chiamperino e del presidente Slow Food Carlo Petrini, nonché del Ministro alle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Luca Zaia ha offerto più di uno spunto sulle emergenze attuali riguardo il cibo, sia a livello mondiale che locale. Nel corso dei lavori si è parlato, fra l’altro, del “new deal” di Slow Food, degli impegni relativi all’esaltazione del ruolo dell’agricoltura al fine di riportare il cibo al suo valore più autentico.
Tutti discorsi pienamente calzanti nella realtà molisana, come ha sottolineato Nicola di Niro del Moligal: “non è casuale la nostra partecipazione a questo Salone internazionale – ha riferito l’esperto del Moligal – a chiusura del programma di Cooperazione Transnazionale Leader con i nostri partner abbiamo deciso di sostenere una serie di eventi volti alla valorizzazione delle tipicità del territorio, che ha tutte le prerogative per promuoversi attraverso le sue stesse realtà”.
Col Salone del Gusto continua l’impegno del gruppo di azione locale molisano da poco rientrato dal Salone Internazionale dell’Agroalimentare di Parigi, dove la presenza del Molise si è concretizzata con la nascita di una nuova realtà associativa. “Con il partenariato europeo abbiamo chiuso un importantissimo accordo – ha continuato di Niro – siamo promotori e primi attori dell’Associazione Europea della Produzione di Qualità che vede sostenitori del progetto anche portoghesi e francesi.”
Insomma il Salone del Gusto di Torino rappresenta veramente un importante punto di riferimento per gli operatori pubblici e privati che promuovono l’offerta turistica legata all’enogastronomia, ed una privilegiata vetrina anche per piccoli e medi centri che desiderano farsi conoscere.
IL MONDO DELL’AGRITURISMO AD AREZZO
di Franca Vitone
settima edizione di AgrieTour
Per tre giorni, dal 14 al 16 Novembre, la campagna italiana si incontrerà al Centro Affari di Arezzo, in occasione della settima edizione di AgrieTour, l’evento – unico in Italia – interamente dedicato all’agriturismo ed al suo inconfondibile stile di vita.
Secondo i dati ISTAT supererà il miliardo di euro il volume di affari legato al settore dell’agriturismo in questo 2008. E, secondo le proiezioni presentate dalla Coldiretti, a fine anno, si potrà contare su un’ulteriore crescita di presenze nei circa 18 mila agriturismo sparsi nella penisola.
Patrocinato dal Ministero per le Politiche Agricole e dall’ENIT e con la partecipazione attiva di Agriturist, Terra Nostra, Turismo Verde, Regione Toscana, Agenzia Toscana Promozione, Camera di Commercio, Comune e Provincia di Arezzo, Agrietour è ormai diventato un appuntamento da non perdere per i sempre più numerosi appassionati di questo genere di vacanze ma anche, e soprattutto, per gli operatori di settore.
“Con i suoi workshop, i Master di aggiornamento, la promozione di pacchetti speciali – spiega Franco Fani responsabile della manifestazione – Agrietour è diventato un punto di riferimento essenziale per chi opera nel comparto. Basti pensare che in questa edizione ospiteremo circa 600 espositori mettendo a disposizione 15.000mq della nostra struttura. Senza dimenticare che la presenza di oltre 100 buyers italiani ed internazionali testimonia il successo di questo appuntamento”.
Il turismo rurale, per definizione, è un prodotto estremamente personalizzato, cioè un prodotto che difficilmente si può standardizzare. Turismo rurale significa partecipare ad un clima, ad una situazione, ad un tipo di vita ben definito, che non si può conciliare con modelli economici e sociali di massa. Proprio per questo il turismo in campagna cresce ogni anno. Piace al turista la vacanza a contatto con la natura, il ritrovare ritmi lenti, cibi genuini e l’occasione di praticare sport all’aria aperta. Soggiornare in un’azienda agrituristica significa gustare un modo diverso per avvicinare la natura e scoprire il territorio, con la possibilità di spostarsi costruendosi un itinerario personalizzato, per andare alla scoperta di specialità locali, piatti regionali, artigianato e prodotti tipici.
Infatti la scoperta di antichi piatti, di sapori genuini, di una cucina in qualche modo familiare rappresentano per l’agriturista dei valori cui è difficile rinunciare. Non per niente uno dei momenti più attesi della settima edizione di Agrietour è proprio il Campionato italiano della Cucina
Tradizionale, una gara in cui gli chef provenienti dai diversi territori si sfideranno a colpi di gustosi piatti della tradizione.
IL PIANTO DI UNA CASA
di Raffaella Santulli
C’ero una volta…
Vera ed aperta al mondo, benché mi affacciassi su una piazza gelida ed inamabile, dura come le sue pietre ed i suoi abitanti, inospitale.
Fortilizio e nido ho difeso la mia signora, almeno in una qualche tollerabile misura: le mie finestre erano cieche.
L’ho isolata perché lei potesse sentire se stessa: i suoi passi, il respiro che le soffiava dentro, il rumore del suo cuore che spesso l’agitava e ne rompeva il ritmo.
Sono stata la sua casa, il suo specchio, il suo volto, la ripetizione che ha potenziato la sua vita. L’essenziale, la sua avventura, quella più rischiosa, difficile ed anche seducente l’ha scommessa qui; la sua capacità o incapacità di amare e di costruire, di avere e di dare felicità, di crescere con coraggio o di rattrappirsi nella paura: è qui che si è messa in gioco e a rischio.
Sono stata il luogo centrale della sua esistenza, con il suo bene ed il suo male, e dunque pure dell’impegno, dell’intensità di vivere, delle passioni più forti, talora devastanti: per il compagno della vita.
I bimbi non mi hanno popolato ed allora le manie più assortite l’hanno fatta da padrone.
Generazioni di cameriere hanno spolverato libri ammucchiati in ogni dove e lucidato maniglie, pomoli ed argenti.
E allora giovinotto: fermati.
Non sono stata per molti anni anche il tuo rifugio?
Non distruggere la mia aura.
SPIGOLATURE
di Francesco M.T. Tarantino
Il Purgatorio
In occasione del 2 novembre, giorno dei morti, i nostri cimiteri si affollano.
Fiori, lumini, preghiere, messe e quant’altro.
Va tutto bene! Per onorare i propri defunti, per il decoro dei loro sepolcri, per la quiete delle coscienze. Ogni cosa è demandata alla discrezionalità di noi viventi e in questo non entro in merito.
Che cosa ne riceve il defunto? NULLA.
Perché far credere che le succitate cose giovino ai nostri morti?
Non c’è nessun fondamento se non una forma di superstizione o, se si vuole, di tradizione o, peggio, di credenza religiosa. Non c’è traccia nelle Sacre Scritture del cosiddetto “purgatorio”.
Al contrario nel Vangelo di Luca al capitolo 16 verso 26 è scritto chiaramente che non c’è luogo intermedio tra l’inferno e il paradiso e non esiste possibilità alcuna di eventuale passaggio dall’uno all’altro luogo.
E ancora nello stesso Vangelo, al capitolo 23 verso 43, Cristo stesso dice al malfattore crocifisso con lui, ravvedutosi in quel momento, “oggi stesso sarai con me in paradiso” cioè subito! Non dopo essere passato per il purgatorio un’imprecisata quantità di anni ma, ripeto, “oggi stesso”.
Cosa si nasconde dietro la dottrina del purgatorio?
Si specula sulla pietà per i morti ventilando la possibilità di affrettare il passaggio da questo ipotetico luogo di sofferenza, al paradiso che è luogo di beatitudine eterna. E tutto questo per i soldi, tanti soldi, soltanto soldi. Denaro in cambio di indulgenze!
Eppure Cristo si arrabbiò (forse l’unica volta) proprio contro coloro che espletavano questo mercimonio nel tempio.
Confronta il vangelo di Giovanni al capitolo 2 versi 14-16.
IL TURISMO DEL MARE IN VETRINA
di Franca Vitone
Al quartiere fieristico di Pesaro
A Pesaro, la città ove aleggia ancora l’armonia delle musiche di Gioacchino Rossini, si è conclusa nello scorso ottobre la 14^ edizione della Borsa del Turismo del Mare, un evento che rappresenta uno dei più importanti avvenimenti borsistici dedicato alle vacanze in località balneari.
Oltre 400 sono stati gli operatori del settore provenienti da tutto il territorio nazionale e che hanno partecipato all’affollato workshop, avviando contatti con ben 60 buyers, selezionati dall’ENIT, arrivati da 15 Paesi europei., dall’Austria agli U.S.A., dalla Germania alla Russia, dalla Francia all’Olanda, e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Presenti anche 20 rappresentanti di CRAL e Dopolavoro delle principali aziende pubbliche e private italiane. Una vera e propria vetrina internazionale della domanda e dell’offerta, divenuta ormai un appuntamento consolidato nel panorama italiano delle borse turistiche.
La manifestazione promossa dall’ENIT, dall’Ente Fiere di Pesaro, dalla Regione Marche, dalla Camera di Commercio di Pesaro-Urbino, da Unioncamere, dall’Alitalia e, infine, dalle Associazioni di categoria Confesercenti e Confcommercio, si è confermata un vantaggioso momento di aggiornamento professionale ed un’occasione ideale per trattare scambi ed affari.
Protagonista
dell’evento è stato, ovviamente il “mare”, che rappresenta il segmento più
gettonato e che rappresenta migliaia di strutture ricettive lungo i
Il turismo balneare –ha affermato Eugenio Magnani, Direttore Generale dell’ENIT . è “un prodotto che va sostenuto e promosso con maggiore efficacia, soprattutto in tempo di globalizzazione per contrastare in maniera adeguata l’offerta dei nostri maggiori competitor internazionali, sempre più agguerrita e sferrata su vari fronti”.
INSOFFERENZA E DIFFIDENZA: ATTEGGIAMENTI DETTATI DA ASPIRAZIONI SOFFOCATE
di Alessandra Maradei
I tagli della Finanziaria, il decreto che ripristina il maestro unico, hanno contribuito a far esplodere la polveriera “mondo dell’istruzione”.
La protesta partita sottovoce sta dilagando dalle elementari alle università, sottoponendo alla nostra attenzione contrasti che in molti atenei hanno alzato il livello, decretando il passaggio dalle scaramucce al conflitto vero.
C’è chi ha parlato di “nuovo ‘68” per etichettare e contrassegnare questi movimenti,anche se quella che stiamo combattendo non è una battaglia contraddistinta da bandiere politiche.
La nostra è una battaglia che punta l’indice contro la possibilità che il diritto al lavoro e un futuro dignitoso non siano l’approdo di anni di studio e sacrifici.
Il clima incandescente di questi giorni mi ha spinto a riflettere e a condurre un’analisi delle situazioni con cui siamo costretti a convivere: raccomandazioni, favoritismi, meccanismi baronali nell’edificazione della carriera.
E’ ormai la cultura del compromesso ad insinuarsi abilmente nella maglie della nostra società .
Sperimentando personalmente le conseguenze di questo gigantesco realismo, i ragazzi sono sempre più indotti a chiedersi : quanto contano le raccomandazioni? Esiste ancora la capacità di riconoscere il merito? Quanto contano la creatività, il talento, la capacità di innovare trovando anche il modo di imporsi?
Il nostro non è un paese per bravi: spesso bastano un pizzico di furbizia e di accondiscendenza verso i docenti per guadagnarsi un bel voto.
I ragazzi che vorrebbero essere valutati onestamente perché lo studio è una forma di affermazione sociale, di crescita sul piano personale finiscono per diventare diffidenti: ci si aspetta molto di più dalle Università, e anche se i voti sono gratificanti, è difficile dirsi davvero valorizzati.
La mia non è rassegnazione: certo è che la generazione dei nati tra ‘83 e ‘86 dovrà contare molto su sé stessa.
Non c’è più spazio per sogni ed ambizioni. Il nostro sguardo sulla società è più realistico, responsabile: la crisi economica è un’occasione per ripensare le regole del gioco.
Verrà probabilmente meno la conferma del prestigio individuale, segnata in questi anni da superstipendi.
E’ importante fare gruppo, non si può fare carriera puntando solo su una formazione specialistica, ma investendo su cultura e capacità di relazionarsi.
“IST AM 24.3.1944 GESTORBEN”
di Francesco Aronne
Novembre mese dei morti. I cimiteri si preparano alla loro primavera d’autunno. Il primo pensiero di ognuno va ai propri cari che hanno lasciato questo mondo. Gesti e riti consumati nel tempo, consuetudini, che ripropongono l’illusione del flebile ricongiungimento in questi giorni di attenzione oltre la soglia dello spavento supremo con chi ci attende di là da quel varco.
Percezioni personali che snocciolano pensieri fortemente soggettivi per chiunque passeggia fra le tombe amiche, posa un fiore, accende un cero. L’ombra della nera Signora è ovunque: dietro ogni lapide, tra inutili orpelli segnati inesorabilmente dal trascorrere del tempo, nelle iscrizioni e negli epitaffi, tra le foto di quanti, di ogni età, ci ricordano che quel che noi siamo loro furono e quel che loro sono noi saremo. La nostra vacuità.
Come un conforto è l’andirivieni del formicaio umano che brulica in questi giorni nei cimiteri: mal comune mezzo gaudio dice un vecchio e saggio adagio…
I cimiteri ripropongono il più delle volte una iconografia sin troppo impregnata da immagini dantesche (mirabilmente interpretate da Dorè): città dolenti, eterno dolore, perdute genti… A volte, però, la mente attraverso imperscrutabili meccanismi associativi ci riporta lontano: il cimitero ebraico di Praga, sette strati di tombe sovrapposte e nello strato superficiale schegge di pietra con incomprensibili iscrizioni, che sembrano grida, anzi urla di atroce sofferenza, che si eleva da questo popolo al mondo. Il cimitero detto degli inglesi di Roma. I cimiteri della Galizia dove nessuna foto è messa sulle tombe, antiche pietre avviluppate da muschi e licheni. I piccoli cimiteri di due o tre tombe vicine ad una chiesetta su spopolate isole greche. E tante altre ed altre le immagini che si accalcano.
Luoghi sacri e distanti, anche per i culti e per le culture che li governano, scelti perché con la pietà umana si conservi in qualche modo un frammento della vita, o comunque qualche ricordo, di quanti ci hanno consegnato in custodia il pianeta in cui viviamo.
Vi sono poi altri luoghi, noti o ignoti, conosciuti o occulti, che hanno inghiottito tragicamente tante (o poche) vite, diventando di fatto sinistri luoghi di sepoltura, sconsacrati cimiteri, loro malgrado. Il ricordo delle vicende, ove note, che li hanno resi tali, mostrano l’altro lato della morte, quello tragico di prematuro capolinea per tante, troppe vite inesorabilmente e crudelmente recise. Spesso la retorica del ricordo di tragici eventi, in cui è facile inciampare, li fa diventare patrimonio collettivo ma ne rimuove la crudezza delle atrocità commesse, l’inammissibile e cieca violenza, l’insopportabile fetore di carni putrefatte che esala da corpi straziati. Una sorta di imbalsamazione che edulcora o allontana, mitigandola, l’assurdità di eccidi propri ed esclusivi della nostra specie nell’intero regno animale.
Salvo poi capitare, di accedere
a questi luoghi per vie
traverse, e scoprire che emanano ancora urla strazianti, nonostante
l’apparente silenzio e irreale quiete che li avvolge. Ricordo la visita alla
risiera di San Saba a Trieste, il passaggio per Dachau in Baviera, gli uffici
della Gestapo a Berlino, la stessa e vicina Ferramonti di Tarsia, Luoghi tutti
segnati da un folle delirio che pervase l’Europa, mutando tragicamente il
destino di milioni di uomini. Luoghi che trasmettono ancora forti ed inquietanti
sensazioni. Ma potremo citarne altri coevi o di altre epoche, anche contemporanei
e figli di altre ideologie o religioni (gli eccidi Khmer in Cambogia,
Tutti accomunati da un unico tremendo orrore: massacri o luoghi di inenarrabili sofferenze!
La memoria è un dovere che diventa antenna per captare le energie che ancora questi luoghi promanano. Nei primi giorni di novembre, estendere il ricordo a questi brandelli di umanità significa avere percezione della complessità del destino umano, costretto a misurarsi con una forza oscura, poliedrica e costantemente in agguato: il male!
Ed è così che leggendo “I segreti di Roma” di Corrado Augias mi sono imbattuto in un capitolo dal titolo che ho voluto riproporre, anche come ringraziamento all’autore per le sue 24 intense pagine, in questa emissione novembrina. La frase del titolo, in tedesco, era contenuta in un biglietto fatto recapitare nei giorni successivi alla data riportata, con teutonica precisione, a molti dei parenti delle vittime. Si diceva, laconicamente che il signor tal dei tali il giorno 24 marzo 1944 era morto.
Al lettore più attento la data avrà dato un equivocabile indizio sulla strage di cui si parla: le Fosse Ardeatine. Tragico episodio consegnato alla storia e partorito dagli ultimi rantoli di una folle ideologia al suo crepuscolo.
Non si vuole qui riproporre nei suoi risvolti l’accaduto, rimandando e raccomandando l’eventuale interessato lettore, ma anche tutti gli altri, alla lettura integrale del capitolo dell’opera citata, dove il colto autore con lo stile che gli è proprio, fatto di garbo ma anche di mirabile precisione storica e zelante ricerca, offre un’appassionante e toccante descrizione di quel tragico contesto e ne fa rivivere nei dettagli l’immane tragedia.
Lo spunto che si vuole qui cogliere, è di una riflessione che partendo da quanto accaduto riguardi l’uomo. Un ordine assurdo che non lasciò
indenni persino i carnefici (il maggiore Hellmut Dobbrick comandante del 3o battaglione SS che aveva subito l’attacco si rifiutò di eseguire l’ordine) trovò alla fine i macabri esecutori. L’uomo che tortura con efferatezza, l’uomo che uccide senza pietà, l’uomo che si nasconde vigliaccamente dietro un ordine, l’uomo che gioisce per l’altrui sofferenza e dolore e mette a disposizione il suo ingegno per la realizzazione di efferati strumenti e metodi di tortura, l’uomo che riesce ad abbandonarsi ai suoi piaceri tra le urla di torturati che sopraggiungono dalla stanza vicina. Poco importa il colore di una divisa, lo sconfitto e l’uomo che erra confuso da millenni dopo la cacciata dall’Eden.
In quell’eccidio furono uccisi in 335 (anzi in 336, compresa un’anziana donna intenta a raccogliere cicoria nei paraggi dell’attuale sacrario, falciata da un milite tedesco per non essersi fermata all’alt) : c’erano fra loro agenti di polizia e venditori ambulanti, operai e camerieri, medici ed ufficiali, carabinieri ed impiegati, ferrovieri e musicisti, studenti e tipografi, professori e contadini. Settanta erano ebrei(…)Il più giovane aveva 14 anni, molti i giovani fra i 18 ed i 20 anni. Del primo carico faceva parte, tra gli altri, Don Pappagallo, che con eccezionale vigore riuscì a liberarsi dai lacci e, alzando le braccia, benedisse i suoi compagni di pena. Gli aguzzini non osarono interrompere quel povero gesto di pietà.
Il massacro proseguì ininterrottamente per l’intero pomeriggio, in un’orgia di colpi e di grida, nel puzzo del fumo, del sangue, degli escrementi, con gli stessi carnefici che ad un certo punto dovettero essere ubriacati per continuare quell’infame lavoro. La precisione e la rapidità che Kappler aveva teorizzato non ressero alla prova dei fatti. E man a mano che i cadaveri ingombravano le gallerie, i nuovi arrivati erano costretti ad inerpicarsi sui corpi delle vittime per essere a loro volta assassinati. I militari, ubriachi, non sparavano più con la precisione richiesta…
Le gallerie colme di cadaveri furono fatte saltare con l’esplosivo e per coprire l’odore insopportabile che ne proveniva, i nazisti, nei giorni seguenti, fecero scaricare alcuni camion di spazzatura davanti agli ostruiti ingressi. Inutile ed assurdo tentativo per un impossibile occultamento.
Chiudiamo questo tragico ricordo riportando le parole che Attilio Ascarelli, docente di medicina legale alla Sapienza, ci ha lasciato sul rinvenimento dell’eccidio:
“Inoltrandosi all’interno delle lugubri gallerie un senso di freddo invadeva il visitatore oppresso da un fetore ammorbante al quale era difficile resistere, fetore che dava la nausea e stimolava il vomito. Non vi è chi sia entrato per una volta in quel luogo di tristezza e di martirio che non ne abbia portato un senso indimenticabile di orrore, un senso di pietà per le vittime, di esecrazione per gli uccisori… I membri della commissione ne rimasero atterriti.”
R.I,P.
LE PRESIDENZIALI USA VISTE DALL’ITALIA
di Emanuela Medoro
La battaglia finale
Un sondaggio Gallup pone agli elettori la seguente domanda: nelle ultime settimane sei stato contattato per il tuo voto per le presidenziali, di persona, per email, posta, o altro?Il risultato è stato si per il 38% per Obama, per il 30% da McCain. Dunque la campagna di Obama è stata più intensa,
C'è stato l'intenso lavoro dei gruppi del suo grassroot movement, movimento di base, su un modello sperimentato a Chicago, si tratta di una fitta rete di volontari che a livello locale, anche in luoghi sperduti e mai raggiunti dalla politica, hanno organizzano una fitta rete di incontri, centinaia di telefonate, visite porta a porta, dibattiti con proiezione di video, messaggi online.
Gli ultimi messaggi online sono: “Alzati e combatti per la vittoria” da parte di McCain, il messaggio di un militare rivolto a tutti, in generale, il messaggio di un combattente, ricordiamo che ha subito cinque anni di prigionia e torture durante la guerra del Vietnam, torture di cui porta i segni. Obama, invece, dice “E' nelle tue mani, Emanuela”, ovvero è un messaggio reso fortemente personale dall'uso del nome del destinatario.
Tutti i sondaggi danno Obama vincente, ma notiamo che i sondaggi Gallup indicano un lento e costante recupero di McCain.
Ed Hillary che fa? Quest'anno si rinnova non solo il presidente, ma anche il congresso ed il senato. E qui sono attivissimi sia lei che il consorte Bill, nel sostenere candidati donne e uomini per vincere posti al senato di importanza strategica.
Ed ora vorrei prendere in considerazione un aggiornamento Gallup del 27 ottobre basato su più di 21,000 interviste condotte nel mese di ottobre riguardo al rapporto tra intensità della vita religiosa, vista come frequenza nelle chiese ed espressione di voto. Qui John McCain vince in modo schiacciante, con un margine di 37 punti, fra i bianchi non ispanici che frequentano la chiesa ogni settimana, mentre Obama domina fra i bianchi che ci vanno poco o mai. Il gruppo dei bianchi non ispanici che frequenta la chiesa quasi ogni settimana, cioè meno degli altri, sostiene McCain con un margine minore, di 12 punti. La relazione fra la frequenza in chiesa ed il modo di votare era già stata chiarita nelle precedenti elezioni presidenziali, e l'analisi dei dati raccolti in ottobre dice che anche quest'anno non c'è differenza. In particolare la correlazione positiva fra intensità religiosa ed il voto repubblicano per la presidenza è parte del panorama politico americano da molti anni.
A questo proposito devo dire che Obama nei suoi comizi parla non di religioni che dividono, ma di fede in valori che uniscono tutti, cristiani cattolici e protestanti, musulmani, ebrei, indù, fede in un comune destino che ha contribuito alla crescita dei valori dell' America e che oggi deve servire a superare tutte le divisioni esistenti. E' un' idea fondante del multiculturalismo di Obama, idea fortemente condivisa dalle sue immense folle che scandiscono lo slogan: Yes, we can.
A conclusione di questo articolo finale devo dire che il termine cristiano è purtroppo non solo usato, ma parecchio abusato, in quanto si definiscono cristiani anche i membri del nefando e funesto KKKlan, gli incappucciati
bianchi famosi per fare roghi di neri
nel sud (Ricordate il film Mississipi burning?) Klan che noi credevamo sciolto
per sempre, ma che è ricomparso agli onori delle cronache recenti, in relazione
ad una progettata strage di neri che doveva culminare con l'assassinio di
Obama, per ora il tutto è stato sventato. Un incubo presente in tutta questa
campagna elettorale, e che se
La candidatura di Marisa Bafile segna una svolta per l’Abruzzo
di Goffredo Palmerini
In lista con Carlo Costantini, candidato del centrosinistra, apre alla Regione una porta sul mondo
E’ molto più d’un gesto di sensibilità verso le comunità abruzzesi nel mondo la candidatura di Marisa Bafile nel listino maggioritario dell’ on. Carlo Costantini, candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Abruzzo, nella consultazione elettorale del 30 novembre prossimo. Segna invece una svolta vera per l’Abruzzo, regione che nel secolo scorso ha conosciuto largamente l’emigrazione in tutti i continenti, con una comunità all’estero oggi stimata un milione e trecentomila persone, tanto quanto la popolazione residente sul territorio regionale. La presenza in lista di Marisa Bafile - per due anni parlamentare eletta nella circoscrizione estero del sud America e fino all’aprile scorso Segretaria nell’ufficio di presidenza della Camera dei Deputati – segna davvero una svolta per l’Abruzzo, indicando anche per altre regioni un esempio virtuoso d’attenzione verso i connazionali all’estero che voglia affrancarsi dal paternalismo e dagli stereotipi che ancora persistono nella mentalità di larga parte della classe politica italiana. Marisa Bafile, infatti, per formazione culturale e per visione politica interpreta l’esatto contrario di certi clichés che ancora resistono nella visione comune del fenomeno emigratorio italiano. Dunque una scelta importante, che qualifica il centrosinistra per averla adottata e che segna un’apertura verso la realtà dell’emigrazione abruzzese oggi, una volontà di valorizzarla come risorsa d’inestimabile qualità.
Per chi abbia un minimo d’interesse vero, e d’umiltà, l’avvicinarsi alle comunità abruzzesi all’estero permette di scoprire un patrimonio inimmaginabile di risorse umane, professionali ed imprenditoriali, di valori civili impersonati dagli Abruzzesi ed incardinati nelle società dei Paesi d’emigrazione che porta loro una messe di riconoscimenti, stima e prestigio, guadagnati sul campo in decenni d’impegno competitivo, talvolta contro supponenze e pregiudizi. Oggi gli Abruzzesi all’estero sono considerati per il loro valore umano, sociale, creativo ed intellettuale. Hanno raggiunto risultati importanti in ogni campo, nel lavoro, nelle imprese e nei ruoli di responsabilità che espletano nei Paesi in cui vivono. Le generazioni successive alla prima emigrazione oggi esprimono una schiera di personalità, emergenti in ogni settore della vita sociale e civile, dall’imprenditoria alle professioni, dall’economia alle università, dalla ricerca alla politica. Riscattando le condizioni di povertà dignitosa che furono alla base della loro emigrazione in ogni continente, lasciando i borghi delle nostre montagne o i paesi delle pianure ancora soggiogate dal latifondo, gli Abruzzesi hanno contribuito, specie nell’ultimo mezzo secolo, alla crescita dei Paesi d’accoglienza, guadagnandosi rispetto e stima con le generose testimonianze di vita che hanno saputo dare. In quelle stesse terre, dal nord al sud America, dall’Africa all’Australia, in ogni paese della vecchia Europa, essi hanno realizzato una fitta rete associativa che se da un lato ha conservato l’identità regionale, dall’altro costituisce un cespite su cui sono edificate le ragioni stesse del riconoscimento agli Abruzzesi da parte di quelle società.
Di queste cose, che riguardano anche
altre comunità regionali, in Italia certa classe politica dirigente stenta
ad averne piena consapevolezza ed a comprenderne il significato profondo.
Persino a capirne il valore, nel momento in cui l’Italia attraversa uno dei
periodi più difficili della sua storia, con difficoltà economiche appesantite
da un trend di crescita (-0,6%) per la prima volta negativo dopo decenni,
con tutte le conseguenze sociali d’una recessione nel bel mezzo d’una tormenta
finanziaria che scuote l’intero pianeta. In questo contesto, a maggior ragione
riguardante la nostra regione, l’Abruzzo con le sue realtà produttive ha tutto
l’interesse ad aprirsi verso mercati nuovi e ad ricercare nuove opportunità.
Ecco quindi che personalità della levatura di Marisa Bafile sono di rilevante
importanza per la conoscenza profonda che hanno dell’altro Abruzzo all’estero,
una ramificata rete di “ambasciatori nel mondo” sui quali investire per l’internazionalizzazione
dell’economia regionale, bisognosa d’aprirsi a nuovi campi della competizione
mondiale. Oggi davvero è possibile per l’Abruzzo poter contare su un valore
aggiunto, costituito dai suoi figli all’estero, mettendone in rete qualità
e valori, grazie ad una Regione che abbia l’intelligenza d’allargare i suoi
confini a tutta la sua comunità nel mondo. Questo, dunque, il significato
più vero della chiamata di Marisa Bafile all’impegno diretto in Abruzzo. Lei,
che l’emigrazione ha direttamente conosciuto ed indagato da osservatori qualificati,
come la direzione d’un giornale all’estero,
PRESIDENZIALI USA VISTE DALL’ITALIA
di Emanuela Medoro
La tempesta
Purtroppo non la tempesta sognante e simbolica di W. Shakespeare, ma quella molto più concreta americana, tamponata con il maxi intervento statale di 850 miliardi di dollari, il più grande intervento pubblico nel mondo della finanza e delle banche dalle origini del capitalismo. Ed è già stato calcolato che non basteranno, ce ne vorranno tanti altri.
I disastri come i trionfi sono figli di tutti, e non dimentichiamo che prima Ronald Reagan e poi Bill Clinton ci hanno dato insieme un bel periodo di crescita. La presidenza Bush con le guerre al terrorismo ha lentamente cambiato la situazione, ed ora è al termine. Pertanto il clamoroso crack ha scatenato una serie di attacchi personali, accuse ciniche e violente e rivendicazioni, che suonano come un si salvi chi può, tristissimo. Il tutto fatto, come al solito, anche con video ed email.
Cominciamo
da parte repubblicana, riporto, tradotto alla lettera, un passo di una email
firmata Sarah Palin: Il senatore Obama ed i suoi amici dell'estrema sinistra
dicono sempre una cosa e ne fanno un'altra. Dicono che danno il loro sostegno
alle truppe, ma con una giravolta votano per togliere i fondi ai nostri uomini
e donne in uniforme. Dicono di tagliare le tasse, e con un'altra giravolta,
votano per l'aumento. Dicono di essere per l'indipendenza energetica, ma non
vogliono sostenere le trivellazioni in territori nuovi. E' chiaro che non
possiamo fidarci di loro. Segue la richiesta di contributi per le spese
della campagna elettorale, da
L'attacco più duro di Obama invece riguarda lo scandalo Keating, fine anni '80 primi anni '90, questo testo è corredato da un documentario di un quarto d'ora. Fu il fallimento della Lincoln Savings and Loan, una delle più grandi del paese, che costò al governo americano, ed in definitiva al contribuente, 124 miliardi di dollari per salvare i risparmiatori. In quell'occasione McCain finì di fronte al comitato etico del senato che giudicò sconsiderata la sua posizione in difesa di Charles Keating, il quale finì poi in prigione per la bancarotta fraudolenta della sua banca californiana. Segue un parallelo con la situazione odierna.
Come questa mattina riporta Rainews, l'incontro scontro di Nashville del 7 ottobre ha mostrato McCain stanco e nervoso, Obama più aggressivo, ambedue hanno risposto alle domande del pubblico ribadendo tutti i punti chiave del loro programma. McCain ha accusato Obama di voler aumentare le tasse, ed ha promesso riforme per l'energia, assistenza sanitaria e sicurezza sociale. A sua volta Obama ha ribadito che il suo piano farà pagare meno tasse al 95% degli americani ed ha indicato le sue priorità: al primo posto l'energia, favorendo l'indipendenza dal Medio Oriente, poi riforma dell'assistenza sanitaria e dell'istruzione. Scontate le reciproche accuse in politica estera.
Il sondaggio Gallup del 7 ottobre dà a McCain il 42% delle preferenze, il 51% ad Obama, con una crescita costante di giorno in giorno dalla fine di settembre, dato confermato, sia pure con variazioni delle proporzioni, da altri istituti di ricerca. Si aspettava una rimonta repubblicana con questo incontro, ma finora sembra che non ci sia stata. C'è meno di un mese
perché possa realizzarsi. Aspettiamoci dunque una raffica di nuovi colpi di scena, sorprese, attacchi e contrattacchi.
Certo è che considerati tutti i problemi economici ed internazionali che il nuovo presidente, chiunque esso sia, eredita da otto anni di presidenza Bush ci vorranno talenti, intelletto e temperamento veramente eccellenti, superiori, per cambiare il paese ed il mondo e portarli in una direzione migliore.
LE ATTIVITA’ DELL’ACCADEMIA PICENA APRUTINA DEI VELATI
di Goffredo Palmerini
Risorta dopo quattro secoli, tiene corsi universitari on line, mostre e convegni nella Badia di Corropoli
La prima accademia di cui si ha notizia
nella storia d’Abruzzo è l’Accademia dei Fortunati, nata all’Aquila
nel 1579. Tra gli accademici Salvatore Massonio (1559-1629),
personaggio di grande rilievo, medico storico e scrittore. Con il nome pastorale
di “Avviluppato”, Massonio diede un forte impulso all’Accademia
dei Fortunati, della quale fu per sette volte eletto Principe.
Altri insigni personalità della cultura e della società aquilana del tempo
l’affiancarono, come Amico Agnifili, Flaminio Antonelli, Baldassarre
Cappa per citarne solo alcuni. Eppure, appena vent’anni dopo, per incuria
ed indifferenza di gran parte dei soci, l’Accademia fu sul punto d’estinguersi.
Ma la città viveva in quel periodo un grande fervore intellettuale, specie
ad opera della Compagnia di Gesù che vi aveva aperto l’Aquilanum
Collegium. Infatti, si deve proprio ad un gesuita, padre Sertorio
Caputo – filosofo e matematico, nato nel
Da allora vari mutamenti nel nome e
nelle finalità si sono susseguiti, senza peraltro notazioni degne di rilievo.
Fin quando, nel 1971, due matematici dell’Università dell’Aquila, i
docenti Franco Eugeni e Serafino Patrizio, costituirono il Circolo
dei Velati, in ricordo dell’antica Accademia, chiamando a presiederlo
il prof. Franco Pellegrino. Fu una vera fucina di iniziative
culturali e scientifiche multidisciplinari, nella quale si cimentarono in
studi e ricerche molti giovani docenti dell’ateneo aquilano. Sulla solida
esperienza maturata con il Circolo, nel 1988 il prof. Franco Eugeni,
all’epoca docente all’università di Catania, raccolse intorno ad un ambizioso
progetto significative personalità scientifiche, in campo matematico economico
ed ingegneristico, dagli atenei abruzzesi (i prof. Ilio Adorisio,
Luigia Berardi e Aniello Russo Spena dalla “V. Rivera” dell’Aquila,
il prof. Antonio Maturo dalla “G. D’Annunzio” di Chieti) ma anche dalle
università di Giessen (prof. Albrecht Beutelspacher), Napoli (prof.
Bruno Rizzi), Roma “
Nel ‘98, ricorrendo il
quarto centenario dalla fondazione dell’antica Accademia dei Velati, nasce
l’Accademia Picena Aprutina dei Velati (Apav)
alla cui guida è chiamato il prof. Franco Eugeni, instancabile animatore delle
attività accademiche fino a tutt’oggi. L’istituzione si dota d’una piattaforma
informatica di notevole potenza, per lo sviluppo delle sue attività formative
e culturali. Attualmente l’Accademia cura per l’Università di Teramo master
telematici seguiti da 800 allievi, mentre in collaborazione con l’università
“Petre Andrei” di Iasi ha attivato on line il corso di laurea in Scienze
economiche e quello per la laurea specialistica in Management europeo,
collegati alla Facoltà di Economia dell’ateneo romeno. Nell’ultimo decennio
notevole è lo sviluppo delle attività dell’Accademia, nel frattempo insediatasi
nella splendida Badia di
S. Maria di Mejulano, a Corropoli, cittadina
in provincia di Teramo. Situata sulla sommità d’un colle,
Appunto in questo suggestivo contesto architettonico la scorsa settimana l’Accademia Picena Aprutina dei Velati ha tenuto due importanti iniziative culturali e scientifiche: una mostra di pittura ed il convegno “I beni culturali, l’ambiente e i cambiamenti climatici”. Nell’aula magna, ricavata nella navata della chiesa abbaziale, perfetto anfitrione della serata il prof. Aladino De Paulis, è stata inaugurata una bella mostra della pittrice Carla Manco. L’artista, nata ad Atri, si trasferisce giovanissima in Germania, dove completa gli studi artistici. E’ un’emigrante di successo, con l’arte. A Monaco avvia un’intensa carriera nelle
redazioni di prestigiose riviste di
moda, con il ruolo di direttore artistico. Layouter per l’edizione tedesca
della rivista “Vogue”, designer per diverse case cinematografiche,
è decoratrice delle porcellane Rosenthal. Progetta architetture artistiche
per interni e lavori pittorici monumentali, come il Palazzo Bernheimer
della Deutch Bank e del Porche Zentrum di Monaco. Nota
ed apprezzata, ha tenuto in Germania numerose esposizioni (le più significative
a Monaco, Francoforte, Norimberga, Amburgo, Colonia e Berlino).
Altre mostre, di grande successo, Carla Manco ha tenuto a Londra,
Saint Tropez e, in Italia, a Roma, L’Aquila, Teramo
e Roccaraso, per citare le più importanti. I suoi dipinti, anche
di grandi dimensioni, risentono dell’espressionismo tedesco – ma anche della
pittura informale - del quale raccolgono l’immediata icasticità del cromatismo
deciso. E’ stato l’on. Antonio Tancredi, presidente della Fondazione
Crocetti, a presentare l’esposizione di Carla Manco, artista che
Ma veniamo al convegno. Tema attualissimo, è stato presentato nei suoi obiettivi da Aladino De Paulis, che l’ha coordinato con sapiente dosaggio dei tempi, dato il numero di relatori ed ospiti. Il presidente Eugeni ha portato il saluto dell’Accademia, ha annunciato il prossimo trasferimento nella Badia del centro telematico ed ha riferito dei messaggi giunti dal ministro per l’Attuazione del Programma, Gianfranco Rotondi, e dal Ministro per i Beni Culturali, Sandro Bondi. La parola è passata poi all’on. Tommaso Ginoble, il quale si è posto il problema delle aggressioni all’ambiente, condividendo in pieno lo spirito del Protocollo di Kyoto. Tanto più vale questa preoccupazione per l’Abruzzo, regione a forte vocazione ambientale, non immune da rischi e problemi. Ha portato il saluto del Ministro Bondi il direttore regionale dei Beni Ambientali, Anna Maria Reggiani. Sarebbe comunque intervenuta al convegno, anche senza l’incarico affidatole dal ministro, per l’alto interesse dei temi in agenda. Ha infatti segnalato le conseguenze dell’inquinamento sul patrimonio monumentale abruzzese. Fin qui il convegno scorreva con calma piatta. S’è acceso non poco, pur con il linguaggio felpato degli accademici, con l’intervento del prof. Uberto Crescenti, già rettore dell’università “D’Annunzio” di Chieti, geologo. La sua analisi sul clima si basa sui dati storici. Il vero problema del riscaldamento globale – ha detto - sta nel dilemma se sia responsabilità dell’uomo oppure no. Gli ambientalisti hanno amplificato il catastrofismo, con la compiacenza dei media. La loro non è scienza, ma fantascienza. Da qui un attacco senza riserve al protocollo di Kyoto, perché supposto su una responsabilità dell’uomo, non invece su una naturalità dei cambi climatici, come accaduto nelle epoche del pianeta. Cerca quindi di confutare i dati sull’aumento di temperatura, perché a suo dire inattendibili. L’unica scienza in grado di capire bene i fenomeni è la geologia, perché è storica. Le certezze non le ha nessuno. Bisogna rifarsi solo alla scienza, che non è né di destra né di sinistra. Dunque, non è corretto demonizzare l’anidride carbonica, ma l’approccio corretto è questo: siccome il cambiamento climatico “naturalmente” ci sarà, come ci attrezziamo, come lo governiamo? L’uomo non può fermare la natura, dunque Kyoto è la più grande beffa per l’umanità. Perfino il premio Nobel Rubbia si è allineato con i catastrofisti. Infine, ha contestato l’IPCC, asserendo che s’è costituito un gruppo di scienziati che la pensano come lui, su basi scientifiche, ma che non hanno eco sui mezzi d’informazione.
Con garbo, ma con fermezza, il prof.
Sergio Rapagnà, ingegnere chimico docente alla Facoltà di Agraria
dell’ateneo teramano, ha seguito un percorso con opinioni opposte, con un
excursus sui consumi energetici. Oggi ciascun uomo (siamo 6 miliardi) consuma
LE EOLIE, CAPPERI!
di Giorgio Rinaldi
Ecco profilarsi Vulcano, la prima delle isole dell’arcipelago delle Eolie.
L’aliscafo partito di buon mattino da Milazzo, sulle coste siciliane, la raggiunge, attracca.
Sulle spiaggia di sabbia nera, in una luce irreale, si animano i bagnanti.
Si riparte.
Il nuovo sbarco è nell’isola regina, Lipari, che –trattandosi della più grande- dà anche il suo nome all’arcipelago.
La giornata è magnifica, l’aria pulita, magica.
Di fronte vedi Salina, a sinistra guardi Filicudi ed Alicudi.
A destra Panarea, e più oltre Stromboli, il cui vulcano erutta imperterrito sprigionando fiamme e lanciando lapilli: spettacolo impressionante nel buio della notte mentre si costeggia l’isola in nave o si raggiunge la prossimità della cima utilizzando collaudati sentieri che si inerpicano per i fianchi della montagna.
Se con lo sguardo ritorni verso l’isola madre, vedi i monti Peloritani, e più oltre l’Etna che, quando entra in attività, colora il cielo di rosso in un unico ed ineguagliabile affascinante spettacolo.
Le bellezze delle isole Eolie e la qualità del mare che le circonda non si discutono.
Vale la pena, invece, scoprire il territorio, le genti che abitano questi posti, certamente non facili da vivere, specialmente d’inverno.
Si, bisogna sempre tenere a mente che se il mare si ingrossa i collegamenti navali si bloccano, e quelli con gli elicotteri non è sempre possibile effettuarli.
L’isolamento (la parola non nasce casualmente) è sempre in agguato e non tutti sono in grado di affrontare una quotidianità che la natura impasta di bellezze incommensurabili e di durezze altrettanto straordinarie.
L’economia delle isole, oltre al turismo ed alla pesca, cessata l’estrazione di pietra pomice, vede importanti contributi dalla produzione di vini e di capperi.
Tra i vini, oltre ai vitigni di Insolia (che ritroviamo anche e non a caso alle isole del Giglio e d’Elba, seppur con diversa vinificazione e nome
leggermente diverso: Inzolia) e Nerello Mescalese e Cappuccio, la parte del leone la fa il famoso Malvasia delle Lipari, prodotto con il 95% di uve
di Malvasia e 5% di Corinto Nero, la cui origine è della regione greca del Peloponneso e risale al VI secolo a.c..
Il cappero di Salina, inserito nei presidi Slow Food, è addizionato di sale marino ed è una vera prelibatezza dal sapore intenso ed aromatizzato.
L’arcipelago eoliano, come del resto tutte le isole, non ha bisogno di un turismo di massa o “mordi e fuggi” concentrato, vieppiù, nei pochi mesi estivi: il delicato equilibrio di un ecosistema particolare finirebbe con il risentirne grandemente.
L’Arcipelago si aspetta dei visitatori sensibili e rispettosi dell’ambiente che possano visitare, studiare (fauna, flora, ambiente, geotermovulcanologia, acquacoltura, archeologia e, e, e…) nonchè vivere le isole tutto l’anno.
La
recente “Conferenza Internazionale sul Turismo nelle Isole Minori” che si
è tenuta a Lipari lo scorso 31 ottobre
Gli eoliani attendono turisti, visitatori, viaggiatori pronti ad integrarsi con il tessuto sociale degli isolani.
A vivere la loro vita.
A scandire con loro il ritmo di un tempo che non appartiene ad altre latitudini.
Un tempo che i mitologici vulcani delle Eolie dominano da millenni.
MEDICI O SOLO PERSONE NEI CAMICI BIANCHI?
Abito in una provincia della Russia vicino a Mosca. Nel mio paese ci sono circa 60 000 abitanti, per di più pensionati. La gioventù infatti preferisce partire per cercare in altri posti una vita migliore e per guadagnare più soldi.
Per dare un’idea di come si vive nelle province russe basta parlare degli ospedali e della medicina in generale.
Secondo me in Russia il medico non svolge una professione, ma ha solo un titolo. Non tutti coloro che indossano il camice bianco hanno effettivamente la dignità di portarlo. E in Russia ciò accade di frequente, specialmente in provincia.
Il nostro sistema sanitario nazionale è una catastrofe totale. Il camice bianco che indossa il medico è per lui solo un abito di lavoro, non di più. Il camice bianco non obbliga insomma il medico ad operare con coscienza. Cosi come il mantello del giudice non obbliga lo stesso ad essere giusto.
Tutto ciò a noi russi da dolore e vergogna. Lo stato della nostra sanità pubblica è oggi come quello del XIX secolo. Purtroppo, è questa la verità.
Ogni anno in Russia muoiono più due milioni di persone. E di questi due milioni 500-600 mila persone forse muoiono per errori dei medici.
Nei paesi sviluppati da molto tempo ci sono norme che regolamentano e responsabilizzano il lavoro dei medici. Ci sono protocolli precisi per gli esami da fare e per le cure. In Russia invece non ci sono protocolli di terapia e non c’è un concetto giuridico di «errore medico».
Lo dico con molta sicurezza perchè la mia famiglia, come tante altre, ha vissuto questo tipo di problema sanitario.
Nel maggio di quest’anno mio padre si è ammalato. Quando è stato male, per un acuto dolore addominale, abbiamo chiamato il pronto soccorso. Tutto ciò è accaduto di domenica, e chi vive in Russia sa bene che è meglio non ammalarsi nei giorni festivi perchè nessuno ti soccorre. Purtroppo, è proprio cosi…
Tutta la giornata mio papa è stato in ospedale. Gli hanno somministrato un calmante e basta. Solo lunedì l’hanno poi operato. E se fosse stato troppo tardi?
Dopo l’operazione il medico ci ha detto che per il mio papà non c’erano più speranze: il tumore dell’ intestino con molte metastasi non perdona. Dopo due mesi parlando con un medico mio conoscente, vengo a sapere che dall’esame istologico non risultavano metastasi. E’ giusto tutto questo? E tra l’altro senza ricevere almeno delle scuse.
Vorrei citare ancora un altro caso. Quello accaduto poco tempo fa alla figlia quattordicenne di una mia amica. La ragazza a seguito di una perdurante emorragia si è recata dal ginecologo per una visita. Ma è rimasta sorpresa quando è venuta a sapere che per avere una diagnosi doveva prenotare prima l’ esame radiologico. Data la gravità della situazione non le è restato altro da fare che rivolgersi ad una struttura privata a pagamento!!!! Il cui costo ammonta a 20 €, che per noi sono molti, pari a più di 200 € in Italia. Insisto molto sull’argomento in quanto abito in un territorio ad elevata concentrazione radioattiva dopo l’incidente in Cernobil.
Nella mia città sono moltissime le persone che hanno i problemi con il tiroide, non a caso anch’io ne soffro. Ma il nostro endocrinologo ci tranquillizza dicendo che alla fin fine il livello delle radiazioni nel nostro territorio è sopportabile e che non avremo grossi problemi di salute.
Cosi stanno insomma le cose, questa è la nostra triste realtà.
Da noi quando vai da un medico devi sempre tenere a mente che quello che hai di fronte il più delle volte è solo una persona che indossa un camice bianco…
PRESIDENZIALI USA VISTE DALL’ITALIA
di Emanuela Medoro
Non mi tassate
Lo scontro politico fra la oligarchia conservatrice wasp, bianca ,anglosassone e protestante ed il multiculturalismo della società futura sta avvenendo all'interno di una tempesta economica e finanziaria di portata storica, che oltre a costituirne lo sfondo può influenzare il risultato finale.
Intanto la campagna elettorale, lunghissima, segna i suoi ultimi passi con qualche resoconto in cifre.
I primi vengono da David Plouffe, uno dei dirigenti della campagna di Obama e riguardano i contributi per la campagna elettorale. Ricordiamo che Obama a giugno rinunciò ai contributi federali. Nel mese di settembre, dunque, la media dei contributi è stata di 86 dollari a persona, per 3.100.000 contribuenti. Segue l'elenco delle professioni dei contribuenti, da cui emerge una larga partecipazione della classe media: artisti, insegnanti, lavoratori, impresari, medici, veterinari, farmacisti, militari, lavoratori del sociale, impiegati, studenti, elettricisti. I maggiori contributi sono arrivati da pensionati e studenti, i primi perché si sentono troppo sacrificati dalla precedente amministrazione, i secondi sentono più forte la speranza di un cambiamento.
Tanti tipi di lavoro da classe media sono elencati nel resoconto dei democratici, manca però l'idraulico, perchè Joe the plumber, più o meno Beppe lo stagnino, fu una bella invenzione di J.McCain, che manda un bel messaggio scritto, “I am Joe the plumber, don't tax me for working hard”. Beppe lo stagnino sono io, non mi tassate perché lavoro sul serio”.
Joe the plumber chiese a Obama perchè lo voleva punire per il suo lavoro, ebbe questa risposta, “Quando si diffonde la ricchezza (when you spread the wealth around), è un bene per tutti.”quindi, secondo McCain gli americani dovranno scegliere fra chi vuole compensare il duro lavoro e chi, invece, vuole diffondere la ricchezza. La diffusione della ricchezza per mezzo di un'equa tassazione deve essere, secondo lui, proprio il peccato capitale del mondo.
Ed ecco ora Sarah Palin, che incalza forte a proposito dell'affare ACORN, gruppo di sinistra sotto inchiesta per frode nella registrazione di nuovi elettori. Ricordo che negli USA si diventa elettori su domanda. Quest'anno risultano iscritti nelle liste elettorali 9 milioni di nuovi elettori. Queste nuove liste sono dunque oggetto di contestazioni e ricorsi, cosa che fa prevedere chissà quali lungaggini e discussioni per i risultati finali.
Poi ho casualmente pescato online uno slogan, “tornatene in Africa terrorista rosso”, testo di una telefonata registrata (phone robocall) trasmessa agli elettori incerti. Questo slogan la dice lunga sulla cultura dei destinatari, chiaramente una fascia della popolazione poco istruita e
dai gusti sempliciotti per non dire rozzi, e la dice lunga anche sulla cultura dell'emittente.
A sostegno di Obama è sceso in campo Colin Powell, il più grande e rispettato ufficiale e statista afroamericano nella storia degli USA, della stessa età di John McCain , ed ex segretario di stato dei Repubblicani. Secondo lui Obama ha una particolare intelligenza, curiosità, larghezza di vedute ed idee chiare nell'economia, candidato adatto al cambiamento di generazione di cui l'America ha bisogno. McCain, invece, gli appare di
vedute limitate, incerto e non adatto a questo momento storico. Inoltre Sarah Palin, secondo lui, non è pronta per fare il presidente. Dichiarazioni venute dopo lunghe osservazioni e riflessioni, ed espresse con dignità ed autorevolezza.
Gli ultimi sondaggi Gallup danno Obama su McCain, 52% e 41% delle preferenze degli elettori. Cifre sempre poco attendibili, non dimentichiamo che nelle ultime elezioni vinse Bush anche se le previsioni dicevano il contrario.
SAN LORENZO IN BANALE, PATRIA DELLA CIUÌGA, BORGO GOLOSO E BELLISSIMO
di Gianni de’ Silva
Dolomiti di Brenta, San Lorenzo ,già celebre per il raro salamino con le rape, è da poco entrato nella schiera de “I Borghi più Belli d’Italia”.
La vivace Sagra della Ciuìga, in programma dal 7 al 9 novembre, diventa così più che mai occasione imperdibile per scoprire questa povera, ricca prelibatezza del Trentino, vanto dell’Italia intera, ma anche tutto l’antico fascino del borgo. Una tregiorni all’insegna di degustazioni, menu a tema, spettacoli di strada e musica antica… Speciali pacchetti negli hotel del territorio.
Di necessità virtù. Di pura necessità si trattò quando nella seconda metà dell’Ottocento, in un clima di grandi ristrettezze, ai piedi delle Dolomiti di Brenta si inventarono la ciuìga. E oggi quel singolare salame con le rape, confezionato secondo tradizione solo ed esclusivamente nel borgo rurale di San Lorenzo in Banale è indiscussa virtù gastronomica del comprensorio Terme di Comano Dolomiti di Brenta, del Trentino e dell’Italia intera.
Unica e inimitata, confezionata originariamente con soli scarti di maiale (testa, cuore e polmoni), in proporzione del 20%, e con abbondanza di rape cotte e tritate, ai giorni nostri vanta invece il 70% di carni suine scelte e soltanto il 30% di ortaggi. Quel che basta però per conferirle un sapore deciso, pungente ma non piccante e davvero unico. Inconfondibile, come la forma piccola e allungata, simile a una pigna di conifera… quella che in dialetto locale si chiama appunto “ciuìga”.
Riscattato il suo passato di povertà, il salamino affumicato è oggi una vera prelibatezza, da gustare al naturale, rielaborato in gustosi sughi, abbinato a patate lesse e cicoria oppure puré di patate e “capusi” (cavolo-cappuccio), adagiato su fette di pane leggermente tostato e imburrato e persino affettato sulla pizza. Ma rigorosamente in loco, in quello spicchio segreto e bellissimo di Trentino nascosto alle spalle del lago di Garda, alle falde del Parco Naturale Adamello Brenta.
L’autunno è la sua stagione, quando si uccide il maiale e quando nei campi maturano le rape. E’ in questo periodo che i pochi, abili macellai del
Banale sciorinano golose catene di ciuìghe, solo apparentemente infinite. Prodotte artigianalmente e in quantità limitata, requisite dai ristoranti locali e prenotate dagli estimatori, le ciuìghe vanno letteralmente a ruba.
L’evento, che prevede tre giorni di degustazioni nelle cantine, menu a tema a prezzo fisso nei ristoranti, spettacoli di strada e antichi mestieri, offre l’opportunità di ammirare, in tutto il loro festoso fermento, gli angoli più affascinanti e antichi di San Lorenzo, prime fra tutte la frazione Prusa, teatro della sagra, e quella Senaso, con il vecchio affumicatoio dove ancora gli abitanti portano ad affumicare le loro ciuìghe artigianali. A San Lorenzo si rintracciano ancora -nelle tipiche architetture in pietra e legno così come nell’ospitalità schietta della gente- i costumi e le usanze di un tempo. Da assaporare nell’impasto unico della ciuìga, da respirare nelle atmosfere nostalgiche tra i vicoli. da ammirare nelle sale del nuovo museo etnografico “C’era una volta”.
E da ripercorrere, tappa dopo tappa, nel suggestivo “Viaggio dell’Emozione con Gusto”, la cena itinerante in programma venerdì 7
novembre (su prenotazione), che conduce a ritroso nel tempo, nella storia e nei sapori della valle, con assaggi, musica e… strani incontri.
SEI GRANDE, PICCOLO SAMPEI!
di Paola Cerana
La notizia risale a sabato 18 ottobre: un ragazzino di dodici anni, Gabriele, è riuscito a pescare uno storione lungo più di un metro del peso di ben 7 chili!
E’ successo a Caltignaga, un piccolo paese adagiato tra le campagne e le risaie del novarese, in una vecchia cava sorgiva sfruttata come riserva di pesca sportiva. In mezzo a tanti pescatori adulti, appassionati come lui ma con un’esperienza ovviamente incomparabile, Gabriele ha sorpreso tutti quando, dopo venti minuti di silenziosa concentrazione, ha recuperato con tutta la sua energia la lenza dal fondo del lago e … oplà, ecco guizzare fuori l’enorme pesce ancora battagliero.
Non è un evento da poco, perché lo storione è uno dei più grandi pesci d’acqua dolce d’Europa. E’ poderoso, resistente e molto longevo. Viene dal mare e migra fin qui risalendo le correnti degli affluenti con tutte le sue forze, per fermarsi definitivamente nei fiumi e nei laghi a nutrirsi e riprodursi. Ha l’abitudine di rifugiarsi sui fondali nascondendosi nella sabbia quando si sente minacciato ed è davvero un’impresa scovarlo da là sotto. Oltretutto ha un’abboccata ferma e molto potente, che richiede la capacità di moderare la frizione della lenza per non rischiare di perderlo durante il recupero. Oltre all’abilità tecnica ci vuole quindi tanta pazienza e sensibilità tattile per vincerlo, perché bisogna sfiancarlo sul fondo, senza fretta evitando violenti strattoni, prima di recuperarlo a riva.
Dopo venti lunghi minuti di sfida, Gabriele ha riavvolto svelto la lenza senza mai perdere il contatto con la preda e l’ha infine afferrata con un guadino portandola a terra, mentre si dimenava nella rete, ormai senza speranza. Tra l’ammirazione, la sorpresa e l’invidia di molti pescatori, che si son dovuti accontentare di un misero bottino fatto di carpe e trote, il piccolo eroe s’è portato a casa soddisfatto il suo ghiotto trofeo.
Mi ricorda il protagonista di una serie di cartoni animati giapponese in voga qualche anno fa. Sampei era un ragazzino di tredici anni appassionato di pesca che, con la sua inseparabile canna e il suo tenace carattere, viveva avventure straordinarie, alla ricerca continua del leggendario pesce Takitaro, guidato dagli insegnamenti del suo saggio nonno. Come Sampei anche Gabriele deve aver maturato una disciplina non solamente tecnica ma soprattutto interiore per essere riuscito nell’impresa.
Oltretutto
Gabriele non è nuovo a certe straordinarie avventure. Già lo scorso anno,
dopo una lunga attesa che avrebbe messo a dura prova i nervi di molti pescatori,
tutto solo con la sua attrezzatura, su una pacifica riva del lago di Lugano,
si sentì improvvisamente strattonare
pesce riuscì a slamarsi e a liberarsi con un guizzo. Ma era debole ormai e il suo predatore, tenace più che mai, non l’avrebbe di certo mollato. Con un tuffo, tutto vestito e senza un attimo di esitazione, ha raggiunto a nuoto la sua preda che si è rassegnata esausta tra le braccia dell’ardito pescatore. Naturalmente il povero lucioperca ha terminato la sua lotta in padella, resuscitando in un profumato bagno di limone, sale e pepe!
Nemmeno il mitico Takitaro avrebbe avuto scampo né una fine altrettanto saporita.
Bravo Gabriele, sei grande! La tua mamma è orgogliosa di te!
Per dovere di cronaca, il povero animale non è stato sacrificato inutilmente. Dopo una lunga marinatura in olio, limone, vino bianco, timo, prezzemolo, sale e pepe e dopo una breve passata in forno con aglio e rosmarino, lo storione in tranci ha fatto il suo trionfale ingresso a tavola, con sommo piacere di tutti i commensali.
Perciò … complimenti anche alla cuoca!
SOGNANDO ANCORA L’ALBA DELLA MIA ETA’
di Marilena Rodica Chiretu
Tra la luce dell’ alba e il fuoco del tramonto,
tra i sorrisi spenti nel dolore del canto,
cadeva la pioggia fredda nella coppa
profonda del mio rotondo amore;
un bicchiere pieno di fiocchi puri
disperde sulla notte dei capelli
ricordi degli attimi più belli.
C’ era un dolce sogno scritto
sul muro rosso della gabbia,
soffocava il buio tra le griglie
gridando il raggio della libertà.
Solo nella rosa del mattutino sole
chiudo adesso i confini del passato,
ma scorre ancora il sangue nelle vene
cercando la strada smarrita della dignità.
Un muro ha crollato nel grembo del Ponente,
un altro si è alzato per i miei sguardi tra luci di falò,
oscurano il nuovo orizzonte dipinto nei colori degli occhi,
delle mani, dei desideri sulle roventi labbra della diversità.
Un’alba nasce, un’ altra muore,
vivo ferita nella gabbia
di schiuma bianca
con macchie nere
sul volto triste
della realtà
sognando
ancora
l’alba
della
mia
età
S.O.S. TATA?
DA BOLOGNA RISPONDE ADRIANA CANTISANI
di Rossella Regina
La nuova Tata conquista il pubblico e ammette:
“Anch'io, a volte, lancerei un S.O.S.”.
Chi non ha mai chiesto aiuto!?!
Uomini, donne. E se queste due categorie si fondono e danno vita ad una famiglia?
Beh, il risultato non cambia: la differenza sta nel tipo di S.O.S. lanciato,
in altre parole, S.O.S. Tata. Si chiama così il format targato Magnolia dedicato
a quelle famiglie
che, con evidenti problemi di gestione della prole, possono chiamare in loro
aiuto una Tata specializzata in grado di fornire preziosi consigli su come
affrontare spinose questioni di genere.
Lucia, Francesca, Mara,
Renata e Rita sono le magnifiche 5 entrate finora a far parte dell'Olimpo
delle Tate alla cui porta, per l'edizione 2008 del format (in onda su Fox
Life ogni venerdì alle ore 21 e prossimamente su LA7), bussano Adriana, Francesca
e Lucia: tre figure dagli approcci
completamente diversi, destinate ad ingraziarsi simpatie ed antipatie
del pubblico familiar-televisivo nazionale.
Ad aver letteralmente già 'rapito' l'attenzione di tutti con la sua travolgente
spontaneità, è stata Tata Adriana Cantisani, 41enne uruguayana d'adozione
bolognese ma cresciuta negli States, rivelatasi al pubblico nella puntata
dello scorso 10 ottobre.
“Adriana, com'è cominciato tutto con S.O.S. Tata? La produzione era alla ricerca di una Tata “anglossassone” e cercando sul web si è imbattuta nel sito di 'English is Fun!' (www.englishisfun.it), che è il metodo innovativo d'insegnamento della lingua inglese più diffuso in Italia, che ho messo a punto una decina di anni fa. Non mi è stato chiesto di interagire con i bambini in lingua, ma credo l'obiettivo fosse quello di portare all'interno del format un approccio educativo e culturale diverso dai precedenti”.
3 puntate (la prossima è in scaletta per il 31 ottobre), che ti hanno vista confrontarti con esperienze diverse: quale delle tre ti ha maggiormente soddisfatta?
“L'esperienza che mi ha
lasciato maggiormente un segno è stata la prima (quella andata in onda il
10 ottobre), sia per la situazione particolarmente delicata (Giorgia, 7 anni,
aveva evidenti difficoltà motorie), sia per l'approccio fattivo della famiglia,
unita nel perseguire l'obiettivo comune di rendere Giorgia il più autonoma
possibile. Ciò
ha permesso a Gisella e Franco, i genitori, di dedicare ai restanti due figli,
Martina e Matteo, le giuste attenzioni che meritavano. E mi piace, inoltre,
sottolineare che il rapporto con questa famiglia non si è concluso con 'nero'
delle telecamere”.
“S.O.S. Tata è, fondamentalmente, un reality-show. Quanto vale, per questo
programma, la regola 'poco reality, tanto show'?
“Le famiglie sono vere,
i bisogni sono veri come le situazioni e non ci sono attori: questo è S.O.S.
Tata. E' chiaro che anche dietro una trasmissione di questo genere ci sia
del montaggio (ogni Tata vive con la famiglia ben 7 giorni d'intenso confronto,
che vengono, poi, sintetizzati
in 50 minuti di video), ma l'esclusivo intento è quello di suggerire al pubblico
metodi e modalità comportamentali semplici ed efficaci da adottare quotidianamente
con i propri figli”.
”Mamma, moglie e donna in carriera (ideatrice di 'English is Fun!', Consulente
esclusiva Chicco per la linea di giochi parlanti bilingue e socia fondatrice,
insieme a Natalia De Luca, Mirko Moliterni e Biagio Settineri della sede bolognese
del British Institutes), Tata Adriana non ha
problemi a rivelarci che, a volte, anche lei lancerebbe un S.O.S.”.
“Sono una Tata” – dice
- ma non sono una macchina, né tantomeno perfetta. L'importante, comunque,è
mettersi sempre in discussione, in qualsiasi circostanza. E - conclude ironicamente
– “chissà che il mio prossimo S.O.S. non sia rivolto ad 'Adolescenti: Istruzioni
per l'uso' (ennesimo format Magnolia), visto che i miei due
ragazzi crescono a vista d'occhio”!!!
Un consiglio a tutte quelle famiglie italiane che vorrebbero una Tata come
te tra le quattro pareti domestiche.
“Fare il genitore è un impegno
che dura una vita, questo vuol dire riuscire a portare avanti un progetto
educativo comune che ci si è proposti fin dall'inizio. Perché ciò avvenga
nel modo più soddisfacente
possibile, il confronto ed il dialogo tra i componenti del nucleo
familiare sono strumenti fondamentali. Ma se le risposte tardassero ad arrivare,
ci sarà sempre Tata Adriana pronta ad intervenire”!
TORINO, L’ANTICA CAPITALE
di Nadia Seclì
I torinesi debbono molto a qualcosa o a qualcuno.
Di certo ai Savoia, che l’elessero capitale del Regno.
Poi alla Fiat e agli Agnelli.
E alle decine e decine di migliaia di immigrati meridionali.
Giri per Torino e tutto parla delle Loro Maestà: palazzi, toponomastica, nomi di bar e ristoranti.
La presenza della Fiat si è fatta più discreta, ma non puoi ignorarla.
Come non ignori i volti, le cadenze ed inflessioni linguistiche che ti rimandano a dialetti di altre parti d’Italia.
Arrivi a Torino e ti ritrovi catapultato in pieno Risorgimento.
E, di colpo, ti ricordi che ti trovi nella prima Capitale della Penisola.
Torino è veramente una bella città.
Pulita, ordinata, tranquilla, a tratti quasi sonnolenta.
Ti colpisce la presenza di tante e tante librerie.
Di tante farmacie e di tanti bar, anzi: caffè, come si chiamavano una volta.
Tutti locali con arredamento d’epoca.
Addirittura, il famoso fast food “Mac Donalds”, uguale a sé stesso in ogni parte del mondo, a Torino ha dovuto indossare la livrea dell’antico negozio cittadino, con i legni ed i fregi di ottone.
Il centro di Torino, in via di forzata e quasi completa chiusura alle auto, è molto grande e ti da l’idea di appartenere ad una grande metropoli mondiale.
Tanti i palazzi ottocenteschi dalle belle facciate, anche se in pieno centro, tra piazza Castello e piazza San Carlo, si staglia una bruttissima costruzione pseudo-moderna che svetta più alta della stessa Mole Antonelliana, con il tricolore piantato all’apice: un pugno in un occhio da cui i torinesi, probabilmente, non si sono ancora riavuti.
Eppure, i torinesi hanno avuto un eroe come Pietro Micca, che di dinamite se ne intendeva.
Certo metaforicamente imitandolo, potrebbero fare un po’ di sano rumore!
Il Po scorre lento, incurante dei deliri dei suoi anacronistici adoratori.
Dalla
sua riva destra inizia la stupenda collina e su, in alto, c’è
Anche questo edificio di culto venne fatto costruire dai Savoia, dove vollero essere tumulati.
Tanto altro c’è da vedere a Torino e dintorni, ma più che raccontarlo, vale la pena scoprirlo da soli.
“TUTTI PAZZI PER
di Francesco M.T. Tarantino
Non sembrava vero! Il paesello in televisione
Tutti impazziti per un attimo di celebrità
Sfilano tutti come marionette con il gonfalone
In una vetrina di stupidità tra ingenuità e vanità
Tutti pazzi per la tele sul canale nazionale
Saltellando in un girotondo di un gioco deficiente
Esibendo una cultura che non serve e che non vale
In una ribalta di provincia falsa e insufficiente
E tutti fanno a gara per mostrar vecchi mestieri
Nella piazza del paese trasformata in palcoscenico
Ma nei vicoli adiacenti non ci son luci né forestieri
Resta qualche vecchio e un Bastiano schizofrenico
Che non sa batter le mani per il circo dei giocolieri
Forse perché in televisione non è molto fotogenico
UN APRÉS-MIDI A BRUXELLES
di Paola Cerana
Parto per Bruxelles armata di ombrello e impermeabile, sicura di essere accolta dal solito cielo grigio che normalmente accarezza i palazzi e le strade di questa città. Invece al mio arrivo mi attende un regalo: il sole pennella un pomeriggio brillante e colorato che sa ancora di primavera e che si fa beffa dell’autunno ormai inoltrato.
La prima sensazione che provo girando per le strade è di trovarmi in una città effervescente, in costante movimento: tutti sembrano andare di fretta ma è una fretta fisiologica, senza stress. La gente passa svelta a piedi o in bicicletta, auricolare all’orecchio, ventiquattrore in mano o sul manubrio, giacca sottobraccio e cravatta svolazzante. Tutti animati da una disinvolta eleganza. E’ una città giovane e multietnica e la mescolanza di lingue che intercetto per le vie le dà una personalità tutta sua, che mi fa sentire al centro del mondo.
Appena fuori dal mio hotel
mi dirigo verso
Giusto il tempo di scattare qualche foto e mi rimetto in cammino, questa volta senza guida, e in silenzio mi gusto le voci e gli odori della città. Sembra tutto in miniatura fuori dalla Grand Place: un diramarsi di stradine in pavé consumato dagli anni, incorniciate da tanti piccoli negozi che offrono fieri prodotti belgi di ogni tipo. Ma è soprattutto un susseguirsi di chocolaterie che espongono in vetrina delizie di cioccolato di infinite
forme e colori, come fossero gioielli rubati ai tesori di qualche bella principessa.
Passato e presente si fondono proprio come il cioccolato a Bruxelles e il contrasto tra la solennità dell’Hotel de Ville, della Maison du Roi con i grattacieli moderni sempre più proiettati verso l’alto mi trasporta in pochi attimi qua e là nella storia.
Non ho tempo per cedere alla gola delle chocolaterie. Prima di rientrare in hotel devio svelta verso il Parlamento Europeo e mi rendo conto che anche l’aspetto della città, e non solo quello della sua gente, è in movimento. In un mondo che in questo momento sembra paralizzato e tormentato dalla sfiducia mi sorprende trovarmi in mezzo a enormi cantieri che preannunciano la nascita di edifici futuristici da capogiro, la cui imponenza sarà ingentilita dalla leggerezza delle forme e dei rivestimenti. La sede del Parlamento Europeo è lo specchio perfetto in cui si riflette l’altra faccia di Bruxelles, quella moderna, tutta vetri e trasparenze, che allaccia la storia di un Paese al futuro di una Comunità di Paesi.
Ma il mio presente mi dice che è tardi. Affretto il passo e la stanchezza vola via al pensiero di cenare con un amico inglese che lavora qui e che non vedo da tempo. Mr. Bill è un vero gentleman, alla cui finezza anglosassone si sposa uno spirito vivace che lo rende irresistibile e ancora affascinante nonostante la sua non più giovane età. L’appuntamento è in un ristorante italiano, “Cose così”, che di italiano in realtà ha solo il simpatico nome. Per raggiungerlo occorre attraversare un quartiere africano: tutto è nero qui, i negozi che vendono frutta e verdura esotiche, i profumi delle spezie che si mescolano nell’aria, la musica che aleggia fuori dai locali e la gente che ci saluta con un sorriso buono come solo loro hanno. E’ un quartiere pacifico, che invita a passeggiare tranquillamente fino a tarda notte, dando l’illusione, clima permettendo, di trovarsi davvero in un angolo d’Africa.
Anche il ristorante sa di tropici: luci basse che ricordano il tramonto della savana, tavoli di legno ravvivati da tremolanti candele, scudi e maschere dipinte alle pareti, tamburi che diffondono nella sala un soffuso ritmo tribale e uno chef del Togo che ci accoglie con un sorriso bianchissimo,
come il grembiule che indossa. Davanti a una bottiglia di Chardonnay gelata gustiamo un trancio di tonno rosso appena scottato, alto come una mattonella ma tenero come una sfoglia, profumato di rucola e pomodorini, che sanno davvero di Italia.
La cena scivola via tra i racconti affascinanti del mio commensale giramondo, che fa viaggiare anche me a bordo delle sue parole. E’ sempre un piacere stare ad ascoltarlo. All’improvviso però mi rendo conto che c’è qualcosa di diverso in lui. Bill non scappa più fuori dal ristorante, ogni dieci minuti, per fumare una sigaretta in libertà. Ecco cosa c’è di nuovo: ha finalmente smesso di fumare! E brindando alla notizia con l’ultimo bicchiere di vino Bill mi confessa di essere io l’inconsapevole artefice della sua sofferta conversione. Una mia ingenua e-mail indirizzata a lui tempo fa terminava con “… and please Bill, don’t smoke too much!”, un affettuoso invito, insomma, a non fumare troppo. Sapevo che sua moglie era all’oscuro del suo vizio ma non immaginavo che lei avesse libero accesso alla sua posta elettronica. Così da quel giorno, svelato rovinosamente il suo segreto, Bill ha dovuto promettere alla sua signora che non avrebbe più toccato una sigaretta. Promessa che ha coraggiosamente mantenuto!
In verità non so se scusarmi o se scoppiare a ridere immaginando la tragicomica situazione. Ma l’imbarazzo svanisce di fronte all’unica cosa importante, e cioè che Bill non è più schiavo del fumo. Una sola cortesia mi domanda, alla fine della nostra piacevolissima cena, coccolando tra le mani un bicchiere di Chivas: “Please, Paola, don’t send me any e-mail asking me not to drink too much whiskey!!!” (per favore, Paola, non mandarmi e-mail in cui mi chiedi di non bere troppo whiskey!).
Finisce così, con una risata, un abbraccio e una promessa di rivederci presto, il simpatico appuntamento con Bill. La notte è ormai inoltrata e ci avviamo, in direzione opposta, ciascuno verso il proprio hotel, accompagnati dalle tenui luci dei caratteristici lampioni cittadini. Mentre cammino ripenso al pomeriggio trascorso: un pomeriggio pieno di inaspettate sensazioni per quella che doveva essere una semplice e rapida tappa, prima di raggiungere Parigi. Mi trovo invece a rivivere con piacere una estemporanea passeggiata nell’effervescente centro della città, con il suo disarmante senso di giovinezza, l’armonica convivenza di modernità e antichità e le sue dolci tentazioni al cioccolato. Insomma, mezza giornata di un’inattesa full-immersion emotiva.
Guardo il cielo e mi accorgo
che Bruxelles mi sta regalando anche una magnifica notte stellata foriera
di un’altra generosa giornata di sole. Domattina, dunque, proseguirò per
Parigi. Mi attendono
VOCE FUORI DAL CORO
di Bernardina Tonti
Ti ho visto
Sotto le luci della ribalta
Ti ho fissato con il naso all’insù
…Tu, un uomo e il suo cappello
Hai perso il tuo mantello!
Con cui avvolgevi la notte
E spegnevi i sogni.
Ti ho visto
Sul palcoscenico della vita
Aggirarti famelico, più di un lupo
E nutrirti dell’anima di altra gente.
Ho visto il tuo volto e le sue mille facce
Celare una vita senza mordente
Scandita dal tempo
Perennemente
quello sottratto a me
Brutalmente
Lo lascio alla tua coscienza
Inutilmente
La mia schiacciata da un peso
Inconsistente
…Io provo ad addormentarmi
Serenamente
FARONOTIZIE.IT - Anno III - n° 30, Novembre 2008
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