FARONOTIZIE.IT - Anno II - n° 11, Febbraio 2007
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Direttore responsabile Giorgio Rinaldi
ALI BABA’ E I 40 LADRONI
Editoriale del Direttore, Giorgio Rinaldi
Il
babà non è di origine napoletana, come
comunemente si crede, bensì polacca.
Ali si
scrive e si pronuncia senza l’accento sulla “i”, come diversamente il retaggio del colonialismo
suggerisce.
I ladroni
non sono 40, ma molti, molti di più.
Tra queste
moltitudini ne troviamo d’ogni tipo.
Ci i sono
quelli che rubano così e semplicemente.
Poi, ci
sono quelli che rubano con tutte le autorizzazioni del caso, alla stessa
maniera dei corsari di una volta: pirati che i reali inglesi munivano della
patente di corsa e quindi potevano derubare, depredare, uccidere, con
addirittura il conforto di onori e titoli nobiliari.
Smascherare
questi ultimi è l’impresa più gravosa.
Qualche
settimana fa l’Italia intera è stata scossa da una notizia per importanza pari,
forse, solo alla scoperta dell’acqua calda: i nostri governanti, verosimilmente
informati dai servizi segreti, hanno comunicato al mondo intero che le
compagnie telefoniche italiane, fuori da ogni concorrenza, applicano l’iniqua
tassa, inversamente proporzionale al valore del traffico telefonico acquistato,
di ricarica del telefonino, e di far scadere l’uso degli scatti acquistati dopo
un certo dato periodo, come le mozzarelle.
Compiaciuti
di averlo denunciato dopo solo 10 anni di immani quanto illegittimi profitti, e
senza che gli altri 1000 fra parlamentari e deputati regionali se ne fosse mai
accorto, ci hanno assicurato, baldanzosi, che in breve sarebbe stata eliminata
questa ennesima ruberia e che ne sarebbe stata informata, nientepopodimenoche,
le Authority delle comunicazioni e dell’antitrust.
Tutti
sanno, infatti, che la sede di queste istituzioni è al Polo Nord
e, quindi, i Garanti, nello svolgere la loro gravosa attività di garantirsi lo
stipendio, non hanno avuto modo e tempo di conoscere delle cose della telefonia
e della concorrenza..
Pensate, i
Garanti avrebbero dovuto recarsi in una tabaccheria per scoprire che una
ricarica telefonica di 2 euro di telefonate bisogna pagarla 3 euro, che tale
traffico inutilizzato “scade” dopo un anno, e che tutte le compagnie adottano
il medesimo criterio…
Speriamo
solo che i nostri Garanti non vengano sollecitati tra altri 10 anni a porre
fine ad un altro scandalo che coinvolge non solo i corsari della telefonia: i
call center.
Oramai non
è più possibile parlare con nessun responsabile di una compagnia telefonica o
di qualche altro ente o società pubblica o parapubblica.
Devi per
forza comporre il numero X e poi digitare K se vuoi il servizio Y, e così via,
come se fossero tutti esperti di informatica….
Se non vuoi
o non puoi seguire le astruse sequenze dettate dalla vocina metallica
pre-registrata, o vuoi un servizio non previsto, o parlare di un problema non
codificato, cominciano i guai.
Dopo che,
forse, avrai beccato la sequenza numerica giusta, e dopo almeno una decina di
tentativi, se prima non sarai stato interrotto
improvvisamente
dalla inumana vocina con un “grazie per aver chiamato”, ti risponderà
Genoveffa, o Nicoletta, o Pasquale, che ti diranno ciascuno una cosa diversa
per la soluzione del tuo problema, quando –invece- non ti risponderanno
addirittura dall’India, tenendoti in linea il tempo (“per non perdere la
priorità acquisita”) che basta perché la telefonata improvvisamente si
interrompa lasciandoti con un pugno di mosche in mano!
In questa
situazione di vera e propria farsa, a cui gli italiani, da Mago Zurlì a Maga
Maghella, da Maga Magò al Mago di Arcore, oramai da decenni sono stati
costretti ad abituarsi, il peggio, purtroppo, non ha mai fine.
La
giustizia italiana, dopo appena 26 anni (che sono nulla rispetto ai 61 impiegati
per accertare la responsabilità dei carnefici nazisti della strage di
Marzabotto) ha sentenziato che i generali dell’Aeronautica Militare non si sono
macchiati del reato di Alto Tradimento per non avere depistato le indagini
sulla strage di Ustica.
Sull’abbattimento
del DC 9 Itavia ancora vige, però, il segreto di stato, e nessuno sa come sono
realmente andate le cose…
Le domande
sorgono spontanee: ha influito il segreto sulla sentenza? Perché le forze
politiche che ieri erano all’opposizione e
reclamavano la rimozione del segreto di stato oggi tacciono?
E gli
ospedali che annegano nell’immondizia e nel degrado più incredibile?
I direttori
generali, gli amministratori, i responsabili che avrebbero dovuto controllare e
gestire il denaro pubblico, e invece non hanno
visto quello che tutti gli altri vedevano, saranno rimossi ?
Credete che
qualcuno di loro abbia fatto, o gli abbiano fatto fare, le valigie?
In un altro
Paese, forse, non in quello di Bengodi.
Si, perché
dalle nostre parti, la furbizia, anziché suscitare deploro, viene scambiata per
intelligenza.
E, allora,
trovi –per esempio- un barista al Passo del Pordoi (TN) che ti fa andare al
cesso del locale solo a pagamento, e se tu denunci la cosa alle locali
istituzioni, comincia lo scaricabarile delle responsabilità degno della
migliore tradizione italiota, da quegli indigeni solo a parole aborrita.
Oppure, i
prezzi degli affitti e delle case che schizzano alle stelle: in una città come Bologna gli affitti sono
mediamente di 800 – 1000 euro al mese, cioè quanto un intero stipendio medio
(!) e il prezzo di un appartamento periferico di 80 mq è di circa 300.000,00
euro.
Cosa si è
fatto per bloccare questa speculazione selvaggia?
N U L L A.
Anzi, l’ex
Presidente del Consiglio ha dichiarato, incredibilmente quando era ancora in
carica, che gli italiani proprietari della loro abitazione
dovevano
considerarsi, grazie al suo governo che non aveva frenato la speculazione, più
ricchi perché la loro casa valeva di più.
Come se gli
italiani proprietari della casa in cui vivono, col prezzo triplicato in 2-3
anni, potessero vendersela per poi acquistarne un’altra a prezzo….vecchio!!!!
O, magari,
trasferirsi nelle foreste del Borneo e costruirsi una capanna di palme di
banano!
Il guaio è
che ancora c’è qualcuno che dà retta e credito a questi vecchi arnesi della
peggiore italietta, contribuendo –così- a far muovere al rallentatore un Paese
dalle grandi potenzialità.
FRANCO DANIELI : “NON C'E' CONTINUITA' CON
di
Silvia Garnero
in
collaborazione con http://www.italianosenamerica.com/
L' attuale rapporto con gli Stati Uniti,
i progetti con il governo argentino e le misure di sicurezza per gli
italiani in Venezuela, sono parte di un colloquio telefonico con il Vice
Ministro, che ha parlato delle nuove risorse per gli italiani nel
mondo, del ruolo dei Comites e dei diritti umani in Sudamerica
18-1-2007 - Buenos Aires-Roma
L'attività
politica non è mai statica e per misurarla c'è bisogno di tempi e
risultati concreti. Si può dire che il nuovo Vice Ministro per gli
italiani all' estero, Franco Danieli ha molte cose positive anche quando i
risultati della sua gestione appena cominciano a vedersi ed è molto il
lavoro che si aspetta, all'estero, da parte sua.
Il primo
risultato da evidenziare è l'incremento dei fondi destinati agli gli
italiani nel mondo. Tra altri aspetti positivi, Danieli ha una grande
predisposizione al dialogo, anche con quelli che non la pensano come lui,
un'agenda intensa per visitare paesi e ascoltare i reali bisogni dei
connazionali, e una determinazione chiara per fare capire che ora
le cose si faranno con il controllo dal suo Ministero. Effettivamente, il
controllo della spesa che la nuova e prima finanziaria del governo di
Prodi ha approvato per gli italiani all'estero verrá strettamente seguito da
vicino da parte del suo ministero.
Ci
sono quelli che pensano che i Comites e Patronati sono strutture che dovrebbero
essere ripensati dal punto di vista dalla loro utilità e funzionamento…
Franco
Danieli: Prima di
tutto, i Patronati in tanto non sono organismi
rappresentativi, sono organizzazioni di servizio che hanno natura
sindacale e non c'entrano nulla con i Comites .Questi si sono organi elettivi
della comunità e dipendono dalle scelte che la comunità ha fatto, e quindi io
nulla posso dire rispetto alle scelte che ha fatto la gente. Posso invece dire
che ci sono Comites che non funzionano e quello che io ho fatto nella
Finanziaria del 2007 è mettere a disposizione dei Comites più risorse che
saranno distribuite fra quelli che hanno dimostrato di funzionare. Non sarà una
distribuzione "a pioggia". Poi avremo risorse aggiuntive per
tutti Comites, di modo che , a questo punto non si potrà più dire al governo:
“non funzioniamo perchè non ci date le risorse”. Le risorse saranno date e a
quel punto poi vedremo se era un problema di soldi o d' incapacità.
Nell'
immaginario collettivo delle persone che poco sanno delle strutture di potere
italiane all'estero , esiste l'idea della poca trasparenza o a volte
della discrezionalità nella utilizzazione delle risorse, proprio perchè la
informazione è poca o chiusa …non dico che questo succeda in tutti casi ma
esistono proteste in queste senso…che sono prorpi anche parte degli
argomenti di quelli che vogliono abolire queste istituzioni…. Casi simili
occorrono anche nelle relazioni fra le Regioni e le associazioni locali .
Che pochi lo dicano, non significa che non esista "il sottovoce"….
F.D: Scusi, intanto io non mi
occupo di Regione pero , cercando di ragionare, probabilmente le Regioni
italiane mandano dei soldi alle associazioni regionali
in vari paesi…allora non c'e la prendiamo con le Regioni , perchè sempre c'è
una abitudine a dire “non c'è trasparenza”, “non c'è questo, non c'è
l'altro”, ma scusate, forse in questo caso non c'è controllo su come sono
utilizzati questi soldi . Non è un problema della polìtica italiana perchè in
questo caso dà molti soldi anche se poi bisogna vedere come sono
utilizzati.
Nel caso
delle Regioni italiane, come lei sa, hanno autonomia costituzionale
ed io, come governo, non ho il controllo sul bilancio della
Regione per ciò che riguarda il modo di spendere i fondi per gli
italiani nel mondo.
Esiste
un' iniziativa o idea di mettere in funzione piccole rappresentanze
attive del suo Ministero all'estero?
F.D: La iniziativa sulla quale io sto
lavorando è quella di fare un coordinamento stretto tra governo e Regione per
evitare che ognuno vada all'estero per conto proprio. Tanto le Regioni, ma
anche i sindaci, gli assessori , i comuni , le province, i quartieri, le
parrocchie…ognuno parte all'estero a incontrare i concittadini i corregionali,
ecc, con un dispendio di risorse enorme in viaggi, pernottamenti, iniziative,
etc che potrebbero essere molto più efficacemente utilizzate attraverso una
concertazione col governo, cioè dovremo coordinare le iniziative con tutti
questi soggetti , così da utilizzare meglio i soldi e potremo ottenere migliori
risultati.
Dopo
le sue visite per diversi paesi, per esempio in Argentina , ¿lei sente che ha
potuto avere un contatto diretto con i cittadini italiani, nel senso di sentire
gente che non sia parte della rappresentazione politica e diplomatica locale?
F.D: Non è
che da solo possa incontrare 600 mila italiani che vivono solo in
Argentina, le strutture sono strutture che servono allo Stato italiano e
che forniscono servizi per gli italiani…. le informazioni su quello che succede
c'e l`ho e poi penso di ritornare in Argentina presto. Il tema è che io
devo fare il Ministro, anche se quello che lei dice sui connazionali è vero,
bisogna sempre in giusta dose parlare con loro in maniera diretta e poi
riuscire a fare il lavoro istituzionale.
Quale
è la "fotografia" che si è portata vìa dall' Argentina, quest'ultima
volta?
F.D: Argentina è una realtà che conosco
molto bene da tempo. E' una comunità molto interessante che ha vissuto una
situazione di crisi economica , e soprattutto di prospettiva di paese e mi pare
che in questi tempi sia in fase di soluzione , di uscita da questa crisi,
quindi ho visto una comunità un po’ più fiduciosa nel futuro rispetto a
quella che ho conosciuto alcuni anni fa.
A livello
politico io mi sono incontrato con
Lei
pensa che con quest' importante avvicinamento al potere argentino, il
Presidente Kirchner tornerà indietro rispetto alla sua decisione di non
riaprire il dialogo con i "bond people" italiani?
F.D : La questione dei bondsti è una
questione che ha responsabilità dei precedenti governi argentini, del
Fondo monetario internazionale, anche dal sistema bancario italiano. Quindi
sono responsabilità diverse e condivise. Comunque io non sono nella testa del
Presidente Kirchner. Certamente gli investimenti in bond argentini erano
investimenti che hanno interessato un gran numero di cittadini non solo
italiani anche tedeschi e di altri nazionalità perchè c'erano tasse di
interesse straordinario, dal 15%. Allora, se qualcuno mi prospetta un tasso d'
interesse straordinario forse qualcosa rispetto al mercato generale , dovrebbe
darmi da pensare…
Ma il campo
degli investimenti di natura industriali e produttiva è un campo diverso a
quello dei bond, di natura finanziaria. In questo settore d'investimenti
industriali quello che serve è un sistema di regole , di norme che garantiscono
l' investimento.
Le
propongo un altro tema, che preoccupa al governo italiano ed è quello della
situazione degli italiani rapiti in Nigeria, cosa si sa di questo caso
F.D:
Anche
il Venezuela è un paese dove reiteratamente spariscono italiani che sono
sequestrati..¿C'è una iniziativa specifica per combattere queste situazioni?
F.D: Ci sono molte iniziative
ed io sono stato in Venezuela poco tempo fa, dove ho
incontrato la comunità italiana, le autorità venezuelane , i parenti dei
connazionali sequestrati e anche di quelli che sono stati uccisi. Personalmente
ho fatto una missione apposita . Abbiamo in Venezuela alcune unità della
polizia italiana, esperti in pratiche contro il sequestro di persona che
lavorano in collaborazione con la polizia venezuelana e abbiamo assunto
l'impegno di addestrare a Roma da parte dal Ministero dell' Interno italiano ,
20 funzionari di polizia venezuelana in materia di sequestro di persona.
Abbiamo poi espresso la disponibilità di procedere nell' addestramento in
Venezuela in modo da coinvolgere un modo ancora più amplio di polizia
venezuelana addestrata. Distribuiremo fra non molto un CD ai nostri
connazionali con misure di prevenzione da adottare per evitare queste
situazioni, che riguarda i cittadini italiani ma anche tedeschi , cinesi,..etc.
Sembra
però che c'è
un
interesse particolare da parti dei delinquenti verso gli italiani …
F.D: Non c'è un interesse particolare
sugli italiani, le posso garantire che l'interesse è su tutti coloro verso i
quale si può chiedere qualcosa in termini di riscatto. Questo vale per gli
italiani, cinesi , tedeschi e per gli stessi venezuelani. E' chiaro che noi
abbiamo il dato degli italiani perchè appena c'è un sequestro de un italiano
nel mondo, tutti i giornali italiani e la televisione ne parlano. Invece
quando ci sono sequestri di cinesi, o americani o dei venezuelani, cosa
che avvieni più o meno ogni giorno , i giornali italiani, la televisione
italiana non parlano di questo, mi pare evidente.
Come
uomo impegnato con i diritti umani violati nelle dittature militari,¿ cosa ne
pensa del caso mondialmente noto dalla situazione dell' ex Presidente
argentina Isabel Perón, nel passato legata anche alla P2 italiana…?
F.D: La magistratura deve fare il suo
lavoro , quindi se ci sono elementi che portano i magistrati a e mettere un
ordine di cattura o iniziare un procedimento penale che vada avanti, questo è
parte dal suo principio d' indipendenza e autonomia di potere. Sul piano
più generale ovviamente la politica deve mettere in condizione la
magistratura e la società civile e gli organi d'informazione
di riconoscere anche in maniera retrospettiva che è stato un periodo di dittatura
, cosa ha significato la scomparsa di decine di migliaia di giovani sopra
tutto, quali sono stati gli interessi occulti tra P2 e il potere
istituzionale, quindi alla politica spetta il compito di dare risposta in
termini di leggi, strumenti però anche di memoria storica.
Il
giudizio sui genocidi argentini che si dà in Italia è un processo interessante
però dopo bisogna riuscire ad ottenere
la estradizione dei condannati, una situazione che poche volte si dà…
F.D: E' evidente , questo è un problema
che conosciamo bene. In questo nuovo processo, sempre qui a Roma ,denominato
ELMA cercando la giustizia sulla scomparsa di cittadini italiani , noi
chiediamo al governo argentino l'estradizione poi , in base alle legge che
disciplinano il caso o i casi, L'Argentina deciderà se adottare le
decisioni necessarie. E' importate fare l'accertamento giudiziale,
l' accertamento della verità e l'erogazione di sanzioni penali.
In
questi giorni in Italia , si sta parlando di anti-americanismo, questione che
il governo nega però, mi piacerebbe sapere una sua opinione come Vice Ministro
degli italiani all' estero..
F.D: Vero che non c'è una continuità
con la politica estera di Berlusconi, c'è una profonda discontinuità nel senso
che noi abbiamo una visione diversa sulla politica estera rispetto a quella
manifestata per Berlusconi. Noi siamo per il multilateralismo, per le
Nazioni Unite e invece non siamo per le iniziative unilaterali, questi sono evidenti
elementi di discontinuità della politica di Berlusconi. Abbiamo ottimi rapporti
con gli Stati Uniti d'America sulla base di un concetto di parità di rapporti.
Come ha detto Prodi questi giorni, rispetto agli attacchi di Berlusconi, “noi
abbiamo dignità nazionale".
BALLETS
RUSSES
di Alessia Della Casa
La
mia esperienza segue la strada che ha tracciato
Attualmente
ho la grande fortuna di essere immersa in questo affascinante e intramontabile
mito potendo proprio studiare balletto in Lettonia, a Riga. Quante volte mi è
stato chiesto “dove studi ora?” e alla risposta “A Riga, Lettonia” è seguita
spontanea l’esclamazione “E che ci fai lassù!?!”, comprensibile! Infatti oggi è
il percorso inverso ad essere molto trafficato, dall’est verso l’Italia, ma
avventurieri volti a est, pochi!!
Tuttavia si tratta di un’esperienza estremamente interessante, e sotto
l’aspetto artistico che mi riguarda, e sotto l’aspetto puramente umano,
sociale. A questo proposito sono dell’opinione che a molti farebbe bene
un’esperienza di questo tipo!
Senza
nulla togliere alle accademie e ai grandi teatri del resto del mondo, vorrei
porre l’accento sull’idealizzazione del balletto russo, dopo aver trovato
personalmente conferma del notevole talento presente.
Non
saprei dire con precisione cosa agevolò all’interno dell’unione sovietica un
tale sviluppo della tecnica del balletto, ma certo è che vivendo qui ci si
rende conto di come la predisposizione artistica sia fortemente radicata nella
tradizione e nella cultura. Chissà se proprio il disagio, le difficoltà che la
storia ha portato in questa terra, sono all’origine di un bisogno di
comunicazione, di espressione di sé, di libertà.
Tutto
questo, unito ad una estrema devozione per la tecnica, a una precisione e a un
rigore nel seguire le “leggi” che essa impone, sembra quasi far parte della
mentalità quotidiana locale.
Uno
dei principi sui quali
Parliamo
di un’arte tanto incantevole quanto difficile, proprio perché basata su schemi
molto rigidi, dunque il lavoro del corpo deve essere intransigente e costante.
Il
talento sta sia nella costituzione fisica, che deve essere adattata fin dalla
giovane età alle posizioni basilari, dalle quali poi si svilupperanno tutti i
passi più difficili, il corpo infatti deve crescere con la tecnica, nella
tecnica; sia nella personalità, che deve essere disposta a sacrifici e rinunce,
e deve saper guidare il corpo in armonia.
Nel
complesso il movimento deve venir assimilato tramite un istinto,
“un’intelligenza motoria” per così dire, che crea
Tanto
complesse e irremovibili sono le regole di quest’Arte, che il lavoro sembra
quasi vertere ad un’utopia alla quale non si deve smettere di aspirare, per
poter raggiungere un titolo sublime.
L’affermazione
di un metodo eccellente nella scuola russa, ha comportato una profonda
dedizione da parte delle compagnie per i grandi classici del balletto, che –
richiedendo grande tecnica – danno voce e onore all’innato talento. Dunque si
può ritenere che tale precisione e pulizia, in performance come “Il Lago dei
Cigni” e “
Non
posso che consigliare a chiunque si trovi, o si troverà in Russia, Lettonia o
in qualsiasi paese dell’est europeo, di non perdere l’occasione di andare a
teatro, a toccare con mano - o a sentire col cuore - quello che io in queste
righe ho cercato di far emergere, ma che non sarà mai possibile spiegare in
modo esaustivo, se non con la forza e con la voce della Danza stessa!
“LA MORRA” TORNA DI MODA.
In Basilicata attivissima
l’Associazione sportiva dilettantistica “Giochiamo insieme la morra”
di Paola Saraceno
L’antico e colorito gioco della morra sembra
proprio essere tornato di moda in Basilicata.
Forte del successo registrato la scorsa estate in
occasione del I° torneo regionale Gioco Sportivo della Morra, la neonata
associazione sportiva dilettantistica lucana “Giochiamo Insieme la Morra”,
affiliata CONI-FIGeST (Federazione
Italiana Giochi e Sport Tradizionali), continua ad riscuotere consensi.
“La morra, oggi disciplina sportiva, è un gioco
popolare, ben noto già nell’antichità a Romani, Greci, Egiziani, che richiede
grande abilità, doti di psicologia ed analisi rapida degli errori o delle
ripetitività dell’avversario, per riuscire a colpirlo nei punti deboli – ci
spiega Vincenzo Carriero, presidente dell’Associazione. Giocare alla morra può
sembrare una cosa facile ed invece riuscire ad aprire il numero di dita che si
sta pensando e chiamare il numero corretto non è per niente semplice. Ci vuole molta concentrazione e soprattutto
molto allenamento”.
Così stanno tornando a fronteggiarsi nei bar e nelle
case del Vulture, del senisese, del materano, del lagongrese-pollino, della
valle dell’Agri, giocatori agguerriti, circondati da tanti curiosi ed
appassionati che supportano i propri beniamini con un tifo “da osteria”. Ci si allena per riuscire a battere i
campioni in carica: Raffaele Azzato e Michele Varallo di Marsico Nuovo, Donato
Zaccagnino (Sant’Ilario di Atella) e Carmine Pace (Torino), Vito Vaccaro di
Monticchio ed Antonio Colangelo di Atella.
Poche regole ma chiare.
Le mani devono essere ben visibili sia ai giocatori
che agli arbitri, e non è possibile cambiare il punteggio una volta che la mano
è stata stesa. Vince la partita chi per primo totalizza il numero dei punti stabilito
prima di dare inizio alla gara (in genere 16 o 21 punti).
L'incontro prevede una partita, la rivincita e
l’eventuale “bella” (cioè uno spareggio in caso di parità).
Per vincere l'incontro bisogna aggiudicarsi due
partite su tre. Possono essere giocate partite tra due soli contendenti oppure
tra due squadre, ciascuna formata da due giocatori: i primi due danno inizio
alla partita; chi guadagna il punto sfida il secondo avversario, fino a quando
è in grado di tenere la mano.
Mano sinistra dietro la schiena a segnare il numero
dei punti conquistati.
Per giocare alla morra occorrono esperienza e
grande concentrazione, soprattutto se ci si vuole misurare nei tornei.
Provare per credere, soprattutto per riscoprire un
antico gioco che fa parte della nostra cultura e delle nostre tradizioni.
NELLA CUCINA DEL MONDO
Raffaele Miraglia
In vita mia
ho fatto solo una volta un viaggio organizzato.
Avevamo a
disposizione otto giorni ed erano pochi per muoversi in modo indipendente nel
Mali. Scegliemmo un tour operator che sembrava affidabile e io e Rosella ci
trovammo con altre cinque persone, tutti intruppati in due jeep che da Bamako
sarebbero giunte fino alla falesia dei Dogon prima di far ritorno (non senza il
classico giorno di navigazione lungo il Niger).
Il Mali è
meraviglioso, ma ...
Del perché
non sono adatto al viaggio nonfaidate
e del perché, però, amo quelli organizzati di un giorno o due in paesi
“esotici”, purché costruiti a uso e consumo dei turisti locali, magari scriverò
un’altra volta.
Qui vi dico
solo che ho imparato e scoperto sulla cucina cinese cose che mai avrei creduto
durante un viaggio organizzato di una giornata “Datong – grotte buddhiste di
Yungang – tempio di Hanging – Datong” rigorosamente destinato a turisti cinesi,
che trovarono in me e Rosella un’ulteriore attrazione fuori programma e
catalogo.
Ma,
torniamo nel Mali e a quel viaggio organizzato.
La terza
sera due nostre intraprendenti compagne di viaggio corruppero il cuoco
dell’albergo, che portò personalmente a tavola una zuppa di miglio dal buon
sapore tipico locale (vi dirò che la trovammo superiore alle aspettative). La
nostra guida (un maliano) guardò esterrefatto il piatto e chiese al cuoco se
era diventato matto. Il cuoco spiegò che la colpa era nostra e la guida indagò.
Non poteva credere che preferivamo mangiare quella zuppa piuttosto che la
solita minestra da “cucina internazionale”.
Questo
episodio e i racconti di chi (compreso il direttore di questo mensile) usa
viaggi organizzati mi hanno convinto che sono molto fortunato ad avere scelto
il fai da te. E’ così che ho scoperto piatti e cucine meravigliosi.
Non posso
dire di aver girato il mondo, ma una serie di paesi li ho visitati. Quando mi è
venuta l’idea di scrivere queste righe, ho ripassato mentalmente i paesi non
europei nei quali ho messo piede una o più volte e ho scoperto che ammontano al
numero di ventitre. Se poi considerate che ci sono paesi come
Ho mangiato
la carne di cane ad Hanoi, uno spiedino di scarafaggi a Bangkok (durante il
capodanno cinese), il tepezquintle in Guatemala, la zuppa di nidi di rondine.
Non sono riuscito a mangiare il pipistrello nel Borneo.
Sinceramente,
non sono questi i piatti che fanno la differenza, anche se la zuppa di nidi di
rondine merita una menzione.
La
differenza la fanno gli ingredienti, la capacità di combinarli, la capacità di
cucinarli in modo vario. La differenza la fa il fatto che in Cina o in India
potete mangiare con soddisfazione per mesi senza mai replicare lo stesso
piatto. Se è vero (ed è vero) che i
portoghesi
hanno 365 ricette diverse per il baccalà e noi italiani ne abbiamo molte di più
per condire la pasta, provate a pensare ad un cinese che mangia una volta
all’anno gli involtini primavera (quelli buoni) e che negli altri 364 giorni
mangia un antipasto diverso.
Se devo
fare una classifica personale della cucina non europea che ho gustato, in testa
ce ne metto una che considero da boutique. E’ quella vietnamita. Evitate
quella imperiale di Hue, tutta apparenza decadente, e immergetevi nel resto.
Dal cha ca di Hanoi, al cau lao e le rose bianche di Hoi
An, al pho bo di Ho Chi Min City, passando per gli onnipresenti chao
tom (pasta piccante di gamberetti che viene avvolta attorno alla canna da
zucchero e cucinata alla griglia). Se solo potessi passare una volta al mese il
sabato sera in quel ristorante che dico io a Ho Chi Min City!
I
vietnamiti sono anche unici nell’aver adottato un cibo dei colonizzatori (la baguette) e averlo riempito di
splendori.
Poi, non
c’è dubbio, vengono le cucine cinesi e indiane.
L’anatra
laccata mangiata in un buon ristorante di Pechino è un’esperienza
indimenticabile, come un vero tandoori
mangiato nell’India del nord ovest. E, soprattutto, è la varietà che colpisce.
Ho lasciato il cuore da Niros, ristorante di Jaipur, dove sono tornato
almeno tre volte anche se non servivano alcolici, i piatti di Gaylord di
New Delhi per il mio quarantesimo compleanno difficilmente me li posso
dimenticare e un thali come si deve nel Gujarat ve lo portate con voi
nella memoria . Persino quel pesce alla griglia del Santana (già il nome
indica il tipo di turista seduto al tavolo) sulla spiaggia di Kovalam Beach non
era poi da disprezzare.
Non vi
tedierò con la cucina cinese (quella vera, non quella del 99,9% dei ristoranti
cinesi in Italia), ma vi dirò che anche in cucine che reputo “non alla stessa
altezza” si trovano piatti decisamente indimenticabili.
Provate a
mettere sotto i denti quei minuscoli pezzettini di carne di pollo che stanno
galleggiando nel latte di cocco in un buon ristorante di Bangkok e poi mi
direte. Oppure, sempre lì, provate dei gamberoni nei glass noodles e
chiedevi cosa saranno quelle erbette che, con ogni evidenza, rendono il tutto
così unico. Di sicuro non le stesse che
trasformano l’impepata di cozze in un’esperienza afrodisiaca (qui, lo si vede,
giocano un ruolo sostanziale le alghe).
Oppure
andate in Indonesia. Dimenticate il triste Nasi Goreng e dedicatevi a
quella ventina di ciottoline che vi dispongono sul tavolo nella zona di Padang.
Sono sicuro che troverete, tra l’altro, quelle piccolissime anguille di risaia,
quasi bruciate, una leccornia.
Ché dire
dei piatti Shan della Birmania? Che persino nel più famoso dei fast food
Shan di Yangoon - dove servono esclusivamente tagliolini a studenti e
impiegati e dove, non dico un menù in inglese, ma persino un tovagliolo di
carta è un miraggio - vi sembrerà di essere al San Domenico di Imola (se non
badate al servizio). Se poi arrivate tra gli Shan, allora ...
Se non
fosse una evidente forzatura, mi spingerei a dire che si mangia bene persino
nei ristoranti gestiti da mussulmani nel Tibet, uno dei paesi, insieme al Nepal
e al Perù, meno gradevoli per un gourmet (amo gli eufemismi). Ma, mentre scrivo
questa considerazione, mi viene in mente che a Shigatse abbiamo mangiato una
salsiccia di pecora e riso che ci ha lasciato stupefatti. E che il the al burro
di yak, se dimenticate la fuorviante parola the e le allarmanti descrizioni
contenute nelle guide turistiche (C’è una sola cosa peggiore del the al
burro di yak caldo, il the al burro di yak freddo!”), non è poi così male.
Lo yak, invece, lasciatelo vivere!
Ci sono poi
piatti inaspettati.
In ordine
di apparizione, i primi due nella mia classifica personale.
Aden (Yemen).
Il nostro driver
è la prima volta che ci va (hanno appena riunificato il nord e il sud dello
Yemen), ma il driver di una coppia francese non solo parla italiano, non
solo conosce Aden, ma è anche libero, perché i suoi clienti vogliono rimanere
in albergo. Noi vorremmo andare in un ristorante libanese, ma lui ci convince.
Andiamo al porto. Le signore rimangono fuori e noi entriamo nelle cucine dei
“ristorantini”. Lui apre i frigoriferi e guarda il pesce. Al quarto decide che
sì, quello è quello giusto. Sul tavolo, in onore di noi occidentali, vengono
posizionati dei fogli di giornale. Poi arrivano degli enormi pesci (tipo San
Pietro), cotti nel tipico forno yemenita e cosparsi di chissà quali spezie ....
e ora adagiati su quei fogli di giornale. Peccato che la birra l’abbiamo potuta
bere solo più tardi in albergo, servita in bottiglie rigorosamente prive di
etichette (ipocrisia mussulmana o contenimento del rischio da parte
dell’albergatore laico e interessato al dollaro?).
Badami (India).
Per la
sistemazione alberghiera non esistono alternative praticabili. Tra il materasso
e il sottofondo di legno piccoli animaletti neri si aggirano. Fatta
pulizia,
convinco Rosella che non si trattava di scarafaggi. E’ sera, la guida non
indica ristoranti degni di nota e così ci fermiamo in quello dell’albergo. Nel
menù ci attira un nome sconosciuto Chicken Maraja. Proviamo? Proviamo! Quando mettiamo in bocca
il primo boccone non crediamo alle nostre papille gustative.
Se queste
righe hanno stuzzicato in voi un pò di curiosità, vi consiglio di continuare
più piacevolmente la lettura passando al libro Il viaggio di un cuoco di
Anthony Bourdain (Feltrinelli editore), un viaggio intercontinentale - molto
spesso esilarante – alla ricerca del cibo eccelso, perfetto, o quasi.
Se leggendo
di cani, scarafaggi o pipistrelli, avete avuto un moto di ripulsa e vi è
scattata la tipica sindrome da tabù alimentare, cercate di superarla leggendo Nel giardino del diavolo – Storia lussuriosa
dei cibi proibiti di Stewart Lee Allen (Feltrinelli Editore) oppure
divertitevi a leggere le ricette pubblicate in http://www.bertc.com/recipes.htm
Agli
intrepidi, con l’acquolina in bocca, che vorranno sfidare il destino, evitando
però le fantasmagoriche ricette di Cucinare con il Fernet Branca di
James Hamilton-Paterson (edizioni E/O), un inglese che prende in giro i suoi
compatrioti persi per
Un
avvertimento: spesso si possono adattare o cambiare alcuni ingredienti (per
esempio, in questo caso, la coda e lo stinco di bue possono essere sostituiti
da normale carne da brodo), ma se provate a cucinare un pho bo senza
usare l’anice stellato, è come se tentaste di fare un il pesto senza usare il
basilico.
Tratto e
tradotto da Homestyle Vietnamese Cooking di Nongkran Daks e Alexandra
Greeley ecco il mio ...
Ingredienti:
a)
due
cipolle non sbucciate, tagliate a metà, con otto chiodi di garofano insertati;
b)
tre
scalogni non sbucciati;
c)
cinque
cm di zenzero non sbucciato;
d)
tre
litri di acqua;
e)
due
chili di coda di bue;
f)
un
chilo di stinco di bue;
g)
due
pezzi di stelle di anice;
h)
tre
cm di cannella;
i)
un
cucchiaino di pepe in grani schiacciati;
j)
un
cucchiaio da tavola di sale;
k)
450
gr di vermicelli di riso;
l)
60
ml di salsa di pesce;
m)
450 gr di controfiletto o di lombata di manzo;
n)
due
grandi cipolle affettate;
o)
450
gr di germogli di soia;
p)
due
lime o limoni,
q)
quattro
peperoncini;
r)
sei
rametti di coriandolo fresco;
s)
settanta
gr. di foglie di basilico thai.
e)
e f) possono essere sostituti da carne da brodo
IL MOMENTO DELL’INFLUENZA DEI FARNESE: UN BREVE E MENO NOTO PERIODO NEL PERCORSO DELLA PITTURA BOLOGNESE DEL ‘500
di
Camillo Tarozzi
Indagine sulla
grande pittura di maniera e sui precedenti della pittura di controriforma: il
respiro europeo di Bologna
Può
essere interessante per la storia della pittura a Bologna fare un sia pur breve
cenno ad alcune testimonianze della nostra città che, risalenti ad un periodo complesso (e forse un poco ingrato
per gli studenti che si avventurano in un ginepraio), costituiscono espressione
di un momento artistico ancora oggi non molto analizzato, anche perché
contemporaneamente accompagnato dalla massiccia occupazione di terreno da parte
della figura imperiosa di Pellegrino Tibaldi e di lì a poco dalle imposizioni
codificate della controriforma.
La
stilizzazione estrema dei modelli del vecchio Michelangelo e gli influssi
inarrestabili della genialità del Parmigianino fecero vivere anche a Bologna un breve momento di
quella cultura romana che nel giro di pochi anni aveva invaso l’Europa intera.
La particolare situazione bolognese
di questo breve intermezzo viene caratterizzata dalla compresenza di due anime
riconoscibili: esse si nutrono di forme tradotte nelle opere di palazzi e
chiese dall’impatto con quella cultura di provenienza romana che doveva creare sorpresa nei centri
periferici dello Stato della Chiesa, di cui ‘Felsina’ era la ‘capitale’ più
settentrionale.
Castel Sant’Angelo, Caprarola, i
saloni dei Farnese sono esempi che in tempo (quasi) reale trasmettono valori
estetici che di lì a poco avranno più ampia diffusione.
Il manierismo ‘di eccesso’, quel
disegno tirato e ritorto che solo un Rosso, un Primaticcio o un Niccolò
dell’Abate avevano potuto inventare, diventò padrone del campo a Bologna solo
per quel breve momento in cui Pellegrino Tibaldi andò a dipingere in Spagna e
l’influenza vasariana sul fare di Prospero Fontana non aveva ancora tolto al
maestro bolognese quei segni di stile giocati sui suoi primi studi nel cantiere
romano di Castel Sant’Angelo.
Appare
quindi nel centro della più importante sede legatizia dello Stato della Chiesa
un miracolo di pittura straordinario per precocità: un felice momento che
unisce pochi capolavori sopravvissuti. Restano a testimoniarne la grandezza
almeno due dipinti murali quasi ignorati, anche se conosciuti dalla critica più
attenta: due complessi in cui anche la scelta tecnica degli artisti, volta ad
ottenere effetti certamente voluti ma di difficile conservazione, ha portato
nel tempo, accanto all’abbandono e all’azione degli agenti atmosferici, a gravi
effetti negativi, che hanno portato a rendere difficilmente decifrabili molte
figure. Situazione non certo aiutata dai passati interventi di restauro. La
prima delle due testimonianze è una grande lunetta affrescata nella cappella
cosiddetta delle Confessioni sulla sinistra della navata di San Domenico in
Bologna, che Diane de Grazia attribuirà direttamente alla mano di Francesco
Mirola collaboratore ed emulo di Jacopo Zanguidi detto il Bertoja, estroso ed
affilato maestro parmense al seguito dei
Farnese. Egli era documentato a Bologna
in questa chiesa, ove fra l’altro sembra abbia lasciato anche dipinti
recentemente riscoperti nei vani del sottotetto ora racchiusi dalle modifiche
architettoniche portate dal Dotti alla Basilica.
La
seconda è costituita dal ciclo che decora le vele della cappella
Gozzadini in Santa Maria dei Servi con una serie di figure in cui va notata la
straordinaria contorsione, resa con un’abilità di disegno che a quei tempi- i
primi anni cinquanta del ‘500- mancava persino ai più rigorosi seguaci del
Parmigianino nella stessa Parma. Questo ciclo, sia pur con qualche riserva,
viene attribuito allo stesso Francesco Mirola, figura di artista tutto sommato
poco nota, che invece si rivela come una delle personalità emergenti nel più
alto panorama figurativo del secolo XVI in Emilia. Documentato come maestro
bolognese a Parma, egli gode a Bologna
di una gloriosa attribuzione, il Ratto delle Sabine (con una strepitosa
battaglia di cavalli) che si conserva
oggi nelle Collezioni Comunali d’Arte in Palazzo d’Accursio: un dipinto
ad olio su tela che manifesta i caratteri della pittura ispirata a Nicolò
dell’Abate con accenti di squisita modernità. L’intuizione che viene dalla
conoscenza dei disegni del periodo ha consentito l’accostamento al nome di
Francesco Mirola non solo come riferimento
di comodo ma per la manifesta somiglianza di un gran numero di
particolari in pitture murali
appartenente al gruppo di artisti bolognesi ( Ercole e Paganino Pio, ecc.) al
servizio dei Farnese in San Giovanni e nei palazzi di corte a Parma.
Breve il periodo, perché le novità
in sviluppo a Bologna sono in crescita
nelle botteghe dei già affermati maestri
che da lì a breve contenderanno il primato nel campo della pittura ai Carracci.
.
BREVE
STORIA DI MORMANNO (prima parte)
di Luigi Paternostro
La storia di Mormanno non ha fatti
d’armi o rivoluzioni culturali tali da aver determinato un percorso di vita
originale.
L’etnia, pur antica, si è trovata
inserita in un contesto la cui evoluzione è stata lentissima per il suo
isolamento.
Non si ha notizia fino a tutto il
1600 di presenza di uomini di azione. I più rappresentativi, dati i tempi,
erano legati al potere dominante o ne facevano parte. Si ignorano pure studiosi
o letterati di questo periodo.
Bisogna arrivare al 1700 per
trovarne qualcuno[1],
e al 1800 per incontrarne altri[2].
Tutti hanno prodotto comunque opere
poco significative. Sono brevi studi di
reminiscenza classica, appena divulgati in cerchie strettissime, scritti per lo
più per personale diletto o per omaggiare i potenti del tempo.
Sono invece apprezzabili alcune
ricerche più approfondite che anche oggi meritano attenzione[3].
Solo la presenza operativa della
chiesa e di tanti sacerdoti mormannesi[4]
ha contribuito ad elevare il tono culturale della cittadina.
Nella seconda metà del XIX secolo la
caduta del Regno di Napoli e l’avvento di quello d’Italia cambiò completamente
il corso degli eventi ma non quello
della vita del popolo.
Alla sua rinascita opponeva
resistenza quella classe politica detronizzata e destinata a scomparire non
rassegnata dalla perdita dei privilegi. Anche la chiesa locale, che avrebbe
potuto trarre dalla Rerum Novarum motivi per sollecitare il popolo alla
partecipazione della vita sociale, qui, a Mormanno, si trovò meno preparata che
altrove.
Per quanto riguarda la storia di
Mormanno nel periodo che va dal 1850 al 1900 pochi sono gli atti che attestano
cosa avvenne nei vari settori del progresso civile che andava riorganizzandosi
alla luce della nuova legislazione a carattere nazionale. Si ha solo la
documentata fondazione di un’Accademia culturale La Società Filomatica[5]
e l’avvio ad una industrializzazione[6]. A frenare lo sviluppo pensò prima la grande
guerra, poi il ventennio fascista.
Molte sono state le difficoltà e
difficile il cammino per superarle.
Per quanto riguarda le fonti della
presente ricerca mi sono avvalso solo di quelle che ho potuto documentare
e soprattutto dei fatti legati alla mia
esperienza.
*********************
La
nascita di Mormanno, non sicuramente documentabile[7],
risalirebbe secondo molti studiosi locali, alla venuta dei longobardi, e cioè alla
fine del IX secolo[8].
Il
nome potrebbe aver avuto origine dal personale germanico Marimannus o
Merimannus[9].
Potrebbe anche riferirsi alla
presenza di militari germanici, gli arimanni, prima aggregati
all’esercito longobardo e poi usati come mercenari ai quali il Principe di
Salerno e Capua avrebbe concesso un territorio compreso tra il gastaldato di
Laino e la rocca di Papasidero detto appunto mons aimannorum[10].
Il
toponimo Muromannas,
Muromannas, figura
in un testo redatto in lingua greca dell’anno 1092[11].
In
un documento datato 3 dicembre 1101
appare per la prima volta il nome di terram Miromanum. Trattasi
di una donazione
fatta da tale Ugo o Ugone di Chiaromonte, feudatario d’origine francese
dell’omonimo paese lucano[12]
e vassallo del ricordato Principato di Salerno e Capua, al vescovo Sasso o
Sassone, di Cassano allo Jonio[13]
nella cui giurisdizione ricadeva appunto il centro abitato.
Nel
Nel
Nel
1195 un certo Pietro chiede ad Ilario, archimandrita del monastero di Carbone,
di ornare la chiesa di S. Caterina di Muromannas[15].
Nel
In
uno scritto della cancelleria Angioina[17]
datato 27 luglio 1304 si parla di “terra Miromagne”. Tale dizione si ritrova pure in una petizione rivolta al vescovo di
Cassano allo Jonio per riottenere il diritto di pascolo da parte de “li homini di Miromagne” sul territorio di Layno[18].
In
un atto della stessa cancelleria, volume 328, 16 marzo 1344, è menzionato
ancora il nome della cittadina alla quale si concedevano privilegi di natura
giudiziaria. “Pro universitate castri Miromagne ex Johanna ac regentibus
Curiam Viarie Regni Sicilie”[19].
Nel 1443, 13 marzo, la donazione di Ugo di
Chiaromonte fu confermata da Alfonso I d’Aragona che assegnava la giurisdizione civile al Vescovo di Cassano
e la criminale al Principe Sanseverino.
Nel 1443 e del
Su
di una pergamena che conteneva un contratto di compra vendita redatto da tale notaio
Francesco De Leone nell’anno 1555 ancora
in possesso nel 1800 del signor Alberto Genovesi, sottoscrivono sei testimoni
che dichiarano di essere di Miromagno[21].
In
questo stesso secolo si segnala, tra i documenti storici più significativi, un
verbale della consacrazione della chiesa parrocchiale in onore di Maria Vergine
Assunta fatta dal Vescovo pro tempore Giovan Battista Serbelloni, mercoldì 15
settembre 1568[22].
Questa
chiesa è pervenuta fino a noi ricca di
opere[23].
La
città fu governata poi dagli Orsini. Passò quindi, 1612, ai Sanseverino che ne
furono baroni .
Nel
1624 il feudo passa a tale Muzio Guaragna.
Francesco
Guaragna, suo erede, il 16 marzo del 1635, vende la baronia, per 16.000
ducati dell’epoca a Persio Tufarelli.
Il
4 aprile 1795 Filippo Tufarelli, suo
discendente, dopo 160 anni di gestione la cede al potere sovrano in cambio di
una pensione annua di 136 ducati.
Da
allora Mormanno seguì politicamente la storia del Regno di Napoli fino
all’avvento garibaldino per passare poi a far parte del Regno D’Italia.
1. continua
BIELORUSSIA,
MON AMOUR
di Elena Bebeshina
In questo articolo parleremo della gastronomia
bielorussa, cercando di confrontare due modi di mangiare, quello dei Bielorussi
e degli Italiani. E’ interessante sapere, che storicamente i prodotti piu’
preferiti e usati dal popolo bielorusso erano le verdure differenti (patate,
cavolo, cipolla, carote, barbabietola e piselli), la carne (la carne di pollo,
di oca, di maiale, particolarmente, il lardo), il pane nero (scuro, fatto dalla
segale), numerosi latticini, funghi e bacche di sottobosco. La gastronomia
moderna ha conservato quelle tradizioni, ma e’ anche diventata piu’ diversa.
Proviamo di descriverla dettagliatamente.
E’ opinione dei Bielorussi che la base del cibo
italiano e’ la pasta. Per noi sono le patate e il pane nero. Mangiamo il pane
nero quasi con tutti i piatti, sia i primi che i secondi, e molta gente
veramente non puo’ farne a meno. Ma, le patate hanno l’importanza anzi piu’
grande. Da noi si dice che le patate sono il secondo pane. Le nostre patate
sono buonissime e formano la maggior parte dei piatti nazionali. Si cucinano in
modi differenti. Si possono friggere sia da sole con un po’ di sale, sia con
una cipolla e delle carote, si possono lessare e usarle come un contorno, si
possono stufarle con la carne e cosi avere un piatto completo. Si possono fare
i pasticcini ripieni di carne, uova, funghi o cavolo, e cosi via. E le patate
cotte nel falò sono una parte integrante e attesissima di qualsiasi gita
turistica a piedi. Ci sono veramente
tantissime ricette del modo di cucinare le patate, elaborate dai bielorussi nel
corso della storia. Proprio non possiamo fare a meno delle patate! Sono il
nostro amore.
Un altro prodotto importante per i bielorussi e’ la
zuppa (“sup” come si dice in russo). Per noi e’ sempre il primo piatto, e
questo e’ la differenza maggiore tra i nostri popoli. “La zuppa” da noi e’ una
cosa assolutamente differente dalla vostra zuppa e anche dalla minestra. Noi
chiamiamo “la zuppa” il piatto che si compone di un brodo, fatto di solito di
pollo oppure carne di maiale o bovina. Dopo esser preparato, si aggiungono pezzetti di verdura (patate,
carote) e poi quello che uno vuole – un po’ la
pasta, o il riso, o i piselli e cosi via - dipende dal tipo particolare di
zuppa.
La zuppa può anche essere con i crauti e in questo caso
sarà acida. Facciamo anche la zuppa particolare che si chiama “borshch”. E’ la
zuppa rossa con una barbabietola e pasta di pomodoro. I Bielorussi mangiano la
zuppa ogni giorno di solito a pranzo come primo piatto. E’ interessante notare,
che l’assenza della zuppa e abbondanza di cibo solido creano un po’ di problemi
per la digestione dei nostri bimbi quando vengono in Italia, specialmente per
la prima volta.
Anche la nostra colazione e’ diversa. La maggior
parte della gente preferisce averla abbastanza nutriente e per questo motivo al
mattino si mangia bene. Si pensa in Bielorussia che la colazione deve essere il
secondo cibo nutriente dopo il pranzo. Il cibo più leggero deve essere la cena.
A differenza agli italiani, la nostra colazione tipica include non solo il
latte caldo o il te’ con dei biscotti o biscotti e marmellata, ma il piatto
pieno. Può essere, per esempio, la verdura con la carne, oppure uova
all'ostrica con il bacon, oppure la zuppa. Poiché siamo abituati a mangiare bene al mattino, è
un po’ difficile abituarci a mangiare poco quando veniamo in Italia.
Per gli Italiani i primi piatti possono essere la
pasta cucinata in modi differenti, ed e’
la cosa piu’ buona che abbia mangiato nella mia vita! Ma, noi bielorussi, non
sappiamo cucinare la pasta in modo giusto ed appropriato e, per questo motivo,
la usiamo come un contorno senza i sughi, al massimo il ketchup, con, per
esempio, la carne o il pollo, preparato diversamente. In generale, la carne può
essere fritta, stufata con le patate o
cavolo, infilata a cavolo, lessa, ma sempre saporita e buona.
E’ molto popolare anche il pollo fritto o fatto al
forno. Nella nostra cucina ci sono anche
polpette e costolette.
Quando sono venuta in Italia per la prima volta,
per me e’ stata una sorpresa scoprire che gli Italiani bevono tanto vino. Vi
siete abituati a berlo durante il pasto. Noi beviamo il vino o la vodka solo
quando abbiamo una festa, per esempio, il compleanno o Il capodanno. Questa
occasioni non accadono spesso durante l’anno. Per questo motivo bere bibite alcoliche per noi è qualcosa di normale in una festa. Ma,
anche il nostro vino non e’ di una qualità buona. Il vino italiano e’
buonissimo! Ma molta gente beve abbastanza birra, specialmente d’estate.
Durante il pasto beviamo un succo di frutta, l’acqua, oppure accompagniamo con
della frutta cotta, che da noi si chiama “campot”. Ma solo una piccola parte
della gente preferisce bere solo l’acqua, come fanno gli Italiani.
Per quanto riguarda il caffé, lo beviamo non forte
e solubile, in una tazza abbastanza grande, anche se dipende dal gusto e dalla
persona. Molte persone non bevono il caffè affatto, preferendo il te’.
In Bielorussia si mangiano tanto i latticini e
altri derivati dal latte (il burro, lo yogurt, il formaggio, panna acida e
moltissimi prodotti dal latte cagliato). Spesso si prepara il piatto che si
chiama “bliny” (frittella, come si dice in Italia), quando una pasta in stato
liquido si frigge in padella. Si possono mangiare con panna acida, oppure
infarcirli con le uova e la carne tagliata a pezzetti, o anche con caviale nero
o rosso (ma questo possono farlo solo le persone ricche).
Abbiamo anche molti piatti che si preparano spesso
per le feste ma non solo, e che
chiamiamo con una parola simile della vostra “insalata”: “salat”, che
significa una mescolanza di pezzetti di verdura, carne, uova e così via, con
maionese oppure l’olio. Per noi è molto gustosa, e tutte le casalinghe hanno le
loro ricette preferite. D’estate quasi tutti fanno il “salat” con i pomodori,
cetrioli, la cipolla e un po’ di aneto o prezzemolo con sale e l’olio di
girasole (o panna acida, dipende dal gusto).
Si puo’ anche aggiungere pezzetti di peperone, o cavolo
cappuccio.
In Bielorussia anche oggi molti prodotti si fanno
in casa, conservandoli per l’inverno. Anzi, in citta’ quasi tutti mettono i cetrioli e pomodori
sott'aceto, fanno la frutta cotta, d’inverno molti preparano i crauti. Nei
paesini la gente secca i funghi, li mettono sott’aceto, preparano le marmellate
e le confetture.
Per quanto riguarda la frutta, da noi costa molto, e la gente cerca di comprarla
per i bambini piccoli; gli adulti la
comprano non spesso, e solitamente per le feste. Nella maggior parte delle
case, la gente non può vantarsi di avere
la frutta ogni giorno in quantità sufficiente, fatta eccezione per le mele, che
abbondano, specialmente nei piccoli centri.
Purtroppo, non abbiamo frutti di mare e il pesce,
che vanno importati, e perciò costano. Per questo motivo non lo mangiamo
spesso. Ma, dopo il disastro di Chernobyl, dobbiamo mangiare i prodotti ricchi
di iodio, e l’unico di tali prodotti accessibile a tutti e’ la lattuga di mare.
Certo è che alla maggior parte dei bambini non piace la lattuga di mare da
sola. E, per questo, le mamme hanno inventato differenti “salat” di lattuga di
mare (significa che alla lattuga si aggiungono dei pezzetti di qualcosa con
abbondante maionese o olio per farla sentire meno).
Vorrei anche menzionare ancora qualche differenza
tra le nostre gastronomie.
I dolci più delicati sono in Italia: il gelato
italiano e’ buonissimo! Non posso ricordarlo senza che mi venga la voglia di
mangiarne uno! Anche il formaggio italiano e’ molto piu’ saporito e diverso. E’
molto piu’ buono dei nostri. Noi spesso lo usiamo per cuocere qualcosa al
forno, per esempio, la carne, i panini e cosi via.
In generale, si può dire che la gastronomia
italiana è il modo di mangiare mi sembra siano migliori, anche perchè avete
molta frutta, verdura, erbe, il pesce e i frutti di mare nelle quantità che
preferite e in piatti separati.
Certamente, e’ difficile descrivere la gastronomia
di un altro popolo. Bisogna proprio provarla! Venite da noi in Bielorussia: la
nostra gente ospitale vi offrirà tutti i nostri piatti tipici!
Per concludere, vorrei proporre una ricetta molto
semplice di un nostro piatto nazionale, molto amato da tutti. Si chiama
“dranichi”, e il nome deriva dal verbo “grattugiare”: per voi sarebbero
“gratuggi”. Abbiamo bisogno di 8 – 10 patate grandi, una presa di sale, 2- 3
cucchiai di farina e l’olio di girasole. Le patate vanno sbucciate, poi
grattugiate minutamente, si aggiunge sale e farina, tutto va mescolato bene e
immediatamente dobbiamo friggere con la padella ben riscaldata, perchè
altrimenti le patate diventano scure. Prendiamo la massa con un cucchiaio e
mettiamo nella padella facendo delle frittelle piccole, un cucchiaio: una
frittella, che tostiamo dai due lati. Gustiamo il tutto con la panna acida.
Buon appetito!
L’INCONOSCIBILE SIGNOR GURDJIEFF
di Francesco Aronne
Girovagando
su internet ho trovato un film del 1979, di Peter Brook che, credo, non è mai
uscito in Italia: “Meetings with Remarkable Men”. Sono riuscito a vederlo
(purtroppo in inglese) e la visione del film mi ha riportato indietro a molti
anni fa, quando mi imbattei per la prima volta nell’inconoscibile signor
Gurdjieff, autore del libro “Incontri con uomini straordinari” da cui il film è
tratto.
A metà degli
anni 80 giravo per le strade di Cosenza con due amici alla ricerca di alcuni
libri di botanica. Dopo le infruttuose ricerche uno dei due disse di conoscere
una libreria dove forse potevamo trovare i testi. Finimmo in un posto che era
proprio l’ultimo in cui cercare volumi di botanica. Fui comunque attratto da un
libro solitario su una mensola, illuminato da un raggio di sole che tagliava con
la sua lama di luce il buio tetro della stanza: “La nostra vita con il signor
Gurdjieff” dei coniugi De Hartmann.
Colsi il
segno, lo comprai e non fui pentito dell’acquisto, anzi la lettura del libro mi
appassionò; trovavo interessanti alcuni risvolti della rivoluzione di ottobre
non appartenenti alla storiografia ufficiale bolscevica o dei sostenitori del
deposto zar, ma raccontati dai protagonisti in un contesto di vicende private
in cui l’aspetto storico risultava marginale, tuttavia molto efficaci alla
comprensione di quanto accadde in quel tormentato periodo della storia russa.
Risvolti che ritrovai molto più tardi anche
in “Bestie,uomini e dei” di Ossendowski.
Poco dopo ho
letto il libro da cui è tratto il film. Incredibile resoconto di viaggi affascinanti
e forse anche inverosimili, di sicura e stimolante suggestione. Emozioni che
prorompono dal ricordo della figura paterna di umile ma dotto falegname e dei
suoi insegnamenti.
Il
personaggio Georges Ivanovič Gurdjieff, misterioso ed inquietante, per
molti maestro spirituale dalla personalità multiforme e sconcertante, per altri
filosofo, mistico, scrittore e maestro greco-armeno, mi incuriosì e da allora
ho continuato ad approfondire la sua storia ed il suo percorso.
Gurdjieff
nacque intorno al 1870 ad Alessandropoli, ai confini tra l’Armenia e
Con un
gruppo di amici (i cercatori di Verità), partecipa a varie spedizioni in Asia e
nella penisola Arabica alla ricerca di conoscenze e tradizioni di origine
remota (
Dalla
narrazione dei suoi viaggi si scoprono mondi lontanissimi ed echi di
civiltà per noi sepolte. Si possono con lui incontrare gli Yazidi (detti anche
adoratori del diavolo) che se chiusi in un cerchio tracciato sulla sabbia
non riescono
a liberarsi, monasteri dove viene custodita l’antica sapienza in amene ed
inaccessibili valli del Tibet o della Mongolia o di chissà quale altro Oriente
possibile o impossibile.
Vent’anni
dopo, nel 1912, Gurdjieff ritorna a Mosca presentando un nuovo insegnamento,
una via non religiosa verso l’evoluzione interiore dell’uomo. Intorno alla sua
scuola, grazie al magnetismo della sua
forte personalità ed alla energia contenuta dalle sue idee si aggregarono
diverse generazioni di discepoli. Il suo pensiero trovò una profonda eco nella
vita e nelle opere di Aldous Huxley, René Daumal, Alexander de Salzmann e sua
moglie Jeanne, Gorge Bernard Shaw, Frank Lloyd Wright, Pierre Schaeffer, T. De
Hartmann e sua moglie Olga, per citarne solo alcuni.
Tra i suoi
allievi importanza ebbe Peter Demianovich Ouspensky che raccolse i suoi
insegnamenti e parte delle sue conferenze in due testi che restano la difficile
ma fondamentale porta di accesso al suo pensiero: si tratta di “Frammenti di
un insegnamento sconosciuto” e di “La quarta via”. Interessante
anche “L’evoluzione interiore dell’uomo” e gli altri suoi scritti.
La lettura
di questi libri porta ad un sostanziale stravolgimento dei principi e delle
convinzioni che sono il motore per il divenire della vita di moltitudini di
esseri umani. L’impressione che assale il lettore autodidatta (distratto ma
difeso abbastanza per non lasciarsi ammaliare dalla nutrite schiere di
sedicenti maestri e guide spirituali, spesso fai da te, di cui pullula ogni
contrada del pianeta) è quella di percepire uno squarcio verticale che apre la
conoscenza verso orizzonti impensabili che invitano ad un viaggio al centro
dell’uomo.
Insegnamenti
di certo antichi, transitati per la piana di Gizah, nei templi di Heliopolis,
tra gli astronomi Caldei o tra i Sumèri che viaggiando per millenni sono giunti
fino a noi e trasformati ed adattati per l’uomo scaltro o meglio per
l’uomo moderno che attraverso la quarta via e la conoscenza e lo studio del
sé cura la sua evoluzione spirituale.
Qualcuno ha scritto che lo scopo di questo insegnamento è seminare una nuova
civiltà planetaria per l’ormai avviato terzo millennio, che sia sintesi
dell’incontro tra Oriente e Occidente e che poggia sulla consapevolezza che il
pianeta terra rischia la catastrofe e così l’uomo che ne sfrutta le risorse.
Sulle scia
di quelle letture, a metà degli anni 80, nel corso di un viaggio in Francia,
andai nei pressi di Fontainbleau a
visitare il castello del Prieuré di Avòn dove Gurdjieff aveva stabilito il suo quartier
generale fondandovi l’Istituto per lo sviluppo armonico dell’uomo. Le
suggestioni di quel luogo mi riportarono indietro nel tempo, sentii forte il
ricordo della triste vicenda di Katherine Mansfield che morì di
tubercolosi nell’ultima tappa del suo tragico peregrinare: era il gennaio del
1923 ed erano trascorsi appena tre mesi dal suo arrivo al Prieuré.
Qui si
svolgevano gli esercizi dei suoi allievi per la rappresentazione delle “Danze
sacre”. Il suo studio parigino era al Cafè de
Vi fu anche
una parentesi americana che partì da New York (1924) e dalle quale si sviluppò
una significativa corrente di suoi seguaci.
Pochi i suoi
libri: La trilogia All and Everithing composta da “I racconti di
Belzebù al suo piccolo nipote”, “Incontri con uomini straordinari”, “La vita è
reale solo quando ‘Io sono’ - Vedute sul mondo reale”. A questi si aggiunga
qualcuno scritto dai suoi allievi, consiglio agli interessati la lettura del
delizioso “la mia fanciullezza con Gurdjieff” di Fritz Peters.
La sintesi
della Quarta via non è altro che un sistema antico di idee ancora attuali, per
portare al risveglio della coscienza di ogni uomo. Passa per alcuni punti
cardine: Conosci te stesso, Osserva quello che non sei, Essere
te stesso (consapevolezza). L’uscita dal sonno attraverso la
consapevolezza del ricordo di sé. Sono idee e principi complessi che non
possono essere semplificati, ci perdonino gli estimatori, ma qui si è voluto
dare solo una sintesi estrema per consentire il lettore ignaro di avere una
idea del personaggio e fornire uno stimolo all’approfondimento dei suoi
insegnamenti.
L’infaticabile
viaggiatore Gurdjieff, ci ha condotto con i suoi cammini nel mondo reale, in
mondi fantastici, in mondi interiori. Ci ha fornito, sia pur ben occultate fra
le sue righe, le chiavi con cui ogni uomo che vuole scandagliare nelle
profondità della sua coscienza e “non sprecare il tempo che gli rimane”
può aprire la porta che sbarra la strada alla sua evoluzione. Dice il maestro
Franco Battiato in una sua canzone che “degna è la vita di colui che è
Sveglio, ma ancor di più di chi diventa Saggio…” e certo il percorso di
ricerca di un “Centro di gravità permanente”, afflizione di gran parte
dell’umanità, non può prescindere dalla conoscenza del sentiero tracciato
dall’inconoscibile e straordinario signor Gurdjieff.
di Nicola Perrelli
Sarebbe troppo banale fare semplicemente un elogio,a
chi, come Francesco M.T. Tarantino, ha scritto una gran quantità di poesie in
diverse occasioni di tempo,di luogo e di stato d’animo, ha pubblicato una raccolta e di recente è risultato 1° classificato, a
livello nazionale, del concorso poetico “Filippo Lo Giudice”, II edizione, con
la poesia inedita – Memoria altra -.
E’
vero la poesia vive per sé e vale per sé, ma quella di Tarantino è la voce
delle angosce e delle paure che sono in ognuno di noi.
Le
sue poesie vengono dall’anima, sono un giacimento di emozioni capaci di
richiamarne sempre altre. Alcune sono genuine e semplici, portatrici di sensazioni e pensieri diretti
perché partono dal vissuto e rivelano con immediatezza le tante delusioni che
inevitabilmente all’avventura umana si accompagnano. Altre invece sono
inafferrabili, talvolta imperscrutabili, tormentate come la sua vita, come egli
stesso sembra suggerire nei versi “ Vorrei
piangere stasera con lacrime nuove/In questa notte scura di sconcerto
dell’io/Ripercorrer le anime spente in ogni dove/Attraversarne il silenzio il
morire e l’oblio”-.
Le
rime dolcissime e toccanti della sua opera prima dal titolo “Cose mie” scoprono un uomo tormentano dalla sofferenza,
che in certi momenti gli appare
insopportabile, perché come priva di senso.
Solitudine , tristezza e angoscia
aleggiano ovunque, ma soprattutto nelle
liriche dove questi sentimenti per un
avvenimento ostile e importante come può essere la fine tragica di un amore, il
suo unico amore, diventano quasi
disperazione, una malattia
inguaribile. In molte poesie c’è il
riflesso di questi sentimenti , e il lettore l’avverte,ma è un riflesso
ingannevole, perchè, per forza di cose,
sempre lontano dal dolore veramente provato. Che l’autore ha deposto , come solo il dolore più profondo si adagia,
dentro l’ anima, impenetrabile.
Il
ricordo d’amore,di cui si è nutrito anche in assenza della persona reale,
riempie pagine e pagine e diviene elegia -
E voglio che nessun’altra donna più mi tocchi/E giammai alcun labbro sfiori il
mio/Possa il buio spegnere presto anche i miei occhi/Per ri-posarmi accanto a
te nel silenzio di Dio -.
La
sua poesia è un viaggio nell’anima. Un racconto in versi degli affetti e
dell’insostituibilità della persona amata. Un esempio di sensazioni profonde e
di inquietudini esistenziali che si accompagnano allo scorrere dei giorni. E’
una poesia carica di suggestioni di
grande effetto e di trascinante potenza
immaginativa. Attraversata da una grande sensibilità lirica. A volte estremista
e provocatoria. Pensiamo ai versi: Vita vissuta in cinquant’anni /Tra il fato
avverso e un’altra poesia/Nonostante i rantoli,il fumo e gli affanni/Brindo al
mio vivere ed al morire, brindo all’anarchia/.
Sono poesie da leggere molto attentamente. Solo
cosi è possibile scoprire nei testi,
spesso rivelanti episodi e momenti del mondo soggettivo dell’artista, i grandi
tesori che essi racchiudono. E coglierne
il messaggio sui dubbi e problemi
esistenziali.
“
Il mondo non è amico, è solo un porto, una sosta, uno spazio casuale. La poesia
ne è l’unico sollievo”. E il
Nostro ce l’ha trovato.
di Antonio Penzo
L’iniziazione
femminile avviene con l’insegnamento pratico delle mansioni che la donna assume
nella casa. Insegnamento che inizia fin dall’infanzia, lentamente, in quanto le
attività devono essere un fatto di vita comune - quasi naturali - e non
straordinario; ciò consente alla donna d’essere la vera padrona della casa.
Anche
la preparazione della sfoglia, che dopo il pane costituisce uno dei fattori
alimentari della famiglia, si sviluppa lentamente quasi impercettibilmente.
Sulla
madia è il tagliere, che viene grattato e spazzolato, al fine di eliminare
qualsiasi resto di precedente lavorazione o di sporcizia. Posto al centro di
esso un setaccio, si versa la farina di frumento, conservata nel sacco in
apposito mobile, e la si passa fino a formare una fontana della quantità voluta
e calcolando circa gr 100 di farina per ogni uovo. Aperto un buco al centro
della fontana, si rompono le uova, sgusciandole nel modo consueto – si batte
leggermente l’uovo, nel punto centrale, su di uno spigolo in modo di provocare
una rottura lineare del guscio e prendendolo in mano si mettono le unghie dei
pollici nella fessura e si apre l’uovo facendo cadere il contenuto nel buco
della farina. Con una forchetta si rompono le uova e lentamente si mescola
l’uovo alla farina, facendo attenzione a non rompere l’argine della farina,
evitando così di disperdere l’albume o il tuorlo sul tagliere. Operando piano
piano si amalgama la farina alle uova e l’impasto si raddensa. La mano esperta
si accorge se la densità è quella giusta, correggendo aggiungendo un albume o
un uovo se duro o aggiungendo farina se tenero.
Così
lavorando e solamente a mano, in quanto il calore delle mani e il movimento
delle dita permette di assorbire aria. Il movimento della mano - le dita che si
alzano e il palmo che spinge in avanti, senza schiacciare – deve essere
armonico, come armonico deve essere il giramento della pasta ogni volta. Ciò consente alla pasta di essere morbida ed
elastica e di non attaccarsi al tagliere. Le dita avvertono la morbidezza e
l’elasticità della pagnotta che si va formando, cosiccome si avvertono le bollicine
di aria che si formano nella lavorazione e la cui presenza, denotata anche da
scoppiettii, avverte che la pasta è ormai pronta.
Dopo
circa quindici-venti minuti di
lavorazione, l’impasto si presenta liscio, elastico, poroso e senza grumi e va
lasciato riposare per altrettanto tempo, coperto da un panno o sotto un piatto.
Questo periodo di riposo permette all’impasto di migliorare la sua morbidezza e
di conseguenza la sua stendibilità.
A
questo punto si controlla la durezza dell’impasto, procedendo alle eventuali
operazioni di correzione – l’umidità ambientale può avere ammollito l’impasto,
come una eccessiva secchezza averlo reso duro. Usando farina nel primo caso o
impastando un uovo con altra farina nel secondo caso e unendolo all’impasto
originario, si apportano le rettifiche che solo l’esperienza insegna.
Ora
si divide l’impasto in più parti, che si compattano a forma di palla. Si pone
poi una palla al centro del tagliere, e utilizzando il tagliere, si inizia ad
abbassare l’impasto, dopo averlo spolverato di farina. Le due mani poste
parallele sul mattarello, lo tirano dal centro verso l’esterno, lasciandolo
scivolare e premendo con i palmi. Ciò si ripete due volte, poi si gira la pasta
e così via di seguito, sempre però mantenendo lo stesso verso. La farina va
spolverata leggermente quasi un velo.
Anche
le mani cambiano posizione, da quella centrale all’inizio, vanno spostandosi
verso l’esterno, così come i gomiti che prima erano uniti ai fianchi ora si
vanno distanziando. E’ una danza.
Quando
la sfoglia avrà raggiunto uno spessore di circa mezzo centimetro, la si prende
e si lascia cadere una metà fuori dal tagliere, mentre l’altra metà viene
lavorata spingendola verso il lato opposto. Si opera così anche con l’altra
metà, così che la sfoglia va ad assumere una forma allungata e non più tonda.
Ciò consente alla sfoglia di divenire sempre più sottile, Per girarla la si
avvolge sul mattarello, continuando così a tirarla ed evitando di toccarla
troppo con le mani, altrimenti si secca. Divenendo sempre più grande, si lascia
di lavorarla al centro, che ormai ha raggiunto lo spessore desiderato, ma si
opera sui lati, rendendola omogenea nello spessore ed utilizzando un po’ di
farina per correggere imperfezioni. Il lavoro del mattarello deve essere
comunque sempre nello stesso senso.
La
pasta è pronta quando ha raggiunto lo spessore desiderato.
Per
le paste ripiene occorre una soglia più spessa, salvo che per i tortellini che
richiedono una pasta sottile, in quanto l’impasto non rilascia umidità e quindi
la sfoglia non rischia di rompersi durante la cottura.
Per
la tagliatella, i garganelli e gli stricchetti ed altro la pasta deve essere
sottile. La tagliatella chiede una sfoglia non troppo liscia e quindi è meglio
non lasciare riposare l’impasto, procedendo subito a stendere la soglia.
Per tagliare la soglia, occorre stenderla bene sul tagliere, con le mani ed aiutandosi con il mattarello. Così facendo l’aria contenuta esce e la sfoglia si mantiene uniforme e non si restringerebbe dopo essere stata tagliata. Il taglio si esegue con la punta di una coltella rettangolare, salvo che per la tagliatella in cui la punta non si deve mai sollevare, ma deve scorrere in avanti permettendo così il taglio a striscioline.
VIVERE
“LOW COST”
di Nicola Perrelli
Oggi
è una realtà sotto gli occhi di tutti, ma nessuno anni fa ci avrebbe scommesso
un soldo. Parliamo del successo commerciale delle compagnie aeree “a basso
costo” e di come hanno influito con tale iniziativa a modificare il concetto
stesso di mobilità. Chi, oggi, prima di partire non verifica se c’è un volo low
cost per raggiungere la propria destinazione? O non approfitta di una delle
tante offerte a buon prezzo per visitare,magari con un fuori programma, un
Paese?
E’
aumentata cosi la voglia di risparmio ed il mercato si è dato da fare e non
solo nel settore aereo. Anche negli
altri settori le possibilità per fare
buoni affari non mancano. Dai saldi non più solo stagionali ai viaggi, dagli alimentari alle
assicurazioni, dai servizi bancari alle auto, le offerte e le opportunità per risparmiare
davvero sono tante. Bisogna però darsi da fare per trovarle.
Dopo
le spese per le festività natalizie e gli acquisti straordinari fatti in
occasione dei saldi invernali, una maggiore attenzione nella ricerca di beni e
servizi scontati certamente non guasta. Applicata alla vita quotidiana e
durante tutto l’anno, la “caccia” agli
sconti e alle offerte comporta sicuramente consistenti e reali risparmi sulle spese. Tagli veri, tangibili che
contribuiscono a rimettere in sesto il bilancio personale o familiare e non
come quelli che ogni governo, con enfasi, puntualmente annuncia nella
finanziaria e mai mette in pratica.
Dunque,
è possibile vivere “low cost”? Ovvero spendere con attenzione per non
rinunciare quasi a nulla? La risposta è affermativa, a patto che si accettino i
compromessi che una “vita low cost” richiede. Anche il risparmio ha ovviamente
il suo prezzo. Per chi vuole tutto e subito, come i mass media suggeriscono, il
vivere low cost non è indicato, qui bisogna armarsi di pazienza e aspettare il
momento più propizio. Spesso per fruire degli sconti migliori è opportuno
attendere la fine dei saldi stessi per acquistare addirittura sottocosto,
cercare i punti vendita che offrono il paghi 1 e pigli 3, prenotare con largo
anticipo biglietti, vacanze e hotel. Altre volte bisogna resistere alla
tentazione di comprare un prodotto appena uscito e aspettare il suo naturale
deprezzamento, sapendo comunque che si può anche non più trovarlo.
Spacci,
hard discount e gruppi di acquisto sono i luoghi che il consumatore avveduto
deve preferire. I prezzi convenienti dei prodotti di largo consumo e le
confezioni
offerte in genere in formato famiglia abbassano sensibilmente il costo medio
della spesa giornaliera. L’assenza poi di fronzoli, quali le accattivanti
confezioni, i premi e i concorsi, gli eleganti arredi, le campagne
pubblicitarie e l’offerta di prodotti non marcati o poco noti perché non
reclamizzati, ma non per questo meno buoni, fa il resto.
Contro
il caro-spesa, già da molti anni, operano anche i c.d. Gruppi di acquisto.
Strutture commerciali , create da associazioni di consumatori, gruppi di dipendenti di grandi aziende o da
altre simili organizzazioni, che consentono di risparmiare, su generi
alimentari e prodotti per la casa, tra il 20 ed il 30%. Unica condizione per entrare
a far parte del “gruppo” è il pagamento
di una quota annuale di 10/20 €. Ma ne vale
Per
l’abbigliamento, ma non solo, sono sempre validi i grandi outlet. I villaggi
fiabeschi che offrono prodotti con qualche stagione sulle spalle o qualche
imperfezione a prezzi vantaggiosi, con
sconti che possono arrivare fino al 70%.
Per
le vacanze le occasioni sono tante e per tutte le tasche. Avendo le idee chiare
sulla meta lo sconto sul listino prezzi
sarà di sicuro a due cifre. Diversamente , a ridosso della partenza, magari
cambiando meta, con i last-minute si può partire con ribassi che non di rado
arrivano al 50%. Stesso discorso per il settore aereo, prima si prenota meno si
paga, i biglietti per certe rotte partono da 0,99 € (vedi faronotizie di giugno 2006), per i traghetti
non esiste ancora il low cost, è però possibile traghettare l’auto, da e per
Pure per le auto esiste sul mercato un modello low
cost. E’ una Dacia di media cilindrata, 1300/1500 cc per intenderci, offerta a
poco più di 8.000 €, e…funziona. Ma non è la sola proposta. Tempo un anno e
dalla Cina arriverà addirittura il clone
della Panda a 4.000 € . Da non sottovalutare poi i contributi statali
per le rottamazioni e gli incentivi che le Case automobilistiche di tanto in
tanto propongono.
Sempre
in tema di auto è inoltre possibile trovare su internet le stazioni di servizio
dove il carburante costa meno. Un ribasso di 10 centesimi vale circa 5 € ogni
pieno, e non è poco.
Strano
ma vero, si può risparmiare anche in banca. Utilizzando internet è possibile
ridurre il costo delle spese e commissioni
bancarie e ottenere persino una remunerazione sui depositi. A parità di conto
corrente , quello gestito on line – tramite il c.d. sportello virtuale - , è
assoggettato a condizioni economiche molto più vantaggiose. Non vengono infatti
addebitate spese di tenuta conto, le operazioni sono gratuite, le commissioni
per disporre bonifici sono ridotte a pochi centesimi rispetto ai 3/5 € di un
conto ordinario, le spese di intermediazione titoli sono inferiori e cosi via,
fino ad incassare interessi sulle giacenze. Stesso discorso per le
assicurazioni. On line i premi possono risultare, a seconda del profilo, molto
meno salati di quelli che si pagano in agenzia.
E
se stiamo male? Scegliendo i farmaci
generici, che hanno lo stesso principio attivo di quelli pubblicizzati, si
spende tra il 20 ed il 40% in meno. Che dire: ogni occasione è buona per
risparmiare.
Indirizzi
utili:
L’ELBRUS E
di Maria Romanova
Ci sono stata alla fine di gennaio – inizio di febbraio del 2006. Per la prima
volta nella mia vita. Andarci fu sempre il mio gran desiderio. Libri, film,
racconti mi facevano sognare questo posto. Lo sogno anche ora: i giorni passati
lì sono stati sufficienti per innamorarmi di questa zona del Caucaso. La voglia
di ritornarci, ce l’ho sempre.
L’Elbrus
è il monte più alto d’Europa. Non tutti sono d’accordo con questa affermazione
(va ricordato anche il Monte Bianco), ma dal punto di vista strettamente
geografico l’Elbrus fa parte dell’Europa. E’ un vulcano spento (l’ultima
eruzione avvenne circa 2 mila anni fa) di due sommità: più alta, occidentale,
di
L’Elbrus
si trova in Kabardìno-Balkària (una regione della Federazione Russa), a qualche
chilometro dalla frontiera con
Come
si arriva a Terskol dall’Italia? E’ meglio prima venire a Mosca (bisogna avere
il visto russo), passarci una serata e partire per il Caucaso il giorno
seguente. Si può prendere l’aereo o il treno per arrivare a Mineràlnye Vòdy (
Fino
a pochi anni fa Terskol era stato un centro abitato tipico sovietico. Per i
turisti c’erano alcune grandi case di villeggiatura, poco belle, poco comode.
Ma negli ultimi anni qui appaiono alberghi nuovi,
moderni,
non troppo grandi, costruiti secondo gli standard europei. Ora non voglio
soffermarmi su questo tema, soprattutto perché in montagna è più importante la
montagna, e gli alberghi, bar, negozi, in fin dei conti, importano poco.
L’Elbrus,
dominando tutti gli altri monti nella zona, attraeva sempre gli alpinisti. La
sommità occidentale fu scalata per la prima volta nel 1874, e da quel tempo
l’interesse per il monte è sempre in crescendo. Non so il preciso numero totale delle ascensioni riuscite, ma ce ne
sono migliaia. Oggi parecchi operatori turistici organizzano ascensioni
sull’Elbrus, dando così la possibilità di passarci alcuni minuti di estasi ai
comuni mortali, non solo agli alpinisti provetti. Evidentemente, tale
ascensione richiede una certa preparazione fisica, l’importante è acclimatarsi
bene. Ma, dal punto di vista tecnico, l’Elbrus non è tanto difficile: avere con
sé una piccozza e saperla usare va già bene (per essere più sicuri), ma non è
obbligatorio. I ramponi però, e anche uno zaino ben pesante, sono assolutamente
inevitabili.
La
maggior parte delle ascensioni sull’Elbrus sono effettuate in estate. Comunque,
ogni periodo dell’anno è conveniente (per esempio, ogni anno alcuni romantici
vanno all’ascensione al Capodanno). E’ importante solo che il tempo sia buono:
poco vento, buona visibilità etc. Ma, “il nonno” Elbrus è un monte severo che
vuole essere rispettato. Il maltempo qui è duro: è l’Elbrus che si incollerisce, e diventa inospitale per
l’uomo. Ma, ai fortunati cha saranno riusciti a scalarlo, si aprirà dalla
sommità un panorama magnifico ed indimenticabile.
Continua...
VOGLIO L’ ADSL !
di
Ferdinando Paternostro
Si, sono un escluso dalla banda larga, un
cittadino di serie B che per navigare su
internet e per spedire e ricevere la posta elettronica deve accontentarsi dei
56k del modem analogico.
La
“colpa” sta nel fatto che la mia
telefonica domestica è collegata ad una delle tante centrali
telefoniche obsolete di Telecom (sembra che siano circa 6.000 sulle 10.400 diffuse sul territorio
italiano).
Vivo
a due chilometri dal Duomo di Firenze, a
Novoli , la zona più popolosa della città, separato da
trenta metri di strada
dall’omonima via di Novoli, che è l’asse
viario e logistico portante del
quartiere.
Faccio
il ricercatore universitario e il lavoro mi segue anche a casa. Una connessione
internet “normalmente veloce” è, per me, indispensabile.
Già
da qualche anno chiedo a Telecom l’attivazione di questo servizio: mi
venne risposto, in una delle prime
telefonate al call center, che l’ammodernamento della centrale cui mi
collego era in programma dal 1999 e che sicuramente nel giro di pochi mesi mi avrebbero attivato
l’ADSL… era il 2003 !
I
mesi sono diventati anni, durante i quali sono stato costantemente (sempre
all’ora di cena !) contattato dagli altri operatori di telefonia che volevano
vendermi i loro servizi: purtroppo con
la ma “obsoleta” linea telefonica non solo
sono disabilitato per tutte le
“marche ” di ADSL (tutti gli altri operatori fondamentalmente rivendono servizi
che acquistano da Telecom, proprietaria del cosiddetto “ultimo miglio”, cioè
del cavo che va dalla centrale di zona fino a casa) ma non posso neanche
decidere di staccarmi da Telecom per usufruire di una delle tante altre e
vantaggiose combinazioni tariffarie.
I contatti con il call center Telecom si
sono intensificati da quando ho saputo che il mio vicino di pianerottolo ha
attivato l’ADSL . Allora ci siamo… finalmente…, mi sono detto… macchè, neanche per idea: il “digital
divide” colpisce anche all’interno dello stesso condominio!
“Io pago lo stesso canone del mio
dirimpettaio”, spiego con forzata calma all’operatore del 187 , “come è possibile che i servizi siano così
dissimili ?”
“Guardi
– mi risponde Paolo - l’ADSL è un servizio
in più che offre Telecom, chi c’è l’ha bene, chi no… si arrangia”.
Qualche sera dopo ci riprovo: ecco Giuseppe, in vena di confidenze, che confessa di trovarsi nella mia stessa identica
condizione e conclude sottovoce“Telecom non ci guadagna niente con la telefonia
domestica, anzi ci perde”.
Se
è vero voglio indietro i 180 euro di canone annuo… tanto perderci per perderci…
Stamane
Giusy ha preso a cuore il mio caso “Senta, l’unica cosa che posso fare è
provare a cambiarle numero telefonico” . Accetto volentieri, il mio numero non è sull’elenco, lo conoscono
pochi amici e i miei familiari, faccio presto a ridarlo a tutti.. “ Allora è
pronto ?” “Certo, a che cosa?” “Provvedo
adesso all’estrazione di nuovo numero, ma non posso garantire che questo sia
uno di quelli buoni…”. “Proviamo…” “Peccato, signor Paternostro, lo 055- 456…..appena
sorteggiato è di quelli vecchi… finché non viene assegnato a qualcun altro
resta la sua .. seconda scelta, abbinato al numero che ha già”.
Non
sono mai stato fortunato… d’altra parte pensavo di aver diritto ad un
servizio, non di partecipare ad una
lotteria !
NON PIANGERE, FORESTA…
di
Marilena Rodica Chiretu
Il
giorno chiude le palpebre della stanca notte,
dorme
tra le ciglia nere del passato volto,
lo
sguardo si svegliò per accogliere l’ aurora
sciogliendo
il Levante nel rosso del tramonto
I
monti alzano le braccia verso le nuove cime,
i
colli chiamano le valli nel dolce girotondo,
il
mare tace ascoltando il fremito del tempo
e
lasciano il dolore al suono di zampogna
Cercavo
gli alberi, adesso salgo le montagne,
non
piangere, foresta, se sono forestiera,
ti
porterò il profumo degli abeti ebbri di resina
e
il canto di buccina che non ha nessuno
NU PLANGE,
PADURE...
Ziua
inchide pleoapele obositei noptii,
doarme
intre genele negre ale trecutului chip,
privirea
s- a trezit ca sa intampine zorile
topind
Rasaritul in rosul apusului
Muntii
inalta bratele spre noile culmi,
dealurile
chiama vaile in dulcea hora,
marea
tace ascultand freamatul timpului
si
lasa durerea sa curga in sunetul fluierului
Cautam
copacii acum urc muntii,
nu
plange padure, de sunt padureata,
iti
voi aduce pafumul brazilor imbatati in rasina
si
cantul buciumului cum nimeni nu- l are
27
dicembre 2006
A RIDOSSO DEL CASTRUM:
CAPALBI – FERRIOLO - FAZIO.
di Francesco Regina
Dopo
aver trattato per sommi capi la genesi dei casati mormannesi fornendo notizie a
riguardo delle prime famiglie Perrone e Regina, cercheremo di capire, al fine
di fornire un quadro più globale ed armonico della situazione storico –
etnografica del paese a partire dal duecento, come si sia effettivamente
enucleato e sviluppato il territorio circostante il castrum.
Nel
maggio 1239 Federico II scriveva a Rainaldo de Castrocucco e lo incaricava
della custodia della difesa di Brahalla
(Altomonte) e di altre difese adiacenti. All’imperatore piaceva moltissimo il
divertimento della caccia ed Altomonte, come pure Mormanno, era ricca di
selvaggina. Di qui la custodia delle rispettive contrade ed il restauro del
castello di Mormanno voluto dall’imperatore, contemporaneo alla costruzione del
castello di Rocca Imperiale. (In epoca angioina si parla del castello di Laino,
per la sua importanza strategica e militare)[24]
Nel
1308 giunsero a Mormanno tre famiglie nobili, delle quali una era quella del
Sig. Alfonso Capalbi, il quale vi si
fermò stabilmente ordinando la costruzione dell’omonimo Palazzo[25].
S’ignora
la provenienza precisa ( forse Montalto Uffugo) nonché i motivi che indussero
il capostipite di acclarati nobili natali ad abbandonare il proprio paese
d’origine per trasferirsi nell’allora romito luogo.
Sottostante
il palazzo Capalbi è visibile ancor
oggi un enorme arco tufaceo sormontato da due logge, trattavasi della porta
d’ingresso al castrum con relativo
corpo di guardia.
Dai
primi atti di battesimo si evince come ancora nel cinquecento i membri della
famiglia godessero del titolo di nobile.
Nel
‘700 risultava come juspatronato di
famiglia una cappella intitolata a San Giovanni Battista fatta costruire,
vicino la sua casa, dal sacerdote D. Ottavio Capalbi negli anni anteriori al
1721.[26]
Ma
in realtà la cappella, le cui fondamenta erano adibite secondo l’usanza dei
tempi a sepoltura gentilizia della famiglia, era preesistente sotto diversa
intitolazione.
Con
testamento del 1696,[27]
dopo un retorico preambolo intriso di richiami alla caducità della condizione
umana, il sacerdote Don Onorato Ferriolo[28],
discendente per linea materna dalla famiglia Capalbi, così dispose: “…istituisco, creo e faccio mio erede
Seguono
le disposizioni circa il diritto di prelazione spettante ai Cappellani
discendenti dal qm [29]
Antonio, Felice, Pietro e Giuseppe Ferriolo.
Questa
notizia scritta conferma quella orale tramandata dal sacerdote Don Giovanni
Armentano, il quale narrava in proposito, che per volere di una gentildonna
appartenente alla famiglia Capalbi – per la quale Sant’Onorato avrebbe
intercesso operando una miracolosa guarigione – fu eretta una cappella
intitolata inizialmente al santo di Arles e
solo successivamente a San Giovanni Battista, onde il nome attribuito
alla zona antistante Rotondo di
Sant’Onorato, dicitura questa riportata in numerosi atti di compravendita
settecenteschi[30].
Nonostante
l’affinità stretta con la famiglia Capalbi, si ha ragione di ritenere parimenti
cospicuo il patrimonio della famiglia Ferriolo, visto che nel citato testamento
si menzionano proprietà pervenute al donante per precedente donazione di un suo
zio, tale Dezio o Decio
Ferriolo.
Di
questo antichissimo casato, per i più senz’altro incognito, che nel seguito
variò il cognome in Ferraiolo, non
rimane oggi alcuna traccia.[31]
Non
essendoci stati eredi ascesi al sacerdozio, trovò applicazione una clausola
secondaria per la quale il beneficio di Cappellano sarebbe spettato al
pronipote Alessio Fazio, qualora questi fosse chiaramente stato ordinato
sacerdote. Ad esso pronipote aveva già
lasciato la sua casa di abitazione, con diritto di usufrutto riservato ai
coniugi Maurizio Fazio e Desideria di Paola.
E’
quindi molto probabile, considerata peraltro la ristrettezza del dominio
territoriale riferito a quel particolare periodo, che Don Onorato Ferriolo, o
comunque un suo avo, abbia rilevato l’ex Palazzo Episcopale[32],
attivo sicuramente fino al 1428, anno in cui Monsignor Febo Sanseverino in una
sommossa popolare venne precipitato nei dirupi retrostanti il Castello.[33]
Poca favilla gran fiamma seconda[34], ecco quindi che da una prodigiosa
esistenza vissuta nella carità e conclusasi nel silenzio, s’ingenerò il sorgere
e l’affermarsi di una nuova e potente famiglia, in precedenza di differente
estrazione sociale: la famiglia da cui discese il benemerito Barone Francesco Fazio iunior.
A
partire da Luzio Fazio giungendo alle generazioni a noi più prossime, si trova
un’ininterrotta sfilza di Notai e Sacerdoti che non stiamo qui ad enumerare.
E’
bene precisare però, come il titolo baronale non sia provenuto dalla famiglia
Fazio, bensì dalla famiglia Villani: donna Caterina Villani, figlia di D.
Gaetano – Barone di Castronuovo[35]
– sposò il Sig. Francesco Maria Fazio senior, già Deputato Liberale al
Parlamento Napoletano del 1820.[36]
Dal
loro matrimonio, tra gli altri, nacquero donna Maddalena, don Luigi e don
Giovanni, avvocato e padre dei signori Franz e Luisa Fazio in Campisani, fulgidi ed imperituri esempi
di benefattori.
Il
ciclo della gloria della famiglia si conclude esattamente nella medesima
maniera con la quale era stato aperto: il Barone Franz Fazio, che aveva già
provveduto ad elargire la gran parte del suo vasto patrimonio, morì miseramente
in una stanza d’albergo di un quartiere di Roma solo e derubato, quasi come
monito circa l’infallibilità di una giustizia superiore che ci governa
prescindendo dalla finitezza e dagli schemi temporali.
La
sua morte senza eredi legittimi decretò l’estinzione di un’altra illustre ed
antichissima famiglia mormannese.
GLI OLI LUBRIFICANTI E GLI ADEMPIMENTI PER
di
Nedo Biancani
Tralasciando
di analizzare quanto previsto dalla normativa riguardo alle fasi antecedenti
all’arrivo presso la destinazione finale ovvero al sito dove viene, di fatto,
realizzata l’attività di recupero, preme soffermarsi sugli obblighi
autorizzativi e gestionali ai quali deve sottoporsi il gestore di un impianto
di rigenerazione di oli minerali usati.
Il tutto
partendo dall’ipotesi che il soggetto intenda attivare “ex novo” tale attività,
a partire dalla costruzione degli impianti di processo.
Innanzitutto,
l’articolo 5, comma 3, del D.Lgs 95/1992 stabilisce che “la costruzione e la
gestione degli stabilimenti per la rigenerazione di oli usati resta
disciplinata dalla Legge 9 Gennaio 1991, n. 9 (Piano energetico nazionale) e
dalle altre disposizioni in materia di oli minerali”.
Ne
consegue che l’Autorità competente in materia risulta, inequivocabilmente,
essere il Ministero delle attività produttive.
Non
avendo il Decreto Ronchi, al proposito, introdotto differenti previsioni, ne
consegue che gli impianti per la rigenerazione degli oli lubrificanti usati non
sono assoggettabili ad autorizzazioni ai sensi del D.Lgs 22/1997.
Inoltre,
l’autorizzazione ministeriale rilasciata ai sensi della citata legge 9/1991
deve considerarsi valida ai fini dell’importazione degli oli usati secondo
quanto previsto dall’articolo 6 del regolamento (CEE) 259/1993 in materia di transiti
transfrontalieri di rifiuti.
Nell’ambito
della istruttoria relativa al rilascio dell’autorizzazione alla costruzione e
gestione del nuovo impianto, essendo questo necessariamente costituito da unità
di processo (distillazioni, deasfaltazioni, finissaggi termo-catalitici) che
realizzano la rigenerazione avvalendosi di tecnologie di provenienza
“petrolifera” , ne deriva che l’Autorità ministeriale competente ha la
necessità di valutare tutti gli aspetti ambientali riguardanti la tutela
dell’aria, delle acque superficiali e sotterranee e del suolo.
Ne
consegue che di fatto, considerata la complessità del nuovo insediamento produttivo
e ricadendo lo stesso nell’ambito delle disposizioni di cui alla normativa
I.P.P.C. di cui al D.Lgs 18 Febbraio
2005, n. 59 (“Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla
prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento”), l’istruttoria per il
rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale debba essere valutata,
conformemente a quanto stabilito dall’art. 5, comma 9, del citato Decreto, da
parte di una Commissione pubblica qualificata.
In
aggiunta a quanto sopra, nel ribadire il presupposto della competenza statale dell’istruttoria,
così come previsto al successivo comma
12 del medesimo articolo 5, “ l’Autorizzazione Integrata Ambientale non può
essere
comunque
rilasciata prima della conclusione del procedimento di valutazione di impatto
ambientale”.
Parallelamente
agli enunciati aspetti autorizzativi
connessi alla realizzazione del nuovo insediamento produttivo, va evidenziata
la necessità di istituire un adeguato stoccaggio di materia prima annesso alla
rigenerazione per produzione di nuove basi lubrificanti.
Tale
stoccaggio deve, a sua volta, essere autorizzato ai sensi degli articoli 27 e
28 , D.Lgs 22/1997, trattandosi di messa
in riserva in attesa di attività di recupero di materia (punto R9, allegato C,
“Rigenerazione ed altri reimpieghi degli oli”).
Il
provvedimento ricade sotto la giurisdizione della Provincia di competenza,
fatto salvo quanto disposto anche dal già citato D.M. 392/1996.
In ultima
istanza ed alla luce della recente evoluzione delle norme in materia di
attività a rischio di incidenti rilevanti derivanti dall’entrata in vigore
della direttiva 2003/105/CE (c.d. “Seveso III) recentemente recepita
dall’ordinamento nazionale mediante il Decreto Legislativo 21 Settembre 2005,
n° 238, va evidenziato che gli oli minerali usati, in quanto rifiuti
pericolosi, presentano caratteristiche chimiche tali da fare ricadere il nuovo
insediamento anche in tale contesto autorizzativo.
In
particolare, nel caso che i quantitativi
delle sostanze pericolose stoccate rendano il nuovo insediamento ricadente
nell’ambito di applicazione ex art. 8, D.Lgs 334/99, il gestore, prima di dare
inizio alla costruzione degli impianti, deve ottenere preventivo nulla osta di
fattibilità facendo pervenire alle autorità competenti un rapporto preliminare
di sicurezza.
La
concessione edilizia non può infatti essere rilasciata in mancanza del nulla
osta di fattibilità.
Infine,
prima di dare inizio all’attività, il gestore deve ottenere il parere tecnico
conclusivo, a sua volta subordinato alla presentazione all’Autorità competente
(
Relativamente
all'applicazione dei disposti normativi di cui al D.Lgs 18/02/2005, n° 59 va,
inoltre, rimarcato quanto segue:
1.
2. L'emissione finale del precedentemente menzionato BREF europeo
riporta sia le Best available techniques (BAT) generiche applicabili all’intero
settore WTI (Waste Treatments Industries) sia le BAT specifiche per
l’attività di rigenerazione degli oli lubrificanti usati. In tale contesto
risultano dettagliatamente descritte le migliori tecnologie per la rigenerazione degli oli usati che
individuano l'ideale ciclo produttivo costituito dalle sezioni di preflash, di
deasfaltazione termica e di idrofinissaggio catalitico finale (hydrofinishing).
3. Inoltre, ad integrazione e compendio alle suddette BREF europee di settore e
nell’attesa dell’emanazione del previsto decreto interministeriale recante le
linee guida nazionali per le attività IPPC di cui al punto 6.4 dell’Allegato I
al D.Lgs 59/2005, è stato da tempo
predisposto , a cura del sottogruppo “Impianti di rigenerazione degli oli
usati” del Gruppo Tecnico Ristretto
(GTR) sulla gestione dei rifiuti istituito dalla Commissione Nazionale ex art.
3, comma 2, del D.Lgs 372/99, uno “Schema di Rapporto finale” relativo alla proposta di “Linee guida per l’individuazione e
l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili per la rigenerazione degli
oli usati”. Tale gruppo di lavoro, di cui
Viscolube S.p.A. è stata parte attiva, ha a sua volta ulteriormente e
dettagliatamente illustrato le BAT della rigenerazione degli oli usati che
risultano sostanzialmente speculari agli attuali assetti produttivi dei siti di
Pieve Fissiraga e Ceccano.
4. Le ultime informazione pervenute, in data 14 settembre 2006 dalla
Regione Lombardia, danno per imminente l'approvazione finale, da parte della
Conferenza permanente sui rifiuti Stato/Regioni, delle linee guida di cui al
precedente punto 3) con ufficializzazione delle stesse mediante l'emanazione di
un apposito decreto interministeriale.
5. Ne consegue, in ultima istanza, che il procedimento di
rigenerazione ottimale degli oli usati, così come condiviso nelle sedi
istituzionali comunitarie e nazionali, non può ad oggi prescindere
dall'applicazione dei processi e dei cicli di lavorazione già adottati da
Viscolube S.p.A. nei propri stabilimenti.
A
tale assetto devono, pertanto, tendere tutti gli operatori del settore, in
particolare quelli che si dovessero nel prossimo futuro apprestare ad attivare
nuovi insediamenti produttivi per la rigenerazione.
RENATO
di Francesco M. T. Tarantino *
Hai
attraversato gli intervalli del tempo
E poi sei
scomparso come meteora bianca
Lasciandomi
una traccia come un lampo
In un’eco
che scompone quello che manca
Sbarcasti a
New York con tremila volumi
Ignaro del
business delle ricchezze altrui
Ti bastava
il tuo vino e ubriacarti di fumi
Bagnarti di
pioggia la notte nei vicoli bui
Sbucavi da
un’alba fra scimmie e leoni
E mille
sorprese che regalavi alla gente
Sul tuo
calesse dorato tirato da un pony
Eri
malvisto come un malato di mente
Ma ogni
porta si apriva al tuo passare
Come amico
fratello amante sognato
Di ognuno
conoscevi il suo triste belare
E la piazza
temeva il tuo canto stonato
Ti
accompagnai fra casolari e zampogne
A barattare
orologi organetti e canzoni
Appoggiato
ad un albero di mele cotogne
Benedicevi
i luoghi delle tue illusioni
Ti lasciai
un pomeriggio nella tua cantina
Coi tuoi
occhi curiosi i pesciolini ed il vino
Non ti ho
più visto fra la gente che cammina
Ma ti ho
sognato giocare come un bambino
Dimmi: che
cosa hai visto in fondo alle scale
Spiccando
l’ultimo volo oltre quei gradini?
Saltare
l’incerto confine tra il bene e il male
O la tua
libertà oltre Milano e i suoi giardini?
Ora voli
alto e percorri spazi in cieli diversi
Con la tua
chioma la barba e le ali bianche
Ed io ti
ripercorro in questi miei pochi versi
Come ultimo
requiem sulle tue ossa stanche
* Francesco M. T. Tarantino ha di recente pubblicato una raccolta di poesie dal titolo “Cose Mie”, MEF - L’Autore Libri Firenze.
SCOPRIRE
di Gabriella
Šolcovà
Siete
interessati a passare le Vostre vacanze in Slovacchia ?
Fortezze,
castelli e palazzi o Parchi nazionali e altre zone protette ?
O Calcari e grotte, oppure
Terme
e sorgenti di acqua minerale ? O chiese di legno ?
Di
che cosa volete sapere prima ?
Cominciamo
dalle fortezze, dai castelli e palazzi.
Perchè
Lo
documenta il fatto che vi si sono, ben conservati, 109 fortezze e castelli e
435 palazzi.
Nei
tempi inquieti del medioevo l’alta nobiltà costruiva salde fortezze. Molte sono
sorte sotto l’invasione dei Tartari. Venivano costruite nuove,
o eventualmente ricostruite, sopratutto nel periodo delle guerre turche e
delle insurrezioni di classe del 17.secolo.
Tra
i castelli piubelli e meglio conservati troviamo : il castello di
Bratislava, Červený Kameň, Smolenický zámok, Bojnický zámok, Zvolenský zámok, le fortificazioni cittadine
di Kremnica e Banská Štiavnica e Krásna Hôrka.
Un
elemento insolito ma molto toccante del paesaggio sono le romantiche rovine dei
castelli : Čachtice, Beckov, Ľubovniansky hrad, Spišský hrad, che è
il più grande dell‘est Europa.
Avete visto già le chiese di legno ?
Dovete
sapere che tra i gioielli più
splendenti dell’eredità culturale della Slovacchia ci sono anche le chiese
di legno. La maggiore concentrazione è nella regione nord – orientale del
paese, specialmente nei dintorni di Svidník, Bardejov e Snina. Le chiesette, in
genere, si trovano su colline circondate dal verde. Venivano più frequentamente
costruite con legno di abete rosso. Hanno per lo più un‘architettura molto
semplice.
Quelle
cattoliche sono solitamente più vecchie e a un campanile, vi si scorge
sopratutto l’influsso dello stile gotico.
Le
chiese del cosiddetto rito orientale sono a tre torri campanarie con tetti
scoscesi conclusi a cipolla come è tipico per i santuari della chiesa
ortodossa.
All’interno
si trovano rare e ricche decorazioni di icone.
ASSOCIAZIONE CULTURALE “COMUNALIA”
Relazione del Presidente al
Bilancio preventivo 2007
Amiche ed Amici buonasera;
ritengo opportuno ricordare a tutti noi gli Scopi dell'Associazione previsti
dallo Statuto :
“Comunalia” ha per scopo il recupero
dell’autentica cultura popolare e la diffusione di antiche tradizioni di
Mormanno, di riti, di festività, di giochi popolari collettivi, l’ideazione di
gare di natura culturale e di varia abilità, nonché l’organizzazione di cortei
in costume atti a coinvolgere l’intera comunità dei quartieri componenti il
Comune di Mormanno.
L’Associazione ha quale scopo la
promozione di attività culturali in Italia e all’estero, favorendo lo sviluppo
tra i soci e tra i cittadini democratici, di iniziative destinate alla loro
formazione culturale, sociale, artigianale tramite l’utilizzo di tutti i mezzi
didattici possibile.
Al centro dell’attività
dell’Associazione si pongono lo studio, la ricerca, il dibattito, le iniziative
editoriali, la formazione e l’aggiornamento culturale, dei problemi sociali e
del tempo libero.
Omissis….
L’Associazione si propone inoltre
come struttura di servizi per Enti, Associazioni, categorie e centri che
perseguono finalità che coincidono, anche parzialmente, con gli scopi della
stessa”
Omissis...
Perciò la conoscenza della storia, dell’arte, delle tradizioni
ed in genere dei beni culturali
della nostra Mormanno è lo scopo precipuo di Comunalia, che vuole contribuire a favorire la voglia di partecipazione alle nostre iniziative
soprattutto dei giovani, importante punto di forza per migliorare la qualità della vita in questa nostra cittadina,
anche al fine di arrestarne lo spopolamento.
Il nostro lavoro, quindi, prevede la ricerca,
conservazione e promozione del patrimonio artistico-culturale-ambientale e presuppone una buona
conoscenza e valutazione di tutte le risorse.
Grazie
a tanti che a queste idee, pur con qualche titubanza, hanno creduto:
Quartiermastri, Consiglieri di Amministrazione, volontari nei Quartieri, ecc..,
la mia esperienza in questi 7 anni di Comunalia è stata proficua e
soddisfacente, al fine di affinare delle proposte che investono diversi aspetti
della nostra cittadina.
Quando nel 2000 creai
l’Associazione, era chiaro in me l’intento di riportare l’aspetto
architettonico del Centro Storico di questo paese, ovviamente non in un
giorno, in quello di un Borgo
medioevale, convinto, allora come oggi, che ciò lo avrebbe distinto dai paesi
vicini, caratterizzandolo quindi come polo di attrazione turistica del
comprensorio.
Oggi
ribadisco la constatazione che le manifestazioni che offriva Mormanno prima di
Comunalia erano comuni a tutto il circondario ed ancora adesso, tranne quelle a
carattere medioevale (Rievocazione, giochi, Palio e Vecchi Vasili) sono più o
meno in comune con i paesi vicini.
Perciò
per organizzare un’offerta turistica appetibile è su quest’aspetto medioevale
che bisognerà ora soprattutto puntare, per attirare sia gli abitanti dei paesi
vicini, sia i turisti provenienti da bacini regionali viciniori, senza
escludere altre possibilità.
Quindi
occorrerà proporre di valorizzare da subito nella nostra Mormanno:
Ciò
non è, a mio avviso, un’opzione, ma una inderogabile necessità.
Ovviamente si parte dal Medioevo, ma in quella cornice si
possono armonizzare anche eventi culturali di epoche successive, proprio per
sottolineare la continuità storico-antropologica di questa particolare
comunità..
I Beni culturali, testimonianze dell’identità di un
popolo, possono, anzi devono, divenire anche prodotti economici, quando la loro offerta
turistica, attraverso musei, iniziative culturali, itinerari religiosi,
enogastronomia e Parco del Pollino, sarà gestita con una progettualità che
rispetti le specificità del territorio e gli aspetti etici,
economici, antropologici ed anche etnici.
Comunalia dovrà proporre l’organizzazione di un secondo
convegno su Giovanni Donadio, il personaggio più importante della Storia e
della cultura di Mormanno, Architetto ed Organaro insigne, al fine di esaltare
ancor di più le sue opere ed inserirle in un Museo multimediale insieme ad
Angelo e Genesio Galtieri, pittori illustri del sec. XVII, per i quali ho già
presentato alla Regione, senza ottenere risposta, un valido progetto di ricerca.
Occorrerà coinvolgere
Si potrebbe allocare la sede universitaria nel Seminario,
così probabilmente ci sarebbe anche l’appoggio della Curia Vescovile di Cassano.
Dovranno essere elaborate offerte di itinerari per il
turismo religioso, anche in sinergia con i paesi limitrofi, ed un importante
convegno sulla presenza dei Monaci Basiliani a Mormanno e nel Mercurion.
Mi
auguro che questi concetti divengano sempre più patrimonio acquisito e
metabolizzato da tutti gli iscritti all’Associazione e poi realizzato con
l’aiuto degli Amministratori locali e territoriali e non più disquisizione
filosofica perenne e sterile.
Musei, biblioteche e siti non sono luoghi di semplice
conservazione di oggetti antichi, bensì luoghi di cultura in cui si trasmette alle nuove
generazioni la conoscenza di un mondo che ci appartiene e che rischia di
essere cancellato, cercando anche di
esaltarne i valori di laboriosità,
di onestà, di solidarietà.
I nostri Enti territoriali devono essere da
noi stimolati ad investire in cultura, per creare sviluppo e occupazione che
passano, anche e forse oggi più che mai, attraverso il turismo culturale.
Occorre quindi coinvolgere gli operatori del commercio
perché condividano queste prospettive turistiche, fornendo idee e contributo
economico alla nostra Associazione , fidando sempre più in un ritorno economico
tramite un richiamo turistico sempre crescente per tutto l’anno.
Queste
idee non sono certamente esaustive per la sopravvivenza di questo nostro amato
borgo, che ha alle spalle 13 secoli di storia.
Che
anche altri (Associazioni, Enti, Politici, Cittadini, ecc..) espongano le loro,
in un serrato confronto vivificante.
Attraverso
l’azione sinergica e condivisa di Associazioni, Enti territoriali, Operatori
del Commercio, Imprenditori c’è ancora la speranza che Mormanno possa evitare,
con buone possibilità, la tendenza al declino di tutti i piccoli paesi montani.
Mormanno 02/01/07
Domenico Crea
vico I° S..Francesco – 87026 MORMANNO (CS) - C. F. 94006270782
Tel. 329 4077909 -
email domenicoprofcrea@katamail.com
Manifestazioni previste
nel 2007
Febbraio/Marzo :
Giornate
Medioevali
Giugno : 22 Pomeriggio :
Corteo del Castrum con
tamburi – Attrattive varie
Giugno : 23 Mattino :
Visite guidate - Convegno Storico –
Mostra dell’Artigianato – Mostra fotografica
Pomeriggio :
Rievocazione storica della Donazione del 1101
Sera : Sagra
enogastronomica
Giugno : 24 : Mattino :
Arcieri -
Pomeriggio (dalle 16) : Giochi :
Cògghj e scògghj ;
Prova di forza con il paletto ;
Serratrunchetti;
Carusapecura.
Agosto : 18 Mattino :
Sbandieratori e tamburi
–
Pomeriggio : Corteo e
Palio di S. Rocco
Dicembre :
8 : Perciavutti
BUCHE E TURISTI
di
Ferdinando Paternostro
Turisti
a milioni ogni anno: nei musei, in piazza della Signoria, in piazza Duomo, tra
i palazzi e le strade del centro. Si godono la parte bella di Firenze, mentre i
fiorentini, negli uffici, nelle scuole, negli ospedali, nei supermercati,
vivono un’altra, anonima , città.
Ma
tutti, turisti e cittadini, utilizzano gli stessi servizi: la città si usura e
le strade mostrano il loro accelerato degrado prima e più di tutto il resto.
In
centro lo storico selciato fatto di sampietrini e massi variamente levigati è
in più punti danneggiato: dove è stato rabberciato con macchie di asfalto la
situazione si è aggravata, per la ovvia
incongruità di materiali strutturalmente tanto diversi.
Tutte
le altre strade, forse escludendo alcuni tratti dei viali di circonvallazione,
sono un supplizio: tombini devastati, radici prominenti, derapate di asfalto
sollevato a fresco da camion ed autobus, fosse che di allargano e si
approfondano ad ogni temporale fino a
diventare trincee…
Se
viaggiare in macchina è una continua, drammatica rumba, va peggio a chi si sposta in bici, in
ciclomotore o in autobus.
I
dischi intevertebrali, sottoposti a continui, gratuiti stress, invecchiano
precocemente , i mal di schiena e le sciatalgie di moltiplicano: la cura
“asfalto fiorentino” è poi particolarmente indicata per le colonne vertebrali
in pieno sviluppo degli adolescenti, per
quelle calcifiche degli over …anta, o per
i “pancioni” delle future mamme.
Il
discorso fatto fin qui per Firenze può essere trasposto per tutte nostre città d’arte: la ricchezza apportata dal
turismo non deve essere divisa solo tra
chi opera nel settore, ma ne meritano una parte (trasformata in servizi ! )
anche i tutti gli altri cittadini, che con le loro quotidiane e magari poco appariscenti
fatiche, le mantengono vive e grandi.
UN PICCOLO GIOIELLO COLOMBIANO
di Angela Vanegas
In mezzo al mare, si vedono quelle piccole
montagne che sorgono dall’ acqua, un mare un po’ oscuro, con una vegetazione un
po’ selvaggia e un tramonto difficile da dimenticare...., e il Pacifico.... ad
ovest dalla Colombia.
Dopo circa un'ora di navigazione in mare
aperto, si vede quell'isoletta, sembra
disabitata. Arriviamo e ci riceve quella gente, quel popolo di gente amabile e
molto gentile, non ancora contaminato dalla violenza colombiana.
In quell’isoletta dove c'e molta natura, c'e
anche molto spazio, le spiagge molto lunghe, quel mare riscaldato dall’Oceano Pacifico.
Prima troviamo un piccolo paesino, dove c'e il
porto.
"Juanchaco" si chiama;famoso
perchè frequentato dalla gente di Cali
che viene a passarci le vacanze, a ubriacarsi e divertirsi, e portando soldi e la propria cultura.
La gente dal posto vive con quello di cui ha
bisogno, forse anche ignorando un po’ il resto del mondo.
Quando se lì, puoi prendere un trattore, che in
mezz'ora ti porta a "Ladrilleros", o puoi camminare a piedi per più
di un ora e arrivi comunque a "Ladrilleros", un piccolo paese, dove tutti sono pescatori, anche i bambini.
Si vedono molti bambini al lavoro, mentre altri
giocano con i granchi come se fossero delle macchinine giocattolo. Si vedono diverse razze, ci sono
persone di pelle scura, di pelle bianca, anche quelle simili agli indiani, e
poi i turisti colombiani che vengono dalle grandi città.
Un’altra ora di strada a piedi, (dove nella
strada trovi delle case fatte in legno con spazio per le porte e le finestre
senza, però, averle) e si arriva a "La Barra": il posto più lontano e più solitario di tutta
l'isola, dove ci sono solo 3 casette
sulla spiaggia, in una di queste cucina una donna del posto del cibo di mare
molto buono e a poco prezzo.
Un posto dove predomina la natura, vedi i
granchi sulla spiaggia che ti fanno strada quando passi, vedi gli uccelli per
aria fare mille figure mentre volano, vedi tutta una foresta intorno a te. Un
posto dove tutto è armonia, gli animali con la natura e con l’ uomo, E’ un
altro paradiso dei tanti che ha la Colombia, un posto pieno di tranquillità.
VIA E-MAIL ANCHE UN INVITO
IN "GRANDE STILE"?
di Raffaella Santulli
Una serata importante
richiede l'invito scritto, con un testo collaudato dal tempo e dall'uso, che
può essere interamente stampato o prevedere una parte da aggiungere a mano, con
il nome dell'invitato preceduto dal titolo accademico, nobiliare, ecclesiastico
o militare.
E' in realtà la
soluzione più raffinata, ma impegnativa: bisogna innanzitutto avere una bella
grafia e poi è obbligatorio l'uso della penna stilografica.
A cavare dai guai chi
proprio non se la sente, esistono dei servizi di… amanuensi. Per realizzare un
cartoncino elegante è indispensabile rivolgersi ad una tipografia
"tradizionale", che abbia al suo attivo la fornitura di inviti e
partecipazioni a personaggi indiscutibilmente stilè.
La carta di un invito
è bianca o avorio, patinata, opaca e soprattutto pesante; si dice che
scuotendola dovrebbe schioccare come un ventaglio. Il rapporto fra testo e
spazio bianco deve essere a favore di quest'ultimo, ma nella giusta proporzione
e tenendo conto dei diktat del bustometro.
Una scelta di gran
classe è il cartoncino con gli angoli stondati e il testo riquadrato a "
secco", con una piccola scanalatura che crea una cornice: un invito
importante necessita del carattere corsivo inglese stampato a rilievo con
l'inchiostro nero o grigio fumo di Londra.
Per posta, gli inviti
per un ricevimento importante, vanno imbucati almeno un mese prima. Purtroppo
nel nostro Paese, anche in presenza della formula R.S.V.P. sul biglietto, non
tutti hanno la buona creanza di rispondere all'invito.
E' una grave
scortesia, soprattutto se il ricevimento prevede posti a tavola assegnati e -scortesia ancora più grave- è inviare a due conviventi un unico invito!
Si invieranno cartoncini
separati allo stesso indirizzo.
SHORTBUS
di Carla Rinaldi
Una
delle caratteristiche più profonde del cinema, è che suo malgrado, può
indirizzare lo spettatore e lo può illuminare sulla linea sottile che divide il
comune senso del pudore e la pornografia. “Shortbus” di John Cameron Mitchell,
lo stesso regista di “Edwig”, nonostante la patina cruda e dai dettagli
pornografici, può tranquillamente entrare a far parte, invece, di quelle opere
d’autore che non hanno la pretesa di esserlo.
La
vicenda, ambientata a New York, racconta e soprattutto mostra, situazioni varie
di vita quotidiana che confluiscono, tutte, di sera, in un locale, appunto lo
Shortbus, dove si mescolano senza nessun disturbo, sesso, amore, delusioni e
speranze.
Con
un minimo budget, e con la presenza sul set di non attori che hanno deciso di
offrire i loro corpi e le loro facce, anche se all’inizio le inquadrature
potrebbero ricondurre a un porno soft, man mano si dipana in un racconto
delicatissimo e reale, ma quale reale che non ha nessuna sovrastruttura
cinematografica, non ha marchingegni furbi per stupire, riesce invece,
solo a inchiodare alla poltrona
chiunque, anche il più bigotto spettatore. Una terapista di coppia
preorgasmica, una coppia omosessuale in crisi, un giovane timido voyeur, una
mistresse ancora indecisa sulla sua sessualità, ma tutti accomunati dalla
certezza che anche attraverso il sesso, si può arrivare alla serenità. E non
sesso fine a se stesso, ma
sperimentazione e dialogo più intimo, spiattellamento di segreti problematici e
curiosità che non fa male proprio a nessuno.
Emblematica
resta la scena della gang bang tra tre uomini completamente nudi nella
telecamera ma ironici e divertiti nel cantare l’inno americano nelle pieghe più
nascoste dei loro corpi come fossero megafoni. Il regista inglese Winterbottom,
qualche anno fa con “Nine songs”, raccontava come viveva una giovane coppia,
tra nove concerti nascva e terminava la loro relazione, ma la straordinarietà
era che i protagonisti non smettevano, neanche per un attimo, di fare l’amore.
Non era un film vietato agli adulti, si intuiva che l’occhio del regista no era
libidinoso, era asettico, non mostrava né più né meno di quello che davvero fa
una giovane coppia innamorata.
Lo
stesso discorso vale per Mitchell, chiede allo spettaotore, attraverso la sua
piccola opera, se per caso non accade proprio così. Certo, il locale per molti
non sarà fondamentale, New York può essere sostituita da qualsiasi altra città
del mondo, non saranno gay o preorgasmici, ma nella sostanza, queste sono
metafore rappresentative, il nucleo del film è aiutare lo spettatore a non
provare vergogna per qualcosa che inevitabilmente gli appartiene, da un seno a
un gluteo, da una storia traballante alla fine della passione.
Questo è uno dei rari casi in cui si può davvero dire che il nudo serve da tramite e che il nudo può essere definito artistico.
RICORDI
DI CARNEVALE
di Nicola Perrelli
Zu carnulivaro, Za coraisima, zìzza
zìzza salata,
sono espressioni ormai in disuso, non più appartenenti al lessico quotidiano,
che rimandano alle manifestazioni carnevalesche che si svolgevano fino a qualche
decennio fa per il Corso ed i vicoli di Mormanno. Una tradizione, quella del
carnevale, che seppure non particolarmente
sentita nel paese, al punto che ogni memoria
si basa quasi esclusivamente sulle fonti orali poiché poca o del tutto
inesistente la documentazione scritta, per
l’ entusiasmo che suscitava tra grandi
e piccini e per il fervore che inducevano
i preparativi, è rimasta impressa nel cuore di tanti, quasi rimpianta per
essere andata perduta. Quale mormannese, ormai negli …anta, non ricorda con un pizzico di nostalgia e di
emozione le mascherate e il lieto gironzolare
per i quartieri nel periodo carnevalesco?
Prima
di dare nuovamente un “volto” al carnevale mormannese vediamo brevemente cosa
il Carnevale simboleggia. Sicuramente rappresenta il desiderio degli uomini
di vivere in un mondo diverso. Senza
soprusi , povertà, ingiustizie,ecc. Dove i potenti danno retta ai deboli,
gli allievi istruiscono gli insegnanti, la terra è di tutti e i governanti
ascoltano i governati. Cosi come rispecchia il tentativo di esorcizzare le difficoltà e le assurdità
della vita e l’immanenza della morte proponendo
un mondo in cui predomina la gioia di vivere e l’appagamento,
fisico e spirituale.
Carnevale
è dunque sinonimo di sregolatezza. Un
periodo che viene trascorso all’insegna
della libertà più sfrenata e del capovolgimento dell’ordine sociale e morale.
Dove i ruoli si sovvertono: il debole diventa potente, il povero si fa ricco.
In questo eccesso di libertà e di abbandono agli istinti primitivi ognuno
perde la propria identità, inverte il proprio ruolo e spesso anche il sesso e si
abbandona ad orge gastronomiche e a danze e balli frenetici. E’ l’illusione di poter per qualche giorno,
con travestimenti ,mascheramenti , libagioni e concessioni, rovesciare l’esistente.
E’ il mito ereditato dai Saturnali dell’antica Roma: il padrone che prende
in tutto e per tutto il posto dello schiavo. Che concede ai servi di sfogare le proprie frustrazioni
per riaffermare di riflesso l’ineluttabilità delle cose.
Ma
il carnevale è anche la rappresentazione
del passaggio dal vecchio anno, nemico e oppressore, al nuovo anno, liberatore e salvatore. Il trionfo
dell’imminente primavera sugli spiriti maligni del vecchio anno. E il re del carnevale che in questo periodo
ha regnato all’insegna del caos e del disordine
è destinato a morire da lì a
poco, il giorno del martedì grasso.
Il
Carnevale che si svolgeva a Mormanno non era annunciato da particolari cerimonie.
L’irrequietezza degli adolescenti, prodotta dalla
ricerca spasmodica del costume da
indossare, ne decretava l’inizio. Non si poteva certo parlare di maschere,
la limitatezza dei mezzi richiedeva
un forte spirito di adattamento, ma non per questo c’era avvilimento, come
si dice: di necessità virtù. Il mascheramento
il più delle volte consisteva nell’indossare
vecchi capi consumati, scampoli dai colori variopinti appuntati o cuciti direttamente addosso,
cappe dei nonni, cappelli consunti dal tempo e sciarpe che, come ai beduini
del deserto, coprivano l’intero viso. I più fortunati reperivano vecchie divise militari.
Mascherati
e accompagnati dal suono di tamburelli, trombette e altri strumenti rudimentali
il “branco” poteva dare inizio alla rituale
questua casa per casa con la
speranza di ricevere un tocco di salsiccia
alla richiesta zizza zizza salata,
che le massaie offrivano solo dopo aver “estorto” con un’ asfissiante serie
di domanda – a chi sei figlio? chi è tua nonna? chi ti ha cresimato? chi è il tuo maestro?
tuo padre dove lavora?... - l’identità dei mendicanti.
Il
momento più spettacolare era la sfilata delle maschere appresso il carro che
trasportava zu carnulivaro (re carnevale) , l’allegoria del vecchio anno che muore e porta con sé
le colpe ed i peccati del passato. Il corteo funebre piangeva quindi
la morte di Zu carnulivaro scoppiato
per aver troppo mangiato e bevuto ed ecceduto nel resto. Appiccicata alla
cassa da morto, quasi trascinata dall’incedere del carro,
Za coraisima (
Memorabile
fu un Carnevale degli anni ‘70 che vide l’istrionico Renato, detto di “coppula ianca”, protagonista
della manifestazione. Dopo una pantagruelica bevuta non ci pensò due volte
ad impersonare Zu carnulivaro ,
balzò quindi sul carro funebre e supino
si sdraiò nella cassa da morto, passandovi l’intero pomeriggio. E non deve meravigliare, il personaggio di cui
parliamo era noto in paese per le sue trovate e stravaganze. Per dirne una,
portò in quegli anni a Mormanno una scimmia, che con disinvoltura portava
sulle spalle quando passeggiava per il Corso, ed un leone, che fu rinchiuso
per diverso tempo nell’uccelliera del Faro votivo.
Questo
era il Carnevale per le strade , ma anche nelle case le tentazioni non mancavano.
Il periodo era quello buono, il maiale era stato da poco ucciso e le dispense
erano piene. E allora ,in previsione dell’astinenza
quaresimale, tutti a tavola a godere di sughi di carne, pasta di casa, polpette, salsicce,
formaggi, noci,vino e dolci tipici.
Oggi
è tutto diverso, viviamo il Carnevale
con gli occhi degli altri: quelli della televisione in particolare. Rincorriamo
le immagini sfavillanti del Carnevale di Venezia piuttosto che di Viareggio
o di Putignano. E il nostro?
E’
una festa perduta.
LE AUTO INTELLIGENTI
di Stefano Ferriani
Le
case automobilistiche fanno a gara per immettere sul mercato automobili di
nuova concezione, che si differenziano in modo enorme dalle auto del passato,
anche recente.
I
nuovi modelli, specialmente Mercedes, BMW, Volvo , sono dotate di sistemi di
sicurezza che mettono gli automobilisti al riparo da tutta una serie di
incidenti.
I
tamponamenti, per esempio, avvengono il più delle volte per banali distrazioni
ed alle basse velocità.
Le
moderne autovetture sono dotate di particolari sensori che non solo avvertono
il guidatore dalle pericolose presenze di ostacoli, ma il computer di bordo
provvede, autonomamente, a rallentare e bloccare l’auto –se necessario- qualora abbia elaborato come minaccioso ciò
che ha appena individuato.
Micro
telecamere a raggi infrarossi “avvistano” per tempo ogni sorta di pericolo che
i normali proiettori illuminerebbero solo parzialmente e dopo tempo prezioso:
si pensi ad una bicicletta che procede senza luci…
Per
quanto alla sicurezza “passiva” poi, si può dire che si sono fatti passi da
gigante.
La
ricerca in Formula
Il
pesante metallo, dal quale erano interamente ricoperte le auto, ha ceduto il
passo a speciali leghe leggerissime, che assorbono progressivamente gli urti.
Gli
airbag circondano integralmente l’abitacolo, dal quale sono stati eliminati
legni ed altri materiali particolarmente insidiosi in caso d’urto.
Si
può quasi parlare di una vera e propria cellula di sicurezza che protegge i
passeggeri dell’auto, come le vetture che corrono i Gran Premi.
Purtroppo,
però, accanto a tanti investimenti in sicurezza, non si investe sugli autisti,
che sono e restano poco capaci e molto ignoranti in fatto di conoscenze
meccaniche e di guida più in generale.
Non
bisogna mai dimenticare, infatti, che il “pilota automatico” non è stato ancora
inventato e le autovetture non camminano da sole.
LO SBALLO CHE INGRASSA
Il
mese scorso il Ministro della Salute Livia Turco ha proposto al Parlamento un
Decreto-Legge (i più volenterosi possono consultarlo sul sito internet www.ministerosalute.it) che
innalza fino a 1000 mg il quantitativo di hashish detenibile dal singolo senza
incorrere in conseguenze di tipo penale (raddoppiando la quantità limite
imposta dalla commissione Storace al governo precedente). Sicuramente degne di
una profonda riflessione le critiche che da più parti vennero opposte a tale
decisione. Non per gli orizzonti che esse aprono - poche, infatti, si
distanziano da un mero e fazioso qualunquismo - ma per l’ottusità ed il
moralismo che le accomuna. Partiamo da alcuni presupposti apparentemente alieni
l’uno all’altro. Primo: il carcere non è uno scantinato in cui nascondere la
merce difettata, né tanto meno la punizione che la società-bene impone a quella
degenere, bensì un luogo in cui individui che assumono comportamenti
incompatibili con la convivenza civile vengono “ospitati” perché accettino in
essi i valori comuni e condivisi dalla società di cui fanno parte. Secondo
presupposto: chi fa uso di droghe non è un individuo insano, né stupido,
minorato o colpevole, ma scandalosamente solo ed indifferente.
Posti
questi presupposti gli effetti della Fini – Giovanardi (la legge che disponeva
il carcere ai detentori di almeno 500mg di hashish - e che accomunava questa
sostanza all’eroina - promulgata nel 2005 e finora in vigore) si commentano da
sé. Sono infatti aumentati del 75,1% gli arresti per possesso di marijuana
(ovvero 1.699 individui, perlopiù ragazzi), dello 0,5% (ovvero 5.237 persone)
quelli per possesso di hashish, del 14,9% (ovvero 416 persone) per possesso di
piante di Cannabis (i dati si
riferiscono alla differenza tra il periodo 1gennaio2006 – 1ottobre 2006 e lo
stesso periodo del 2005, e sono forniti dal Ministero dell’Interno sul sito su
citato). Quanto hanno influito tali carcerazioni sul mercato della droga?
Quanti
ragazzi crediamo abbiano smesso di farne uso?
Se
si pensa di sconfiggere l’uso della droga solo con la violenza del carcere, si
è ben lontani dalla meta. È assolutamente necessario porre l’attenzione su ciò
che determina il fascino degli stupefacenti che trova terreno fertile negli
adolescenti. Si mettano da parte per un solo istante le realtà disagiate del
nostro Paese, considerando quelle “normali”, di adolescenti che vivono nelle
famiglie “bene”. Si è detto che il tossico dipendente è solo ed indifferente.
Questa solitudine crea uno stato cronico di noia che non si riesce a superare.
Un sabato sera al pub, una festa tra amici è noiosa se non viene impegnata con
un qualche diversivo.
L’uso
smodato di super-alcolici, tabacchi e droghe sopiscono questa noia,
disinibiscono a tal punto che ci si diverte solo se se ne fa uso. Dopo un po’
si crea una “dipendenza psicologica”. In altre parole anche l’elemento alcool,
droga e tabacco divengono una pratica codificata e “condicio” nell’organico
della determinata situazione. Come si può pensare di punire una gioventù tale?
Vittima di un assoluto vuoto che l’avvolge come in un vortice. Ma colpevole di
non aver maturato un’autocoscienza tale da accorgersi del vuoto nella quale
giace. Colpevole di non riuscire a maturare la speranza di risollevarsi.
Colpevole come la società stessa, rea di non creare i presupposti perché una
speranza abbia ragion d’essere. Ritenere un ragazzo degno del carcere perché fa
uso di droghe equivale a giudicare degna del carcere la società stessa.
La
soluzione, in parte, sta già nelle parole del Ministro Turco che nel decreto si
propone di supportare seriamente gli Istituti di Recupero per
tossicodipendenti. Positiva la scelta di congelare l’aumento insulso di arresti
per possesso di droghe. Ma non basta. Non si può correre il rischio di
legittimare alcuno all’uso degli stupefacenti. Uno Stato etico deve farsi
carico di riempire quel vuoto di cui si parlava. Se davvero lo Stato è la più
alta sintesi tra individualismo e
collettivismo, esso non può permettere che alcuni degli organi che lo
compongono si abbandonino alla cancrena che li strangola giorno per giorno. Che
si salvino quelle menti, nel rispetto, però, delle libertà d’ognuno.
* *
*
C’è
ancora un altro aspetto. Quando si pronunciano i termini marijuana, cocaina,
eroina, ecstasi vengono subito in mente immagini di siringhe, pasticche o
nuvole di fumo che ci sembrano volteggiare davanti agli occhi. In realtà dietro
tutto ciò si celano montagne di danaro che impinguano in maniera smodata le
casse delle mafie. Ed ecco che l’ “innocente” spinello diventa danaro. E come
tale si muove. Passa di mano in mano. Di progetto in progetto. Con i pochi euro
necessari per assicurasi qualche minuto di “sballo” si finanziano i progetti
della mafia. È con quei soldi che uno spinello diventa il proiettile con cui è
stato ucciso Fortugno. Con quei soldi viene comprata la benzina per incendiare
le industrie e le attività che rifiutano l’usura. Con quel danaro ci si è procurati
la dinamite che ha annichilato i corpi di Peppino Impastato, Giovanni Falcone,
Paolo Borsellino e tanti altri, delle cui parole ci fregiamo così volentieri la
bocca.
Proprio
la nostra cara mafia che, in barba a chi la vorrebbe impegnata a premere
formaggi ed impastoiare capretti, stringe accordi con il Sud America,
Il
problema della droga deve essere risolto ora. Non si può più aspettare.
Si
tenga sempre a mente, però, che non sarà la repressione a sconfiggere le mafie.
Chissà
se “Il Papa e la strega” di Dario Fo potrà venire in aiuto di quei potenti che
sono eletti a risolvere tale drammatica soluzione:
[Dario Fo, nelle vesti del PAPA,
si trova in un capannone dimesso in cui
S’intende che è tutto un equivoco,
dal quale emerge il comico e la denuncia]
PRIMO
ARROGANTE
Prova
a pompargli un altro schizzo [una dose di eroina, n.d.r.]. Forse gli manca il carburante.
PROFESSORE
Ma
glien’ho fatta una siringa intera…guardate che è
molto
pericoloso…poi rischia che si ammutolisca del tutto…
PRIMO
ARROGANTE
Pompa,
pompa!
PAPA (riprende col tono di uno
speaker)
Lo
stesso responsabile della C.I.A., Norton
Cate,
ha dichiarato che è impensabile sconfiggere militarmente l’organizzazione dei
narco-trafficanti e della mafia internazionale.
PRIMO
ARROGANTE
Visto,
adesso viaggia come un treno!
PAPA
L’unica possibilità di abbattere
questo mercato è quella
di liberalizzare l’intero mercato
delle droghe, sotto il
controllo dello Stato.
SECONDO
ARROGANTE
Ma
che c.. di drizzone va prendendo?
PAPA
Anche
Bush [senior, n.d.r]nel suo ultimo intervento al
popolo
americano, ha ammesso che la repressione
determina
uno sviluppo del mercato della droga ed un
incremento
della mortalità.
SECONDO
ARROGANTE
Ehi,
frena! Gli sono partiti i relè.
PRIMO
ARROGANTE
Buono
! Ascolta santone, mi senti? Pronto, sei in linea?
PAPA
Sì,
sento…qui è santone che parla…pronto…pronto…se
volete
continuare il dialogo mettete altre due monete,
grazie!
Dopo
alterne ed “oniriche” vicende il Papa viene ucciso, dopo aver rivelato al mondo
di essersi drogato e di credere che si possa <<smantellare la mafia…con
tutti gli interessi che coinvolge…gli equilibri che determina>>.
<<Bisogna essere comprensivi verso questi nostri figlioli – dirà Dario
Fo/Papa – travolti dentro un gorgo di alienazione terrificante, di cui noi
abbiamo qualche responsabilità>>. È Franca Rame a concludere l’opera
avanzando in un proscenio ormai allucinato, macchiato dal corpo esanime del
papa: <<Come diceva sant’Agostino: “Guai all’uomo di potere che si mette
dalla parte di chi potere non ha”>>
ZONA FRANCOBOLLO
FRESCHI DI STAMPA: UNA STAGIONE A MORMANNO
di Francesco Aronne
Con un
certo stupore, prima di Natale ho acquistato un volume dal titolo “Una
stagione a Mormanno” di Mario Bevilacqua. Non conosco l’autore, scomparso
nel 2004, ma la sua pur breve biografia contenuta nel libro evidenzia che trattasi
di persona abituata allo scrivere.
Il testo
si offre ad una lettura disinvolta che scorre piacevole e che porta chi legge
ad ultimarla in due o tre riprese.
Credo che
il lettore mormannese, soprattutto se, come me, non ancora nato all’epoca dei
fatti narrati, a differenza degli altri che leggeranno questo libro, cerca in
ogni riga qualche elemento che lo ricongiunga con la storia passata.
Le
vicende raccontate sono ambientate nell’ottobre del
Il
racconto: una storia d’amore… sofferta, impossibile, improbabile, difficile,
segreta, esagerata, tenera… al lettore la finale sentenza.
Queste
brevi considerazioni a margine, non vogliono in alcun modo privare il lettore,
del piacere proprio ed unico della
lettura, anzi dare ulteriori stimoli e spunti.
Alla fine
non si svela l’arcano: quale Mormanno? Di quale Mormanno si tratta? Il dilemma
rimane: Mormanno come puntino qualsiasi di un universo infinito?…
La foto
di copertina (dei giorni nostri e non da una cartolina d’epoca) è
quell’elemento che manca in tutto il libro e che inequivocabilmente dice che
trattasi proprio della nostra Mormanno.
Alla “Casa del Passeggero” avrei
preferito una ambientazione nel mitico “Albergo Gilda” anche se all’epoca dei
fatti forse non esisteva ancora.
Mi ha
colpito la frase “della via che conduceva al centro di quel tetro e
deserto paese…” ed ancora qualche improbabile pianta di arancio, le
invisibili (da Mormanno) cime del Pollino…
Ma si sa,
lo scrittore libra la sua fantasia e spesso vola alto, più alto ed al di là
delle speranze nascoste del suo lettore. La lettura del libro alla fine ripaga
comunque chi legge e farebbe certamente piacere, un giorno, vedere una
rappresentazione teatrale della “Compagnia del Cucco” di “Una
stagione a Mormanno”.
Rimane
l’enigma del perché l’autore abbia scelto proprio Mormanno per l’ambientazione
della sua storia ma è poco importante la risposta… si sa, lo scrittore libra la
sua fantasia e spesso vola alto, più alto ed al di là delle speranze nascoste
del suo lettore.
[1] Gaetano Ambrogio Rossi 1664-1767; Grisolia
Michelangelo 1754-1794; Vedi: E. Pandolfi
Catalogo degli Scrittori di Mormanno Tipografia dello Sparviere, Mormanno 1900,
pag.46 e 12
[2] Antonio D’Alessandro, Domenico
Anzelmi, Carlo Capalbi, Filomena dott.
[3] Francesco Filomena scrive un Breve
saggio sull’operazione dell’oppio e dell’aria fissa ed infiammabile negli
animali secondo il sistema dell’elettricità,
Napoli 1781 ed ha corrispondenza epistolare con il fisico Luigi Galvani. Vedi
ristampa curata dal dott. Giuseppe Leone, Pompei, dicembre 1986; Francesco
Saverio Bloise, autore di una grammatica
latina e di un Vocabolario
Latino-Italiano e Italiano-Latino E. Pandolfi pag 8; Perrone abate
Nicola, autore di un vocabolario fatto in collaborazione con il Bloise, E.
Pandolfi pag. 16. Su Niccolò Perrone vedi
mio studio su Mormanno un paese…nel mondo,
edizione aggiornata sul web al sito www.paternostro.org oppure su www.faronotizie.it
[4] Vedremo chi erano nel citato Mormanno un paese
[5] Eduardo Pandolfi, Società Filomatica e Biblioteca popolare
circolante, Cosenza tip. Municipale, 1871
[6] D. Crea Società,
economia, imprenditoria in Mormanno tra l’800 e il ‘900, Ed. Coscile 1995
[7] Pieno medio evo bizantino. Vedi mie
note in Mormanno un paese…
[8] Vedi pagine 8, 9 e seguenti in Vicende
storiche e uomini illustri di Mormanno di
[9] Alessio, Dizionario di Toponomastica,
UTET, 1990
[10] Vedi pag. 18 de Il Paese Grigio di Napolitano-Grisolia,
ed. Maganò Bordighera 1990.
[11] Biagio Cappelli, ibidem pagina
[12] Chiaromonte, cittadina della
confinante Lucania in provincia di Potenza. E’ parte del Parco del Pollino. Ha
1171 abitanti ed è posta a m. 650 s.l.m. Interessanti sono il centro storico,
[13] Vedi
il testo in Mormanno un paese…. Per la verità alcuni
studiosi dubitano sulla autenticità dell’atto che tuttavia viene riportato da
Padre Francesco Russo in Storia della
diocesi di Cassano allo Jonio, Napoli 1964. Vedi pure: Domenico Crea e
Francesco regina in “Mormanno.
[14] Biagio Cappelli ibidem pagina 38
[15] Il monastero di Carbone, inserito nell’eparchia
della valle del Sinni, fu fondato dai Santi Elia ed Anastasio dell’ordine di
San Basilio quivi giunti dal Mercurion. Di esso rimangono solo pochi ruderi in
località Valle Cancello.
[16] Nella città di Mormanno vi sono oltre
duecento tre fuochi - leggi famiglie - che producono una rendita annuale
di
[17] Napoli, Archivio di Stato, volume 155
intitolato Carolus II, foglio 992,
[18] E. Pandolfi, Catalogo citato
[19] A favore della popolazione del castro
(paese o luogo abitato) di Mormanno, da parte di Giovanna e dai reggenti
la curia viaria del regno di Sicilia. Il periodo storico è quello della lotta
tra angioini e aragonesi. Universitas equivaleva all’insieme dei
cittadini abitanti il castrum, paese
o luogo ove la residenza era accertata e permanente.
[20] Biagio Cappelli, ibidem pag. 43
[21] Vedi E. Pandolfi, Catalogo citato, pagina 23
[22]
Vedi Mormanno un paese citato. La costruzione
della chiesa, per la cui storia rimando al mio più volte citato Mormanno un paese, richiese tre tempi
diversi. Il primo, più antico non sicuramente databile per mancanza di atti ma
presumibilmente avvenuto intorno al 1100, vide l’impianto di un tempio
alternativo a quello posto sul colle dell’Annunziata già dedicato a San Biagio,
protettore della Diocesi di Cassano, il cui culto continuò in una cappella
allora fuori porta che si trovava nel rione omonimo come ricorda Vincenzo Minervini
in Mormanno d’una volta pag.15
“esisteva presso il mattatoio una cappella dedicata a San Biagio. Io ne
ricordo i ruderi, ora scomparsi. In essa vi era un quadro del Santo che ora si
conserva in chiesa”. Il
secondo fu il rifacimento ad ampliamento di tale fabbrica che si concluse nel 1568 e infine il terzo
che durò fino al 1782 e diede all’edificio sacro l’aspetto che ancor oggi
conserva. Dei due primi templi non
restano tracce evidenti perché tutti inglobati nell’ultimo.
[23] Tra le più antiche segnalo:
·
Madonna
in trono con Bambino, in pietra arenaria, posta sul campanile protogotico databile al XIV secolo;
·
Affresco
della Madonna delle Grazie- prima cappella a sinistra – inizi del XVI secolo;
·
Fonte battesimale in marmo di scuola nolana datato
1578 e cappello ligneo dei primi del
1600;
·
Edicola
marmorea dell’Olio Santo del 1511;
·
Organo
in legno di scuola napoletana costruito nel 1671;
·
Bassorilievi
in pietra arenaria raffiguranti i Santi Pietro e Paolo, oggi ai lati dell’altare
della Madonna del Rosario, databili alla fine del XIV secolo, già posti
all’esterno quale decoro di un edificio adibito a corpo di guardia o,
probabilmente, sulla facciata del primo o secondo tempio.
·
Cripta
aperta al pubblico l’8.12.1997 dopo lavori di consolidamento finanziati con fondi CEE gestiti dalla
Comunità Montana del Pollino.
[24]Tanto mi comunicava in una sua lettera il Cav. Amato Campolongo, apprezzato storico contemporaneo, autore di svariate pubblicazioni di carattere storico - genealogico e valido collaboratore del giornale Tribuna Sud, sulle cui colonne si è più volte espresso.
[25] Notizie tramandate oralmente
[26] Catasto Onciario di Mormanno – in Archivio di Stato a Napoli. Notizie fornite dal citato Cav. Amato Campolongo.
[27]
Patrimoniale della Vle Cappella del S.S.mo di Mormanno,
pgg. 219 – 225: Testamentum qm R. D. Honorati Ferriolo in quo reliquit petium
terrarum ubi dicitur Piedi
[28] Don Onorato Ferriolo figlio di Ottavio e Delia Capalbo. Sacerdote. (01.11.1620 + 08.07.1698)
[29] Diminutivo dell’avverbio di tempo latino quondam, che anteposto ad un nome proprio di persona in atti anagrafici o scritture in genere, ne denotava l’avvenuto decesso al momento della stipula (come a dire fu).
[30] In particolare nel Libro della Congregazione della Morte a proposito dell’ubicazione di diversi beni stabili di proprietà della Congrega, quali orti, case e fundaci (ossia i bassi di un unico complesso strutturale)
[31] La famiglia di Cristofaro Ferraiolo della fornàra deceduto agli inizi del novecento, fu l’ultimo anello di una lunga catena; Elisabetta Ferraiolo (1865+1938) detta fornarella per la statura, risulta veramente l’ultima persona annotata nei registri con quel cognome.
[32] Che fu sede del Liceo Scientifico sino a qualche anno addietro.
[33]
Non si tratta di una
mera novella frutto della fantasia, la notizia è tratta da un manoscritto di
famiglia del pugno dell’avo F. A. e combacia perfettamente con quanto risulta
nella cronotassi dei vescovi di Cassano. Questo vescovo, che tralignava
completamente dal suo magistero, dopo essere stato deposto continuava a
permanere nell’Episcopio di Mormanno ed oltre ad esser già concubino,
pretendeva anche avvalersi dello “ius
primae noctis” !.
Per questo e per altri motivi, gli appartenenti alle
scomunicate famiglie Molinari e Paternostro, lo rinchiusero in una botte irta
di chiodi con le punte rivolte nell’interno, e lo precipitarono verso il fiume
per il dirupo predetto, verso l’anno 1428.
[34] Paradiso, Canto I verso 34: può accadere che un incendio scoppi per causa di una piccola scintilla.
[35] Suppongo si tratti del comune di Castronuovo di Sant’Andrea (PZ) dove il cognome è ancora corrente e non dell’omonimo comune in provincia d’ Aquila.
[36]
Cfr. Vicende storiche
ed uomini più illustri di Mormanno,
FARONOTIZIE.IT - Anno II - n° 11, Febbraio 2007
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