FARONOTIZIE.IT  - Anno II - n° 10,  Gennaio 2007

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Direttore responsabile Giorgio Rinaldi

BUON ANNO A TUTTI, TRANNE CHE…

Editoriale del Direttore,  Giorgio Rinaldi

Il filosofo cinese Chuang – Tzu, vissuto nel IV secolo a.c., affermava che gli uomini hanno la granitica mania di conservare le cose, di sistemarle, di impacchettarle e prepararle per i ladri.

Come dire, noi facciamo ogni cosa come se facessimo dei pacchetti, perché poi qualcuno possa prenderseli, già pronti per l’uso.

Sia che si tratti di un ladro che ti entra in casa, sia uno sconosciuto erede o un agognato genero o un’amata nuora, e così via…

Ogni mattina fabbrichiamo pacchetti: uno che contiene la nostra tranquillità, un altro la nostra sicurezza, un altro il nostro benessere, un altro il nostro denaro, un altro i nostri sentimenti, etc., etc..

Poi, deleghiamo ad altri il compito, - retribuito, s’intende! – di vigilare sui nostri pacchetti per evitare che siano bellamente consegnati al primo venuto, in genere ad un furbetto che campa sull’altrui buonafede.

Ma, il più delle volte, i vigilanti non vigilano, i controllori non controllano, i governanti non governano.

E, allora, non c’è giorno che qualcuno non si appropri di un nostro pacchettino, contenente tranquillità, denaro, confort,

Mastri nelle ruberie sono le banche, le assicurazioni, le compagnie telefoniche.

Ognuno di noi ha quotidianamente rapporti con aziende di tali settori che, seppur private, agiscono la livello di “oligopolio protetto”: in poche parole, fanno quello che vogliono.

Prendiamo i contratti che siamo costretti a firmare così come una di queste società li ha preparati.

Sono totalmente incomprensibili alla stragrande maggioranza della popolazione.

A parte il linguaggio obsoleto, contorto, oscuro, tecnico, i caratteri tipografici usati possono essere letti solo con una buona lente di ingrandimento.

Vuoi aprire un deposito in banca ?

Vuoi mettere in casa il telefono o acquistare una scheda per un portatile ?

Vuoi stipulare un contratto assicurativo per la tua auto o per infortuni ?

Devi per forza passare sotto le forche caudine dei loro contratti già predisposti.

Appena sorge un problema viene il bello.

Scoprirai, immediatamente, che tu hai concesso alla banca il diritto di non restituirti i tuoi  soldi se non a condizione di…; che il tal servizio costa la

spropositata somma di…; che gli interessi sono in ragione della variazione del pil e dell’indice di borsa tra i titoli di compagnie i cui rapporti sono dovuti all’incrocio dei dati tra le economie dei paesi emergenti tranne per quelli…. .

Scoprirai che le telefonate costano in ragione della fascia oraria detratta l’ora legale e sommata quella in uso a Tokyo, con scatto iva esclusa alla risposta se avvenuta dopo tre squilli, e se hai un cellulare la ricarica ti costa solo il 25% di quanto l’hai pagata, ma se ne compri una di una valore inferiore il costo passa al 33% o al 10% se maggiore… .

Scoprirai che l’assicurazione ti risarcisce solo se il danno è stato causato dall’invasione dei marziani, perché così è scritto nell’appendice alle condizioni generali sottoscritto in deroga al modello 11/C76AXXX che tu, ci puoi scommettere, hai sottoscritto con la proposta contrattuale; se, invece, hai stipulato una di quelle polizze “a riscatto”, quando decidi di ritirare i tuoi soldi, te ne tratterranno la metà, se non è passato un dato tempo, che tu ignoravi ma che nella clausoletta in fondo alla trentaduesima pagina dell’allegato C del modello ZZKKIII è specificato che si applicano i “caricamenti”, parola in uso nelle remote regioni di Papua Nuova Guinea, termine che tu non hai mai sentito ma che imparerai a tue spese.

Nessuno ti aveva mai detto nulla, ma tu hai apposto 10 – 12 volte la tua firma in tutti gli spazi previsti ed hai accettato l’inaccettabile.

E’ vero che ultimamente sono state introdotte garanzie a favore del consumatore (cioè di tutti noi), ma è anche vero che ancora sono consentite innumerevoli deroghe, i cavilli la fanno da padrone, le “maglie” sono sempre troppo larghe.

Negli USA, per esempio, un contratto come quello che i consumatori italiani sono costretti a firmare, sarebbe considerato illegale a semplice vista.

Negli States ogni contratto fatto con gli oligopolisti è valido se è stato certificato da un tecnico neutro il quale dichiara che al consumatore è stato spiegato tutto in modo dettagliato ed esauriente, e che gli siano state proposte valide alternative.

In Italia sarebbe troppo complicato anziché pagare dei “garanti” e la pletora di impiegati da cui sono circondati e da noi pagati, introdurre ferree norme e regole a garanzia del contraente più debole?

Certo che no.

E, allora ?

Andate a vedere da chi sono composti i consigli di amministrazione e le dirigenze di banche, assicurazioni, società telefoniche, e avrete subito la risposta.

Ecco perché io, il “buon anno” a certi signori non glielo auguro di certo!

ODI ET AMO

di Luigi Paternostro

Tra il 1950 e il 1960

In Italia e nel Mondo

Nel ’52, negli Stati Uniti, entra in servizio il primo calcolatore elettronico adibito ad impegni amministrativi.

Nel ’53, mentre si sperimenta il batiscafo Trieste  o si avviano i primi passi per la TV a colori.  Viene scoperta, la struttura a doppia elica del DNA  (Watson e Crick).  

Nel ’54  Ardito Desio raggiunge il K2.

Nel ’55  Paolo Pasolini pubblica Ragazzi di Vita.

Nel ’56 la rivolta ungherese fa palpitare. Oltralpe Sabin  scopre un vaccino antipoliomielitico più efficace di quello di J.E. Salk.

Nel ‘57 Alberto Moravia, dopo La Romana, pubblica La Ciociara riprendendo l’analisi del comportamento del fascismo verso i ceti popolari.

Nel ’58 Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XXIII, succede a Pio XII.

Nel ’59 nasce l’idea di un governo di centro sinistra lanciata da Aldo Moro, allora segretario della D.C.

Nel ’60 Luther King organizza marce e sit.in. Il monocolore guidato da Tambroni appoggiato dai monarchici e dai fascisti, reprime le manifestazioni popolari di Genova causando alcuni morti a Reggio Emilia e in Sicilia. La TV  tenta un nuovo cabaret che si avvale della collaborazione di alcuni intellettuali quali Soldati, Arbasino, Flaiano, Pasolini, Moravia e altri e alcuni attori come Poli, Proietti, Fo, Valeri.

A Mormanno questi avvenimenti arrivavano sopiti ed ovattati.

Poche famiglie avevano la TV. Al Circolo Cittadino venivano anche da Castrovillari a vedere Mike Buongiorno.

Si asfaltò la statale 19. La Littorina collegava ancora Spezzano Albanese a Lagonegro e la SASMA  Mormanno a Scalea. La domenica, dopo la Messa delle 11, si strusciava per il corso al suono dell’altoparlante del Cinestar ove teneva banco Rocco e i suoi fratelli, mentre nella Sala San Giuseppe strappava lacrime e sospiri Luciano Taioli  che cantava Terra straniera, Balocchi e profumi, Lo stornello del marinaio, Addormentarmi così, Tango del mare.

Le signorinelle andavano in estasi. Le ragazze più sprint invece allo Snack Bar ascoltavano dischi di jazz e  qualche canzone più osé.

Si vendevano tuttavia pochi giornali e si leggevano pochi libri. Esisteva la Biblioteca Popolare ma era guardata con rispetto e come cosa adatta solo a pochissimi.

Gli intellettuali del tempo erano  poco impegnati verso il sociale.

Chi svolgeva invece un’opera ardua e difficile era la scuola benché carente di idonee strutture (edifici, arredamenti, attrezzature).

I programmi del 1955 che nell’intenzione dovevano rappresentare il superamento di quelli del 1928  e di quelli peraltro temporanei del 1945, trovarono difficoltà di applicazione soprattutto da parte di alcuni vecchi insegnanti che spronati tuttavia da un gruppetto di giovani  entusiasti e preparati cercavano di adeguarsi ai nuovi tempi.

La famiglia non partecipava all’azione didattica. La delega era ampia e incondizionata.

Il Comune, le cui risorse economiche consistevano in tasse che gravavano soprattutto sui poveri (fida pascolo, dazio, occupazione di suolo pubblico ed altri balzelli), aveva bilanci con spese totalmente contenute. I segretari comunali dell’epoca avevano, novelli Quintino Sella, come unico scopo il pareggio.

La produzione agricola andava migliorando e superando ampiamente quella pre-bellica. La conduzione restò tuttavia individuale o quantomeno familiare. La cooperazione fu ignorata almeno fino agli anni ’90. Si sostituì l’aratro a chiodo con quello in ferro e timidamente apparve qualche trattore e qualche mietitrebbia.

Si continuava a mietere usando la falce  i cannèddri e la vantèra, aspettando il ponente per pulire il grano dalla paglia che veniva ventuliàta con la fùrca cantando intanto:

via bèddru via bèddru, ògni grègna nù stuppèddru;

e li vòi tòrnu tòrnu, la patrùna ‘ntru lu fòrnu

e li vòi pìsa pìsa, la patrùna stà n’cammìsa,

e li vòi ràsa ràsa, Santu Martinu mmènzu ci tràsi;

tìra e tàgghja tìra e tàgghja tùttu grànu e nènti pàgghja;

cèssa e vòta,  vòta e cèssa, la patrona tèni prèssa;

vìva vìva ca s’è tagghjàta, cèntu  tùmmuli a tummulàta. [1]

Il pastificio D’Alessandro e il biscottificio della SIAD rappresentavano un’ancora di salvezza per molte famiglie.

Eppure si continuava a partire. Francia, Germania, alta Italia sono i luoghi più cercati.

In quegli anni espatriarono anche  diplomati e laureati che, vincitori di vari concorsi, trovarono posto nelle più disparate città dell’Italia.

Tra il 1960 e il 1975

In Italia e nel Mondo

Nel ’61 esce il film Il posto di E. Olmi, Giovanni XXIII promulga la Mater et Magistra. A Milano e poi a Genova e Firenze si costituiscono le prime Giunte di centrosinistra.

Nel ’63, gennaio, viene approvata la legge di riforma scolastica che istituisce la scuola media unica e porta la frequenza a 14 anni.

Nel ’64  muore, a Yalta, Palmiro Togliatti, lasciando a Luigi Longo il compito di condurre il comunismo italiano verso il socialismo da raggiungere attraverso le riforme  e l’azione all’interno delle istituzioni democratiche.

Nel ’65 gli Usa bombardano il Vietnam del Nord mentre affrontano nuovi disordini razziali con Martin Luther King.

Nel ’66 in Cina avviene la rivoluzione culturale proletaria. Firenze è alluvionata.

Nel ’67 si conclude la guerra dei sei giorni tra Egitto e Israele

Nel ’68 alle elezioni politiche del 19 maggio crollano i socialisti che perdono oltre un milione di voti.

Nel ’69 alla strategia delle tensione, imputabile ai neofascisti, segue lo sbarco sulla Luna con la missione Apollo 11.

Nel ’70 viene approvata la legge finanziaria regionale e quella elettorale regionale.

Nel ’71 l’Unione Sovietica lancia il Lunik 16 che atterra sulla Luna e ne riparte dopo aver prelevato campioni di terreno.

Nel ’72 si costituisce a Roma la Federazione CGIL-CISL-UIL. L’Unesco proclama l’Anno Internazionale del Libro.

Nel ’73  assistiamo in Italia ad una grave situazione economica: il crollo della lira sul mercato dei cambi induce il Governo  Rumor  a decretare un blocco per 90 giorni dei prezzi dei generi di largo consumo che risulterà alla fine inefficace.

Nel ’74 con la collaborazione di scienziati di 72 paesi ha inizio il programma GARP (Global Atmosphere Research Project), per lo studio su scala planetaria delle caratteristiche dell’atmosfera terrestre.

Nel ’75 in Italia il Parlamento emana un provvedimento. che abbassa l’età minima per il voto a 18 anni e la Camera approva la riforma del diritto di famiglia che istituisce la piena parità tra i coniugi.

A  Mormanno

Una ventata di rinnovamento politico si ha con la vittoria della lista Faro e con l’elezione a Sindaco prima di Marco Alberti e poi di Luigi Maradei. E’ una breve stagione. Nel 1964 rivince la D.C. che elegge Giuseppe Palazzo, poi alla sua morte, luglio ‘65, Giuseppe Alberti, dal 19 agosto ‘65,  e infine, dal 28 febbraio ‘66 al giugno del ‘70, Angelo Donnici.

Le elezioni del ’70 (7 giugno) e quelle del ‘75 (15 giugno) vedono l’affermarsi del P.S.I. e la nomina a Sindaco prima di Duilio De Rose, poi di Domenico Rinaldi, poi di Franco Alberti ed ancora di Duilio De Rose che reggerà il Comune fino al 1980 quando, a seguito della vittoria delle Lista Unitaria di Sinistra, assumerà il ruolo di Sindaco Luigi Maradei.

Ricordo che in questa stagione si realizzarono, fra tante altre opere di cui meglio direbbero i politici locali e che a me sfuggono anche per mancanza di documentazione, queste due che ritengo davvero pregnanti: il nuovo edificio scolastico e l’ospedale.

In questo contesto mi piace ricordare che nell’anno 1974, presente a Mormanno come direttore didattico, (vedi il mio Ricordi di vita magistrale) furono abolite le scuole di campagna e con esse quella discriminazione sociale che da secoli aveva segnato un dislivello difficilmente appianabile altrimenti.

Mormanno ebbe pure la sua Media Unica che con la presenza di valenti docenti e Presidi attenti e preparati contribuì alla formazione ed elevazione  culturale e morale del popolo.

In questo periodo però, venuto meno il supporto industriale per la chiusura del pastificio e del biscottificio, vi fu un riciclo delle forze lavorative che vennero ridistribuite in parte nell’Ospedale ed in parte del Consorzio di Bonifica [2] .

Molti però non trovarono il modo di occuparsi. Si ritornò così al flusso migratorio da cui anch’io, sebbene volontariamente, fui coinvolto nel 1975, anno che conclude questa breve e rapida ricerca.

***  *  ***

 

Partire, andare, cercare nuovi cieli climi diversi.

E’ aspirazione connaturata a tutti gli esseri presenti sulla terra.

Volano nell’aria le samare e i pollini attraversano interi continenti.

Torme di ungulati percorrono le savane della Tanzania, che sono le stesse da cui partì Lucy per colonizzare  tutte le aree disponibili del globo.

Chi parte non torna indietro.

Se tempo fa le migrazioni avvenivano dopo una stanzialità di almeno due o tre generazioni, oggi si parte anche nell’arco di una sola.

E come le rondini ogni tanto chi può, ritorna.

Cosa c’è alla radice del fenomeno?  Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior. Odio e amo, perché lo faccia mi chiedi. Non lo so. Sento che avviene e mi rattristo.

Quando si parte si è pieni di sentimenti di tristezza, di impotenza, si pensa a quei soprusi, alle incomprensioni che hanno reso impossibile la realizzazione  di un sogno di vita, il proprio, che si spera avvenga sotto altri cieli [3]

E qui si ricomincia da capo.

Questa volta soli.

A sudare, a farli largo, a sopportare e inghiottire pillole amare, ad affinare il cuore e la mente, a sperare per il futuro dei figli ormai cittadini a pieno titolo del nuovo approdo. E quando il cielo diventa più sereno e lo Sturm und Drang si è finalmente placato, allora ricomincia l’amore per il natio loco, che è in definitiva un sentimento composto da nostalgia, perdono e gioia.

Nostalgia della propria fanciullezza, perdono dei trattamenti subiti, gioia per essere sopravvissuto a qualche don Rodrigo di turno. E si ritorna. Come le rondini. In posizione verticale, il biglietto è ancora di andata e ritorno, Come stai? Bene e tu? Quest’anno c’è la ….esima festa dell’emigrante. Il Comitato ha organizzato…. Verrai? Certamente! La permanenza è breve. Estiva, come quella delle rondini. Quella definitiva avviene con un manifesto. Per altri anche  con un corteo che si conclude all’ombra dei cipressi dalle fronde stornanti che svettano sul Colle dell’Addolorata. 

LE RONDINI DI MORMANNO (8/8) - FINE

CYCLAMINOS MAGISTER

di Francesco M. T. Tarantino *

Scomparso fra le nebbie di un paese offeso e inconsolato

Sicomoro degli alti pascoli e fondi di terriccio rigenerato

Tra i passaggi degli angeli col tuo sguardo inconfutabile

Sorridendo coi tuoi occhi da bambino ingenuo ed amabile

Sei andato in punta di piedi senza il ricordo degli studenti

Senza applausi ed approvazioni beffato da cialtroni ridenti

Non un saluto non un addio non un cenno di condoglianza

Per un uomo professore ostinato e contrario all’ignoranza

Senza gloria e paraventi attento alla cultura e non per soldi

Ma per scuotere le sicumere di docenti ignoranti e ribaldi

Che vigliaccamente imprecano contro un effimero destino

E si lamentano e piangono e non sanno indicare il cammino

Ne hai insegnate di cose belle con pienezza di significato

Caro professore alto fiore che la vita al sapere hai dedicato

Tra le risa di quei giovani che inutilmente hanno usufruito

Del tuo tempo della tua fantasia di un insegnamento definito

Incompreso sei fuggito perché indegno non potevi comparire

Nei consessi alti ed autorevoli di professori adatti a differire

La storia il tempo e il divenire oltre il garbuglio dello scritto

E poi legge e impara e ripete e nella vita resta sempre zitto!!!

CINEMA DI GUERRA IN LIBANO

di  Ali Baidoun

E’ normale che ogni cinema rifletta il mondo quotidiano del paese da cui proviene, sia che si tratti di un paese con i conflitti urbani, come le grandi città cosmopolite tipo Parigi, Roma, New York, etc...,  sia che si tratti di un paese in guerra.

Libano, questo piccolo pezzo di terra mediterraneo, geopoliticamente collocato nel medio oriente, è  una terra bella che, suo malgrado, si è spesso trovata in mezzo a guerre di altri grandi paesi.

La storia del cinema libanese ha sempre seguito la situazione politica, e i registi cinematografici si sono trovati a fare cinema mentre si combatteva tutto intorno, così si è creato un cinema di guerra, un cinema che è sempre piaciuto al mondo occidentale, già dall’inizio dello scorso secolo sino ad oggi.

La natura geografica del Libano, che è la porta dell’oriente, ha dato ai libanesi una grande voglia di partire, di emigrare, già da oltre 7000 anni orsono, da quando i libanesi erano gli antichi Fenici.

L’emigrazione libanese è stata spesso il soggetto del cinema libanese degli anni quaranta, soprattutto nei film del regista cinematografico Georges Nasser..

Il fatto che la situazione era tranquilla in Libano, da dopo la seconda guerra mondiale alla fine dell'anno 1975 (l'inizio della grande guerra civile libanese), ha fatto sì che nascesse un bel cinema,  dove si vedeva la bella vita libanese, turistica e vitale.

Il Libano ha vissuto un periodo d'oro e sul piano mondiale era stimato e conosciuto come La Svizzera dell’Oriente.

Questo "bel" cinema è divenuto universale con i film dei Fratelli Rahbani, e

con altri film stranieri che sono girati in questa terra mediterranea.

Purtroppo, questa realtà non è rimasta così per  lungo tempo.

13 Aprile 1975, l'inizio della guerra civile, Beirut completamente distrutta dalla guerra che altri paesi combattevano in terra libanese. Possiamo dire che, a causa dei conflitti militari, il cinema di guerra è ritornato, la voglia di far vedere il dolore vero dei libanesi è cresciuto.

Anche se questa guerra è finita nel 1990, il Libano è rimasto in una brutta situazione, il cancro della guerra non ha lasciato nulla di buono, una ricostruzione stanca di un paese che ha pianto molto.

I registi cinematografici non potevano interpretare altre cose, si vede che la guerra ha dato questo input al  cinema libanese.

Potrebbe essere un cinema strano,  che  manca nei paesi europei ma, purtroppo, il cinema vero non è solo la guerra, i registi cinematografici libanesi hanno bisogno di scoprire un altro cinema, un altro livello artistico.

Adesso si fa un cinema sperimentale, attraverso l'Istituto Belle Arti dove si insegna il cinema a Beirut, o attraverso altre università private, anche se questo cinema rimane timido e scolastico.

I grandi registi cinematografici libanesi tipo Ziad Doueri, Jean Chamoon, non riescono ad accettare il fatto che la guerra è finita.

Il Libano è un  paese che ha molto da dire, un paese dove ci sono dei contrasti vitali, dove si incontrano le tre grandi religioni monoteistiche, un paese che ha un popolo che è sempre alla ricerca della gioia di vivere, malgrado tutti i brutti tempi trascorsi, che cerca i giorni felici con grande nostalgia.

Purtroppo, adesso continuano le grandi manovre per un’altra guerra in questa terra che ormai è stanca, e il cinema continuerà a riflettere la realtà…

Non possiamo non chiedere agli altri paesi di fermarsi, per favore, almeno per far vedere l’altra faccia  di questa terra ricca di cultura e di storia...

DIAMO I NUMERI….

di Ferdinando Paternostro

Si chiude il primo anno “vita on line” di Faronotizie.it.

A partire dall’aprile al dicembre 2006 sono stati pubblicati nove numeri (si veda l’Archivio Arretrati), per un totale di 248 articoli, tutti ancora singolarmente disponibili nelle pagine delle varie rubriche.

Dall’Italia e dall’estero scrivono per Faronotizie trentanove  autori, e tra essi molti, noti,  giornalisti professionisti.

Il lettori ad oggi (31 dicembre 2006) sono stati 13.000, con un trend in netta, costante crescita.

Sono state aperte, dall’inizio, oltre 55.000 pagine .htm e  oltre 126.000 pagine .pfd .
Ogni articolo è stato perciò letto in media più di 500 volte.

Faronotizie.it è stato visualizzato in computer di 58 paesi diversi, 49 nel solo mese di dicembre, dando così un piccolo contributo a far conoscere Mormanno nel mondo, anche nei luoghi più remoti.

http://s3.shinystat.com/cgi-bin/shinystatv.cgi?USER=faronotizie&L=0

Grazie a tutti voi  … e buon 2007  !


GUIDARE O PILOTARE ?                             
LA DIFFERENZA!

d Stefano Ferriani                                                                                                                                                                                                                                                                      

Per il maschio latino sapere guidare l’automobile è indiscutibilmente un punto di forza e di vanto.

Ciascuno di noi è interiormente convinto di essere un buon pilota: sarà vero? O si  tratta di pura presunzione ?                                                                      

Vediamo di analizzare il problema: La scuola guida, quella (per intenderci) che ci prepara all’esame di guida per ottenere la patente, ci insegna a guidare, o meglio a farci guidare dall’automobile.                                                                                                                                          

Grazie agli insegnamenti della scuola guida, impariamo a mettere la freccia, ad accendere le luci, a girare il volante, e un po’  anche a fare  retromarcia, poi, veniamo proiettati, con in tasca la patente di provetti guidatori, nel traffico urbano o extraurbano e….buona         fortuna!                                                                                                        

Manchiamo quindi della preparazione tecnica, pratica e teorica necessaria per poterci definire “piloti”.                                                   

La preparazione tecnica teorica consiste nell’apprendimento delle conoscenze meccaniche dell’automobile.

Conoscere a fondo il funzionamento degli organi meccanici della nostra automobile è fondamentale al fine di poterla condurre in assoluta tranquillità.

Conoscere la funzione degli ammortizzatori, ad esempio, ci mette in condizione di giudicarne l’affidabilità innanzitutto e aumentare, così,       il margine di sicurezza.

La conoscenza della meccanica và poi abbinata alla tecnica di guida e, in tal caso, è assolutamente necessario l’ausilio di un vero pilota istruttore.

Le cose da imparare per migliorare la tecnica di guida sono molte: Innanzitutto dobbiamo conoscere il tipo di trazione della nostra vettura, anteriore, posteriore, integrale, sono le tre opzioni che richiedono ciascuna una tecnica di guida diversa. Termini come sottosterzo, sovrasterzo o controsterzo, dovranno avere per noi una valenza pratica, dovremo, pertanto,  imparare a controllare la vettura utilizzando le tecniche di guida previste per ognuno di questi casi.                                      

Le condizioni del fondo stradale, il tipo di pneumatico utilizzato, il grado

di visibilità, sono ulteriori elementi da valutare con attenzione al fine di poter pilotare in sicurezza la nostra vettura.                                 

Sulle conoscenze e tecniche di guida si potrebbero scrivere addirittura dei libri, in questa sede invece noi vorremmo semplicemente portare a conoscenza di chi ci legge  una regola fondamentale:                                                                         

Non sentiamoci provetti Shumacher, prendiamo coscienza delle nostre reali capacità di guida e, soprattutto, se desideriamo migliorarci e migliorare cosi la nostra e l’altrui sicurezza, iscriviamoci ad uno o più corsi di pilotaggio.                 

Se ne tengono un po’ in tutta Italia, soprattutto al centro nord. Sono piuttosto onerosi ma, credetemi, è danaro ben investito.

Provare per credere. 

CENNI DI ALGERIA

di Nabila Adoul

L'Algeria è un paese dell’ Africa del nord,  fa parte del Magreb. La sua capitale Algeri è ubicata all'estremo nord del paese. Secondo paese d’ Africa per la sua superficie, l'Algeria è bagnata a nord dal mare mediterraneo, confina con la Tunisia a nord-est, con la Libia ad est, col Niger al sud-est, il Sahara occidentale, la Mauritania, il Mali al sud-ovest e con il Marocco all'ovest..

L’Algeria è membro dell'unione africana e della lega araba, sin dalla sua indipendenza e ha contribuito nel 1988 alla creazione dell'unione del Magreb arabo  ( UMA ). Così come si è battuta per la proclamazione ad Algeri nel 1988 di uno " stato della  Palestina " appoggiando  l'OLP

L'Algeria è  tra i paesi  più ricchi del continente africano. E’ la seconda potenza economica in Africa con un PIB annuale di 102,2 miliardi di USD nel 2005, seconda solo all'Africa del sud con 165,5 miliardi di USD.

È un importante produttore di gas naturale e di petrolio e dispone anche di riserve importanti di ferro al sud-ovest, così come di oro, di uranio e di zinco; all'estremo sud il petrolio ed il gas naturale, sfruttati dalla società nazionale SONATRACH, e sono le principali fonti di reddito. L'Algeria ha saputo diversificare la sua economia riformando il suo sistema agrario e modernizzando la sua industria pesante, ma gli idrocarburi costituiscono ancora la quasi totalità delle esportazioni. Il debito estero dell'Algeria è aumentato a dicembre 2006 a 4,7 miliardi di USD contro 17,5 miliardi di USD nel 2005. Il paese sta rimborsando in  anticipo molti debiti, utilizzando così l'afflusso di capitali inattesi e legati al rialzo del prezzo del petrolio

Costituzionalmente, l'Algeria si definisce un paese arabo, berbero (amazigh ) e musulmano.

Un clima mediterraneo domina il nord, mentre un clima desertico regna sul sud durante l’estate, i mesi più caldi sono luglio ed agosto.

80 km ad ovest di Algeri si trova la bianca Tipaza, il modello accoglie il suo visitatore in un'atmosfera tipicamente mediterranea e risolutamente  rivolta verso il passato. Un passato lontano, sepolto nel sottosuolo della sua storia.

Tipaza che ha custodito il suo nome fenicio che significa " scalo ", è una città costiera ubicata ai piedi del monte Chenoua che si affaccia sul mare. Situato tra il mare e la montagna, il suo parco archeologico ripara le vestigia della città romana e del banco fenicio della vita, risalente a diversi secoli avanti Cristo.

Qui scopriamo l'oasi del grande erg occidentale: i palmeti del M'zab con le " cinque città sante ", la sontuosa architettura di Ghardaia, El Goléa e l'inafferrabile Timimoun, nella cornice sontuosa delle dune del grande Erg.

Il Tadrart nel deserto algerino ci fa  scoprire delle incisioni e delle pitture rupestri     

L'Algeria augura a voi il bene di “superare il passo” !


LEGGERE È UN “AFFARE”

di Nicola Perrelli

Helsinki 50, Roma 5. Non è il risultato di una partita di basket. Ma rispettivamente  gli euro spesi  dalle due città   per il funzionamento delle biblioteche, dalle spese per il personale  alle promozioni, dal rinnovamento delle strutture agli acquisti. Questi gli estremi, ma anche nelle posizioni intermedie il confronto non regge rispetto ai 23 di Londra piuttosto che  ai 17  di Vienna.

E’  questo  il poco lusinghiero andamento della  spesa pro-capite per il mantenimento e l’aggiornamento delle patrie biblioteche. Un quadro che sicuramente non stimola l’interesse per la lettura. Soprattutto in un Paese, come l’Italia, dove i lettori sono storicamente una specie rara e da protegg ere.

Non a caso nel “Manifesto per le politiche del libro” promosso dagli editori e  presentato alle istituzioni pochi mesi  fa, il tema biblioteche è stato collocato al primo punto  dell’ordine del giorno. Per far crescere la domanda di lettura, è stato sostenuto, è necessario un sostanziale cambiamento. Le biblioteche non devono solo   essere un deposito per il prestito di libri, ma rappresentare il luogo per eccellenza di aggregazione culturale, di formazione e di sapere. Quello  che nel resto d’Europa è già realtà e i vantaggi sono evidenti. 

Libri,  giornali, riviste, manuali e saggi  sono veri e propri strumenti di conoscenza. Leggere fa bene a tutti. Rende le persone più preparate e più critiche. La lettura produce cultura e la cultura produce reddito e  asset economici. Dalle ricerche e studi effettuati emerge infatti con chiarezza la funzione basilare della lettura nello sviluppo di un Paese. L’insieme degli indicatori presi in considerazione, dalla creatività economica allo sviluppo dell’uomo, dalle idee innovative all’ambiente imprenditoriale, comprovano la correlazione diretta esistente tra la ricchezza,la produttività di un Paese e la spesa in libri. E fintanto i nostri governanti saranno dell’avviso che la cultura è una “spesa” il nostro Paese  avrà sempre meno chance.  La cultura e la lettura sono invece veri e propri  “investimenti”, che danno  rendimenti certi e tangibili e per tutti. Bisogna insomma credere nel ruolo fondamentale della cultura nello sviluppo socio-economico del Paese.

Dati alla mano, è stato ormai dimostrato che nei posti dove la gente legge in misura maggiore, lo sviluppo economico ha una marcia in più. Il valore del sapere, che la lettura sicuramente accresce, è dunque anche di carattere economico.

Ha effetti sul PIL: l’indicatore che rispecchia in termini quantitativi la crescita di un Paese.

La tradizionale contrapposizione, cultura uguale negazione della redditività, ha perso consistenza, non è più aderente alla realtà. Da tempo cultura e benessere economico vanno  a braccetto. Non a caso si parla sempre più di “economia della conoscenza”. Non è più solo il capitale tangibile (strutture, macchinari, risorse,ecc.) a contribuire in buona parte all’aumento della produttività , ma concorre un altro tipo di capitale, quello chiamato intangibile, costituito appunto dalla conoscenza e dal capitale umano (istruzione,formazione,ricerca,erudizione). Un fenomeno, che a destra e a sinistra sembrano tutti aver ben compreso. Tanto che la programmazione di politiche pubbliche adatte a sviluppare l’economia della conoscenza e a promuovere le campagne di lettura sono  nell’agenda politica  di ogni schieramento. Ma, fatto salvo qualche provvedimento isolato e senza il necessario sostegno, ai buoni propositi non seguono i fatti.  E i risultati, o meglio i  - non risultati -  non lasciano dubbi: in Italia si continua a leggere  poco. E, tanto per cambiare, ancora meno al Sud. D’altra parte, in regioni dove solo il 5% dei comuni possiede una biblioteca e ci sono oltre  100 comuni con più di 20.000 abitanti che non ne hanno nemmeno una,(dati dell’Associazione italiana degli editori)  che cosa ci si potrebbe aspettare?

E’ forse  peregrino supporre  che il persistere del divario  tra Nord e Sud in parte possa dipendere, a parità di livello di istruzione e di altre condizioni, anche da quanto si legge?  

Certamente non è facile rispondere a questi interrogativi, troppi gli elementi e le variabili che entrano in gioco. Torna utile  però menzionare che se nel Nord la lettura di libri e giornali riguarda oltre il 50% della popolazione, nel Sud questa  percentuale scende addirittura al 30%. Cosi come  sappiamo   che vi è una evidente correlazione tra il tasso di lettura di una popolazione e il  suo sviluppo sociale. Laddove si legge di più le comunità sono   maggiormente pronte a cogliere le novità e a riconoscere le occasioni più idonee a favorire la crescita economica e sociale.  E  nel meridione, guarda caso, la lettura continua ad essere un’attività marginale.

In questa prospettiva la lettura, qualunque siano i contenuti, professionali o di puro piacere, risulta essere quindi  un elemento decisivo per il progresso economico.

Leggiamo di più, saremo più competitivi.


SAN BERNARDO DEL VIENTO, COLOMBIA

di Angela Vanegas

Nell’ Atlantico, dalla Colombia, si vede quel piccolo arcipelago,

dove si trovano 8 piccole isole, ma solo in una c'e quel paese

in mezzo al mare, dove in 1000 metri  quadri vivono mille persone,

più della metà bambini, tutti di pelle scura e molto belli, una razza pura; un'isola con un’anima di bambini, perchè sono più i bambini che gli adulti che vivono li.

Un paese magico, dove non esiste il pericolo, tutti una grande famiglia,

le case una sull’altra, tutte aperte, i bambini e gli adulti per strada a ballare con la musica tipica del posto che si sente tutto il giorno, e tutta la sera, i giovani ballando una danza del posto, sembrano animaletti che fanno l'amore; ma cosi è il ballo.

E le signore che ballano, mentre stendono i panni.

E l’arcipelago di San Bernardo del Viento, nell’Oceano Atlantico davanti alle coste della bella Colombia, dove l’estate non scompare mai, dove tutti mangiano pesce tutti i giorni, dove non c'e cattiveria, è un mondo magico, dove tutti sono sempre in festa e allegri tutto il tempo, perchè non conosco altro, lì sono cresciuti e vissuti da sempre, e sono felici.

Un mondo così non è facile da trovare ma esiste, nella Colombia, nell’Atlantico.

Un posto dove il gioco del calcio non esiste, non c'e spazio per giocare.

Il mondo materiale passa in secondo piano, quello non è importante.

L'importante è che tutti vivono molto felici, molto distanti dal mondo “vero”.

UN GIORNO DI LUGLIO CON IL SOLE NEL CANCRO E LE STELLE IN BILANCIA

di Francesco Aronne

Galeotta fu la foto!… Uno scatto straordinario che inevitabilmente stupisce lo stesso autore e che cattura chiunque. Da qui è partito un viaggio inconsueto che ha catalizzato l’attenzione di tanti artisti (e non solo) di diversi paesi e che continua a produrre una effervescenza creativa di ampio respiro. Il fotografo e amico Mimmo Russo, ci ha abituato a non stupirci. A luglio dello 2005 ho scoperto la foto all’inaugurazione di una mostra di alcune delle opere da questa generate, a Castrovillari, alla Galleria d’arte “La Bilancia”. Erano presenti, con Mimmo Russo gli artisti del “nucleo originario” a cui tanti altri si sono aggregati. Ad oltre un anno di distanza con piacere registro che questa esperienza continua, come un fiume che scorre. Le opere possono essere visionate sul sito www.artedelamemoria.com. Dopo quella mostra, le intense suggestioni o forse semplicemente la calura estiva ho scritto al fotografo il brano che ripropongo, con il suo consenso.

Tra le strade deserte ed accaldate, nel silenzio della sera imminente, tra una traversa ed un’altra di un punto qualunque del nostro sistema solare, in una dilatazione spazio-temporale (sorta di stargate nostrana) alcuni corpi in movimento vivono l’attesa, forse inconsapevoli di questa porta cosmica in agguato…

Sospeso tra l’aria ferma ed i pensieri del giorno trascorso, mi trovo in un posto che per qualche istante non so dove sia… sulle tracce di una foto di cui mi ha parlato un compagno di viaggio, e con lui lì, come corpi estranei al contesto,  per ritrovare un amico (ora dietro un angolo in un altrove lontano) e una sua foto… incrociarlo anche se solo per qualche attimo, lungo qualche click fotografico, fatto non di bit e di onde ma di carne e parole…

Un uomo e due donne vestite di nero ed immobili con alle spalle un murales; tre figure, trittico, trinità, tridimensionale appendice del muro dipinto… un bagliore improvviso e quasi impercettibile, altre sensazioni, altri luoghi, paesaggi letterari che prendono forma…  Si affacciano alla mente le atmosfere di posti lontani trasudate da pagine ingiallite… il Messico di Castaneda, di Siqueiros, Rivera e Tina Modotti… Il profumo della terra, mani segnate dalla fatica in luoghi così distanti, volti solcati da un unico sole, corpi ed indumenti imbiancati dal sale del sudore, odore di inchiostro e polvere da sparo…. materia e fango che danno vita ad un Golem contemporaneo conficcato nella spirale che unisce luoghi lontani eppure vicini… legami luminescenti fatti di sottili fili invisibili.

Volti noti e sconosciuti in questo frammento di universo, lembo infinitesimo di una galassia tra tante, consumano l’attesa sotto lo sguardo divertito di tre gaie creature che da un cavalletto d’artista osservano i presenti ed il loro stupore….

E pian piano l’intorno prende forma, lentamente ma progressivamente le energie in movimento escono dal loro ordine apparentemente caotico per collocarsi nell’ insieme, per dare forma alla scena, per scuoterne il torpore…

Tra altre facce una amica, immersa nelle vibrazioni di un insolito scenario disegnato dall’aria elettrica di questo ambito… una inquietudine latente mista ad un sobrio disagio… come un guerriero alla ricerca della posizione di lotta con cui affrontare il combattimento di una inconsueta serata di luglio…

Compagna di sempre tra le sue mani, la macchina fotografica, croce e delizia, grimaldello ottico per metalinguaggi sperimentali di rappresentazioni soggettive del presunto reale o della sua speculare immaginazione…

E come magia o sortilegio il perno su cui ruota la sera è una immagine, una emozione, un frammento di tempo cristallizzato nella sua evanescente assenza, una lente che la filtra come cruna di un ago, una vita, tre vite, la vita che diventa tante emozioni, tante lenti, tante vite e tante lingue, tante storie, tante immagini, tanti pensieri, tante forme di un unico punto di vista che implode in tanti punti di vista…..

Tante storie personali che sono attirate da un unico punto nell’universo infinito. Un giardino incantato dove sono sbocciati già diversi fiori appesi al muro e dove altri fioriranno, immagini libere, colorate, leggere, a volte irriverenti, provenienti da tutti i poliversi possibili… un effervescente gorgoglìo da cui si snocciola un tappeto di frequenze ed onde, di vernici e colori, metalli e pennelli, policromatismi iperbolici, versi, ricordi e pensieri…

E finalmente la ruota del tempo come una giostra riparte per un altro suo giro…

Parole dense e leggere, impressioni, emozioni, interpretazioni, diversi idiomi che si fondono in comprensibili e condivise forme di comunicazione… e sovviene la sera, il crepuscolo, e l’imbrunire allunga le ombre e avvolge tutto e tutti…. E la galleria diventa quasi un’astronave: in un mulinello di immagini si muovono altri paesaggi, altre storie, altri occhi e altre visioni, altri sogni, si accendono i motori per improbabili escursioni spaziali, nessun capitano per tanti equipaggi ….

E tutti calamitati da un rettangolo di carta fotosensibile, dai suoi sali d’argento e dalle sue emulsioni, acidi di fissaggio per oniriche visioni, da una sfera di cristallo schiacciata su un piano… piacevolmente rapiti o forse prigionieri della sua scala di grigi… a dondolarci nel cerchio di immagini e oggetti e poesie che le ruotano intorno, in percorsi individuali e condivisi, comuni ed inespressi, impregnati, pesanti e leggeri, a colori o fluorescenti nel buio…

Ed in questo mulinello si ritorna sempre al punto di partenza… sentieri, binari, scie di navi, aerovie e vecchie statali, mulattiere, stradine, viuzze ed autostrade, una rete di percorsi di vite, di gente che parte, di gente che torna, di luoghi che come un palcoscenico impazzito cambiano continuamente l’allestimento scenografico agli occhi di chi viene ancora una volta… e l’aria calma del ritorno, l’aria frizzante del mattino, il muschio sui gradini che guardano distratti il nord… echi di suoni e voci lontane, odori a mezzogiorno…piazze schiacciate da eterne albe e tramonti… fragorosi silenzi ed inquiete sofferenze, voglia di fuga….

Ed in questo mulinello si ritorna sempre al punto di partenza… dopo suggestioni di opere diverse si ritorna alla foto, al suo mondo ermetico, alla sua ipnotica vitalità… Come una calamita attira ogni sguardo, trasmette la sua magia incantando chiunque, frammento di una Arcadia irreale eppur vera e vissuta, dietro un angolo perduto, appena dopo le stelle…

Ancora un gorgo di sensazioni, ancora un blitz emozionale o solo uno shock addizionale, di nuovo una immagine nuova, forte e sbiadita come un’antica cartolina uscita da una officina zincografica d’altri tempi… una stazione ormai persa negli anni, un cigolio di ruote, binari e freni della locomotiva che arresta il suo passo, un fischio taglia il vapore che nasconde tutto allo sguardo, evanescenti figure di gente che sale, di gente che scende… penso al bianco del vapore, al nero del carbone, al grigio di vite in un frenetico saliscendi dai gradini consumati dei vagoni…

E poi ancora la foto, ma stavolta non la stessa di prima, stavolta si vede chiaro lo sguardo di “Vicinzu ‘i Scigna”, bonario e compiaciuto…..guarda divertito tutti noi che gli sfiliamo davanti. In ogni frangente senza tempo e senza spazio… ogni sguardo per lui unico re e per il suo regno senza colori ma carico di intense tinte di vita vissuta… E con lui, davanti allo stesso oblò, oltre al suo sguardo protettivo ed imponente quello di una bimba incuriosita e di un gatto impaurito… tutti a guardare quell’occhio magico, il terzo occhio di uno stregone di passaggio, uno scherzo del destino, uno scherzo per tutti, per chi è al di qua, per chi è al di là… separati da un diaframma, da una tendina metallica, protetti da un fotogramma di pellicola… scherzo per chi distante da quel luogo e da quell’ora resta ammaliato a guardare ciò che ne resta…

Una immagine pulsante, lontana ma viva e iridescente… o forse solo la fine del giorno, la fine di un giorno, crepuscolo di vite, uscio per il passaggio ad altre dimensioni...

Ancora un lampo, un bagliore, nessuno più intorno, l’astronave ormai vuota, la foto, solo la foto o meglio ciò che resta della foto… il paesaggio è lo stesso tutto uguale, ma solo una sedia vuota… cerco con gli occhi … nessuno … guardo il bordo e l’immagine ruota come la scena di un film pensato e non girato, la sedia vuota è ora a sinistra dello schermo… si vede in lontananza ancora la vecchia stazione, figura già vista… il vapore bianco sale lento e avvolge ogni cosa. Tutto appare in una sfocata scala di grigi, la stazione, i binari il treno…

Tra queste immagini perse prende forma un rassicurante volto ormai familiare, e si, è proprio lui “Vicinzu ‘i Scigna” che si sporge da un finestrino dell’unico vagone… saluta, sorride, si accende la pipa… 

Si sente un fischio tagliente che squarcia il silenzio… il bianco del vapore ora sale intenso mescolandosi al fumo della ciminiera e della pipa, sento il rumore metallico di una porta che si chiude ed il lento cigolio delle ruote sui binari, la locomotiva parte senza fretta…

D’un tratto nel vapore, nel fumo, forse nella nebbia si intravede un berretto rosso… il treno ormai partito scompare pigro all’orizzonte, portandosi dietro come in un vortice il fumo, il vapore, i binari, la stazione ed il berretto rosso…

Ancora un movimento e l’immagine riprende la forma originaria… la sedia vuota come un trono dimenticato ritorna al suo posto e comincia ad imbiancarsi sotto i primi fiocchi di neve che cadono come cristalli d’argento… presto sarà tutto bianco, tutto bianco come un foglio nuovo pronto per una nuova foto, per nuove emozioni ed un nuovo viaggio…..

Grazie Mimmo, per tutto questo e per altro ancora

BIELORUSSIA, MON AMOUR

di Elena Bebeshina

Prima di tutto vorrei ricordare che la Repubblica di Belarus o, come si conosce in Italia, “la Bielorussia”, oggi e’ una delle quindici repubbliche che sono diventate indipendenti dopo lo scioglimento dell’URSS.

Il mio paese ha avuto un passato eroico, tragico e pesante.

E’ sopravvissuto a molte guerre rovinose, vari intrighi politici, numerose divisioni e anche al disastro di Cernobyl, un incidente terribilmente dannoso accaduto il 26 aprile 1986, che ha causato la contaminazione con radiazioni nucleari di un quinto del paese, con conseguenze pesanti persino oggi.

E’ interessante notare che il nome del mio paese è simbolico. Si chiama “Bielorussia” o “Russia Bianca” e noi diamo alcune spiegazioni della denominazione. Prima di tutto, si pensa che il paese accettò molto presto il cristianesimo, cessando un periodo di “oscurità”, che vuol dire periodo di ignoranza e paganesimo. Poi, che tale nome gli venne dato perchè il paese occupava i territori liberi dalle invasioni dei tartari (XIII secolo d. C.). Un’altra versione dice che il nome “bianco” è apparso in seguito ai segni esterni del vestiario nazionale e della pigmentazione dei suoi abitanti.

Il colore principale del’abbigliamento tradizionale dei bielorussi era, infatti, bianco, i vestiti bianchi erano decorati con i ricami rossi o neri e rossi, e così gli abiti sembravano molto festosi.

Inoltre, la maggior parte della popolazione aveva una carnagione molto chiara, un colore chiaro dei capelli e degli occhi (di solito azzurri).

Anche la Bielorussia aveva molte betulle e così i boschi apparivano bianchi. Questo colore si è riflesso anche nel nome poetico del mio paese – “la terra sotto le ali bianche”. Si dice così perchè abbiamo molte cicogne bianche.

E’ il simbolo del nostro paese. Si crede che se una coppia di cicogne vive su un tetto, porti la felicità al padrone della casa  e a tutto il paese. La natura del mio paese non e’ così splendida come in Italia, perchè abbiamo il clima più freddo, non abbiamo  mari o montagne. Ma è carina, a modo suo.

Oggi sul nostro territorio si contano circa 20.000 fiumi e 10.000 laghi. E’ per questo motivo che la Bielorussia a volte si definisce “Il paese dagli occhi azzurri”, intendendo che  i numerosi laghi della Bielorussia guardano e riflettono il cielo, come moltissimi occhi azzurri. Circa 50% del territorio settentrionale e occidentale del nostro paese e’ ricoperto da laghi.

Sono puliti come una rugiada e calmi come lo specchio.

L’ avvicendamento delle colline e dei laghi azzurri rende il paesaggio di una bellezza naturale unica. Il lago più grande e’ il Naroch, che ha 10 kilometri di lunghezza e 8 kilometri di larghezza. E’ bellissimo! E’ quello preferito per le vacanze estive per tutta quella gente che trascorre le ferie in Bielorussia. Non lontano dal Naroch, comincia una parte del paese dalla bellezza inenarrabile, con centinaia di laghi piccoli, ognuno con il suo particolare aspetto e  carattere. E’ la riserva naturale, che si chiama “I laghi celesti”.

Nonostante che nell'insieme la Bielorussia sia un paese pianeggiante, in questa zona si trovano delle colline abbastanza alte, tra le quali sono situati numerosi laghi. E’ un paesaggio magnifico!

Al sud, al contraio, non si trova nessuna altura.

Per questo, ogni primavera  il grande fiume Pripiat, che scorre in una immensa pianura, straripa per la piena primaverile, e l’acqua inonda praterie e le paludi nei pressi, modificando il paesaggio in modo indimenticabile per la sua bellezza.

Un tempo, la Bieloussia era completamente ricoperta di foreste, ma poi la maggior parte di esse è stata tagliata per fare spazio ai campi da coltivare. Oggi in molte regioni le foreste sono ricresciute, specialmente a sud del paese.

 Ora, circa un terzo del territorio è ricoperto da boschi. I bielorussi amano andare nei boschi a raccogliere delle bacche di sottobosco e dei funghi. Gli alberi più  diffusi sono delle conifere (pini, abeti), delle querce e delle betule. Che bello fare una passeggiata in un boschetto di betulle, dov’e’ sempre chiaro e luminoso!

Al confine con la Polonia si trova la riserva naturale Belavezhskaia Puscia.

E’ la più grande foresta primordiale d’Europa, che ospita un numero consistente di bisonti europei. Fra l'altro, un bisonte è anche  un simbolo nazionale della Bielorussia.

Il nostro paese è fiero di avere molti castelli medievali, tra i quali il Castello di Mir e’ il più famoso. Si trova non lontano da Minsk. Abbiamo anche tantissime belle chiese ortodosse e cattoliche, che rendono il paesaggio ancora più  attraente.

La capitale del nostro paese è Minsk. E’ una grande città, che si può confrontare con Milano. Ci vivono quasi due milioni dei abitanti. Minsk è una città vecchia, abbiamo già festeggiato 930 anni dalla sua prima menzione nelle cronache storiche. Ma, allo stesso tempo, non si vedono edifici vecchi qui, perchè tutto è stato distrutto durante le numerose guerre del passato, e più  di tutto durante la seconda guerra mondiale, quando Minsk è stata quasi completamente rasa al suolo. Perciò, adesso si puo dire che è una città moderna, anche se le  autorità locali cercano di restaurare e conservare i pochi  edifici vecchi rimasti.

L’unica parte storica di Minsk, la cosiddetta “città vecchia”, è l’Insediamento della Trinità, chiamata cosi in onore della Chiesa della Trinità, una volta qui situata. La leggenda dice che da qui era iniziata la città. Ora, qui sono situati diversi negozi di antiquariato, di souvenir, ristoranti, caffé, vari musei e uffici.

Rispetto alle città italiane, Minsk ha le strade larghe, non esistono vie strette. La città è immersa nel verde. E’ piena di parchi e giardini pubblici.

Minsk è bella specialmente di sera, perchè migliaia di luci illuminano le vie e gli edifici.

Ci sono circa 10 milioni di abitanti nel nostro paese, la maggior parte  cristiani ortodossi.  Il nostro popolo è molto tranquillo, ospitale, di un carattere paziente, laborioso e buono. Durante la sua storia ha dimostrato di  essere stato molto coraggioso ed eroico. Durante la seconda guerra mondiale è caduto un quarto dei belorussi.

I prodotti nazionali della Bielorussia sono le patate, il pane nero (scuro, fatto dalla segale), il lardo e la zuppa (ma non quella che avete voi  italiani, e’ fatta assolutamente in un modo differente), e anche i latticini, tra cui i più importanti la cosiddetta panna acida e il burro. Come si mangia e come si cucina in Bielorussia è un tema a parte, e se vi piacer saperne di più,  ve ne parlare un'altra volta !


SPORT & VALORI

di Nicola Perrelli

Sabato 17 dicembre 2006, a Mormanno, nei locali del Polifunzionale, è stata ufficialmente presentata al pubblico la squadra di pallavolo: A.S. VOLLEY MORMANNO.

La squadra nasce intorno ad un gruppo di amici appassionati di sport che, stimolati   dall’entusiasmo di alcuni giovani , hanno deciso di unirsi  per allenarsi  e  giocare a pallavolo. Il successo dell’iniziativa è stato tale che  il neo gruppo ha pensato bene di iscrivere  la squadra al prossimo campionato di 1° divisione maschile.

La manifestazione ha trovato inoltre  l’entusiastica reazione di tutto il paese, che ovviamente guarda allo sport come ad un elemento necessario per lo sviluppo della comunità. Del resto quando si parla di sport è pressoché impossibile   non trattare dei valori educativi che ad esso sono legati. La corruttela, il doping, il malcostume, il lucro e i troppi soldi  non hanno eroso  i tanti aspetti sani che da sempre lo connotano   come risorsa sociale. Non è infatti esagerato dire che lo sport può essere   inteso come un fenomeno di “ civilizzazione”. La sua rilevanza sociale è lampante. Non c’è ormai istituzione pubblica che non promuova la pratica sportiva come fattore di sviluppo dell’individuo e della società in generale. Lo sport assume cosi un ruolo determinante per le politiche sociali,  si integra con gli altri interventi di natura formativa, sanitaria e culturale.

Valori indiscussi di ogni pratica sportiva sono sicuramente l’autodisciplina e la stima di sé. Per affrontare allenamenti e competizioni è essenziale imporsi una vita regolare, sana,  fatta di buone abitudini.

La disciplina educa alla perseveranza ed alla costanza, porta lo sportivo a conoscersi meglio e ad avere maggiore consapevolezza dei propri limiti. L’attività sportiva quindi non solo sviluppa le capacità fisiche ma forgia indirettamente anche l’identità di chi la pratica; come impara a gestire i propri sforzi, a resistere nei momenti difficili  e ad accettare le sconfitte, allo stesso modo  aiuta a gestire le difficoltà di tutti i giorni, raggiungere obiettivi ed acquisire autonomia. Educa a capire che i risultati si ottengono con fatica e  sofferenza,  tenacia e preparazione.

Lo sport  è poi il terreno ideale per lo sviluppo e il rafforzamento dell’amicizia.  Dalla necessaria collaborazione per conseguire un  fine comune   spesso, tra i componenti della squadra, si stabiliscono  vincoli di amicizia e di affinità destinati a durare anni e anni. Altre volte è invece la stessa  amicizia a fare da veicolo allo sport. Molti sono infatti i ragazzi, ma

anche gli adulti, che iniziano pratiche sportive perché coinvolti da amici. L’amicizia nello sport è complicità, intesa, sicurezza reciproca,divertimento. Che  si allarga persino agli avversari, che non sono solo quelli da battere, ma coloro che ci sollecitano a dare il massimo ed il meglio delle  nostre potenzialità. Con i quali nel dopo gara si parla d’altro e si rafforzano i legami, magari in trattoria.  

Anche dal punto di vista sanitario  abbiamo qualcosa da apprendere dallo sport. L’attenzione alla salute, ossia  quello stato di benessere psicofisico, aumenta in modo esponenziale nello sportivo. L’atleta, come il dilettante, sapendo di sottoporre il proprio fisico a stress e sforzi a volte eccessivi deve, per forza di cose, imparare a  riconoscere tutti quei sintomi e campanelli d’allarme che segnalano che c’è qualcosa che non và. Diventa insomma più sensibile alle avvisaglie del proprio corpo, impara a conoscerlo meglio, ad essere più consapevole del proprio stato di salute e a preservarlo.

Lo sport va quindi incoraggiato. I valori etici di cui è portatore   non solo  concorrono alla formazione di individui equilibrati ed in armonia con se stessi, quanto migliorano la qualità della vita e favoriscono  la socializzazione.

LA SCONOSCIUTA

di Carla Rinaldi

In una città mitteleuropea come Trieste, una donna ucraina cerca disperatamente lavoro in uno specifico condominio. Inspiegabilmente ha molti soldi, e li porta sempre con sé, avvolti in un foglio di giornale. Alcuni frammenti del passato le vengono in mente, e la agitano. Scene di violenza, quando ancora indossava una parrucca bionda, e molti uomini le seviziavano il corpo nudo. Il più spietato, un uomo calvo e grasso. “La sconosciuta”, il nuovo film di Giuseppe Tornatore, abbandona del tutto i temi tanto cari al nostro cinema italiano, e come in un noir tedesco, scarno e asettico, racconta la storia di una donna che ritorna sulle orme di un passato doloroso per cambiarne il presente. Ma come in tutti i gialli che si rispettano, le cose non sono mai come sembrano e all’improvviso, gli scheletri chiusi a chiave nell’armadio, ritornano in carne ed ossa a sovvertire il gioco. Con una struggente colonna sonora, composta anche questa volta da Ennio Morricone, con un credibile signore del male  interpretato da Michele Placido, con il valido contorno attoriale di Claudia Gerini, Pierfrancesco Favino, Alessandro Haber e Piera Degli Esposti, e soprattutto con la magistrale e misurata interpretazione nel ruolo della protagonista di un’attrice russa abituata al teatro in patria, Tornatore, costruisce, fotogramma dopo fotogramma, un dramma senza sbavature, forse solo con qualche simbolo ingiustificato di troppo, che respira di internazionalità e professionismo, serio.

L’attuale commercio clandestino delle ragazze dell’Est, destinate alla prostituzione, è il tema principale, tra queste ragazze, una in particolare, era diventata in breve tempo la preferita del boss Michele Placido, perché bella, perché docile, perché molto fertile. Il commercio illegale dei figli adottivi, l’altro tema scottante della pellicola, vede coinvolta la protagonista che, dopo aver già partorito di seguito tre figli, subitaneamente sottratti alle sue mammelle, si ribella alla quarta gravidanza e fa di tutto perché il neonato non le sia tolto. Ma la sete di denaro può competere solo contro la sete di vendetta, quella che la porta a Trieste a regolare i conti. La sconosciuta non è cattiva, anzi, ma la crudeltà della sua esistenza precaria, si è radicata ormai in lei, ha visto, una dopo l’altra, scorrere davanti ai suoi occhi nefandezze gratuite. E cosa le resta se non cercare, con un unico indizio a disposizione che poi si rivelerà errato, uno dei figli che le appartengono? Ma un’ennesima sorpresa, per nulla piacevole, il destino le ha conservato, e questa volta, però, decide di non arrendersi e prendersi, seppure sotto altre vesti, quello che sente di meritare, e alla fine, per fortuna, ci riesce.

LA MAGIA DEI CAMPANACCI DI S. MAURO FORTE

di Paola Saraceno

Si rinnova anche quest’anno, dal 12 al 15 gennaio, la festa folklorica de “il campanaccio”.

Nel borgo della collina materana, a 70 km da Matera, tornano a sfilare le squadre di liberi scampanatori. Un rito carnascialesco che invoca spiriti benigni a protezione del raccolto e del bestiame.

Per le strade del borgo senza tempo di San Mauro Forte, in provincia di Matera, nel secondo weekend di gennaio, si rinnova un rito antichissimo a metà tra il sacro ed il profano: “il Campanaccio”.

Festa che affonda le sue radici nei riti pagani propiziatori legati  al culto della madre terra e della transumanza delle mandrie di vacche di razza podolica, poi alle celebrazioni sacre in onore di S. Antonio Abate.

L’intera comunità Sammaurese, Amministrazione comunale e Pro Loco in testa, sono da mesi all’opera per offrire alle migliaia di visitatori, una quattro giorni di festa e di approfondimento su un rito legato alla civiltà contadina.

Al suono dei campanacci é attribui­ta la funzione propiziatoria di asse­condare la fecondità dei campi e l'abbondanza delle messi e di offrire protezione contro tutte le negatività.

Nel paese lucano di epoca normanna, che prende il nome da convento benedettino dedicato a San Mauro, a cui successivamente si aggiunse l’appellativo di Forte per ricordare che nel 1861 i suoi cittadini riuscirono a respingere le bande dei briganti dello spagnolo Borjes, l’edizione 2007 del rito dei Campanacci si preannuncia ricca di appuntamenti.

Tanta musica popolare e momenti di approfondimento. Ma il clou della festa è sabato 13 e  lunedì 15 gennaio, quando col calare delle tenebre, i liberi suonatori di campanacci, organizzati in squadre percorreranno le vie del paese, con passo cadenzato, agitando campane di diverse dimensioni, ma anche mortai di bronzo e cupa cupa, producendo un suono che da scombinato e casuale diventa cupo, unico e martellante.

Dopo tre giri intorno alla chiesetta di San Rocco, dov’è custodita e venerata l’effige di Sant’Antonio Abate, patrono degli animali, un lungo girovagare che ha sapore di festa e di penitenza. Il fragore delle centinaia di campanacci di diverse dimensioni provocato dal muoversi cadenzato e simultaneo dei liberi suonatori, si diffonde nelle le strette vie di San Mauro Forte e dell’intera vallata.

Ogni squadra, formata da uomini, donne e bambini è preceduta da un capo che porta in braccio una testa di maiale, simbolo di abbondanza e prosperità. 

I rumori, che peraltro aprono i riti del Carnevale, si placano di tanto in tanto, quando i girovaghi campanari sostano per bere qualche bicchiere di vino, offerto nelle cantine di generosi oblatori o nei punti di ristoro appositamente predisposti lungo il percorso. Qui è possibile degustare salsiccia ed altri prodotti che si ricollegano all’uccisione del maiale, accompagnati dalle pettole calde,  pasta di pane fritta all’impronta.

IUBESC…

di Marilena Rodica Chiretu

Iubesc lumina ascunsa intr- un gand

cand impleteste carari indepartate,

iubesc si undele ce scriu inca un rand

pe visul incalzit de tarmuri fermecate

Iubesc si mana ce- mi scrie un cuvant,

privirea ce de dor tacerea o aprinde,

si flacara fierbinte cand limbile in vant

in gesturi genuine iubirea o cuprinde

Iubesc si steaua ce drama- si povesteste

cand luna de pe cer hotarele a topit,

ziua ce in corola privirea- mi ravaseste

iar noaptea parului cu fulgi mi l-a stropit

AMO…

Amo la luce bianca dei dolci pensieri

che cuce strade tra due lontananze,

le onde ondeggiando sui miei sentieri,

il sogno riscaldato in terra di fragranze

Amo il movimento che intreccia le parole,

lo sguardo da lontano silenzi ha acceso

il giorno s’ arrotola nel gioco di corolle,

la notte dei capelli i fiocchi ha disteso.

Amo la stella che scrive il suo dramma,

la luna che dal cielo ha sciolto i confini,

il gioco delle lingue illumina la fiamma

nel fremito nascosto in gesti genuini.

5 dicembre 2006

IL RITO DEL PANE

di Antonio Penzo

Quello del pane fatto nella casa del contadino era un vero e proprio rito, quasi una liturgia.

Il giorno dedicato al pane era il sabato, cosicché la domenica era fresco e doveva durare tutta le settimana.

Il venerdì sera, lavatesi le mani e indossato il grembiule bianco, la donna poneva nella madia tre misure di farina di frumento e dell’acqua tiepida che versava lentamente impastando e sbriciolando una pagnottina gonfia, che aveva conservato in una pentola di coccio dal sabato precedente, unta con un velo d’olio per tenerla più morbida.

Sovente si faceva il segno della croce, pronunciando sommessamente una preghiera, lavorando continuamente fino a creare una collinetta di pasta che riempiva il fondo della madia. Indi la copriva con un spruzzata di farina, la pareggiava per darle una forma tonda e con la fede, dopo averla baciata, invocava la S.ma  Trinità e segnava la pasta. Poneva un burazzo pulito sopra il tutto, copriva la madia con la sua asse e si andava a letto.

La mattina, di buon ora, in cucina, al tepore della cucina o del focolare, nel mentre si riscaldava l’acqua, si poneva il tagliere sul tavolo, con una paletta di prendeva farina dal sacco e si poneva sul tagliere formando un monticello, che rapidamente veniva aperto a mò di vulcano, poi si aggiungeva un po’ di acqua tiepida e una manciata della pasta lavorata la sera prima, che nel mentre aveva quasi riempito la madia, gonfiandosi si procedeva impastando continuamente, fino ad ottenere la quantità di pasta necessaria. In di si passava alla gramola ponendo un filone di pasta sotto la trave-pressa e premendo con la leva, cercando di snervare la pasta. Dopo circa mezz’ora si aveva una bella pasta uniforme, elastica che veniva tagliata a pezzi uniformi dai quali ricavare le pagnotte.

Con le mani, ogni singolo pezzo veniva lavorato fino ad ottenere la forma oblunga caratteristica, che si poneva su un altro tagliere e sulla sommità si tracciava una croce.

Intanto si era fatto fuoco con due fascine di rami di quercia nel forno che era nell’aia, Quando le pareti raggiungevano il colore bianco, si spostava la legna su di un fianco del forno, mentre tutto il piano veniva pulito, lasciando un velo di cenere sul fondo. Le pagnotte venivano messe rapidamente una di fianco all’altra in più fila e si cuocevano fino ad un colore ambrato. Venivano tolte rapidamente dal forno mentre si spandeva un aroma appetitoso.

La donna si preoccupava di fare una pagnottella con la pasta rimasta, la modellava, la ungeva con un filo d’olio e la poneva nella pentola chiusa con il coperchio, per il pane della settimana successiva, previo avere recitato una preghiera e segnato una croce al centro della stessa.

IL PROFUMO: FRANCESE ?

di Raffaella Santulli

Ogni persona sparge attorno a sé un odore particolare, forse per la presenza di ghiandole odorifere speciali  ma, certamente, per le numerose secrezioni che emanano dalla cute.

Questo profumo naturale varia secondo l’età, il sesso, il colore dei capelli, le razze, l’alimentazione, le professioni, i rimedi e le malattie. L’ambiente modifica o dà un’impronta particolare all’odore naturale: così un odore caratteristico hanno i sacrestani ed i preti, l’odor cosiddetto di sacrestia; i soldati odor di caserma, i conciatori, i decoratori, i manipolatori di carne da salumi.

Il profumo va scelto con giusto criterio ed usato con sapienza: non deve essere troppo acuto né troppo insignificante e deve armonizzarsi, con il profumo naturale. È evidente che la mancanza di nettezza possa alterare l’odore proprio della cute, rendendolo anche nauseabondo o che, viceversa, la scrupolosa nettezza lo possa far svanire e che da ciò, sia venuta in parte l’abitudine di sostituire o modificare l’odore naturale con l’essenze vegetali ed artificiali.

È curioso ed interessante lo studio dei profumi che si ricavano dai vegetali, i processi di estrazione e la loro combinazione così da produrre una miriade di varietà. Ed è singolare come l’albero dell’arancio sviluppi più di una specie di odore: così la corteccia del frutto dà un olio – che ha un odore diverso da quello dei fiori – ed il quale differisce ancora da quello delle foglie.

Ma non fu Caterina de’ Medici ad introdurre la moda del profumo in Francia?

È nostra la Delfina dagli occhi grandi – mai bella – divenuta il centro d’attrazione dei potenti che domina a corte e che, intrigando con abilità ed astuzia difende la dignità della dinastia nella quale si identifica la grandezza della sua nuova patria.

È nostra la principessa di grandi ambizioni e di non comuni energie, che difende la continuità dell’alto ufficio a lei affidato dal destino.

È nostra la principessa che nel suo Paese acquisito lancia l’acqua odorosa tre secoli prima che venga prodotto industrialmente. Ma allora, il profumo è davvero francese?

I CONTRASTI E LA RICCHEZZA DEL VENEZUELA

di  Violetta D'Addario

Internet offre tante opportunità di scoperte, a tutti i livelli.

Conoscendo per sangue la lingua italiana e avendo avuto la fortuna di viaggiare un po’, e avere ancora parenti in Italia, ho iniziato ad avere contatti con diversa gente di diversi paesi, ma sopratutto con persone dell´Italia.  Gente che, di diverse regioni della Penisola, cercava di avere altri contatti e conoscere persone di paesi diversi

In questo modo, ho conosciuto un ex-cantante che ha viaggiato in Venezuela alla fine degli anni 70, altri che, seguendo le notizie sul mio Paese,  mi domandavamo come era la situazione qui, altri, giovanottoni con intenzioni tutt’altro che serie, e altri animati da intenti scientifici che mi chiedevano qual era la velocitá di connesione ad internet che usavo. Nel mio girovagare in internet mi occupai anche di panelli solari, installazioni fatte in Italia, della mia professione di ingegnere elettronico, delle elezioni, ma anche dei paesaggi venezuelani, di com’è il paese dove vivo, e dove sono nata e la sua gente. E, anche dando opinioni su questo paese e di com’é, perchè per esempio, altri avrebbero voluto venire a lavorare qui.

Ma, la sorpresa più grande per me è stata quella di scoprire come tanta gente di ogni parte del mondo si potesse interessare di com’è il mio Paese.

Non credo di avere dato opinioni sbagliate su questo paese, perchè ancora ho una mamma che è venuta in Venezuela quasi cinquanta anni fa, e conosce questo paese e la sua evoluzione contemporanea e, soprattutto, la storia dei governi che si sono succeduti in questi anni.

“Papá bello” é morto qui sei anni fa, era arrivato in Venezuela nel 1950, ha studiato e fatto qui la sua vita e carriera, cominciando come tanti altri da zero. 

Per chi come gli italiani, che  hanno tutta una storia profonda e piena di cultura, e 'proceri del conoscimiento' mondiale in tutti i sensi, capire questa realtà è difficile, come lo é capire la gente e la cultura molto recente,  molto vivace, come dire: pura.

Ma, anche capire come sono riusciti ad imporsi e come  hanno dovuto imparare a vivere qui, senza l´aiuto delle tecnologie che, oggi invece, permettono un approccio maggiore e molto piú facile.

Queste stesse  tecnologie di rapida conoscenza non permettono, però, di capire com’ é questo paese ancora oggi.

Non é facile capire com’ é  il Venezuela, con tutti i suoi contrasti, varietà di razze, ricchezze ancora da utilizzare, scoprire e, soprattutto, sentire.

E, non é facile descrivere i cambiamenti che genitori come i miei hanno dovuto vivere, ma che hanno fatto crescere insieme alla propria gente, con il lavoro quotidiano, tanto loro stessi come questo paese nel suo insieme.

Un po’ credo sia la storia dell’emigrante, ma in parte diversamente da tanti altri paesi: sono i diversi contrasti che offre questa nuova patria, nelle sue varietà naturali, dalla neve al deserto, dalle spiagge alle montagne, dai fiumi ai minerali unici, insieme a fiori e animali che non si trovano in nessuna altra parte del mondo.

Il contrasto di cui credo sia importante parlare, a parte l' evoluzione e i cambiamenti dei luoghi in pochi anni, e che a molti sembra di conoscere Venezuela  per i concorsi di bellezza, essendosi identificato questo paese da molti come il luogo dove ci sono le donne più belle del mondo.

O, ultimamente, perchè c´è un Presidente che sta cambiando il modo di identificare il Venezuela.

Ma, il cambiamento è che, oltre a sentirne parlare più spesso del Venezuela e in varie maniere, oggi si avverte un maggiore rispetto, e non é solo perchè ha petrolio.

Ma, ritengo, anche se si conosce tutto ciò per mezzo delle nuove tecnologie e le notizie si apprendono in tempo reale, ancora non si capisce molto  di come é il Venezuela.

E cosi, il Venezuela é  un paese di grandi contrasti, in molti sensi.

Nonostante la reclamata bellezza delle sue donne e i giacimenti di petrolio, il Venezuela non è ricco, nel senso che gli abitanti non nuotano nel benessere, nei soldi, anche la sua classe media.

Il Venezuela però é fatto di gente vitale, di persone tutte diverse fra loro, gente fatta di mescolanze razziali, popolato da figli di immigranti italiani,

spagnoli, portoghesi, venuti qui in varie ondate migratorie, specialmente negli anni 50, e poi di argentini ed altri italiani arrivati negli anni 70.

Così, si è continuato a formarsi, insieme alla gente di qua, autoctona e molto semplice, ancora altre mescolanze, formando un paese dalle molte culture e  origini, e creando sí, le donne più belle del mondo.

Ma, la bellezza delle donne venezuelane è che  crescono i figli con molta forza e molti sacrifici.

Qui, in questo paese, non solo esiste gente buona, gente che lavora e gente umile e felice, ma sopratutto c’è gente semplice e accogliente.

Ci sono persone che, nonostante  tutti i cambiamenti politici degli ultimi anni, continuano ad essere cosi, seppur esistendo una grande insicurezza sociale.

Questa gente, i contrasti di questo paese, i suoi colori, le tepuyes, la cascata più alta del mondo, le grotte immense, possono contribuire a far diventare il Venezuela, e lo auguro di cuore, un paese da visitare, da conoscere ed  apprezzare.

E, perchè no, aiutare  collaborando alla sua crescita  in questo suo nuovo periodo storico.

Tanti auguri per questo nuovo anno.

HAVÍŘOV, LA MIA CITTÀ

di Silvie Víchová                                                                                                                    

La città di Havířov è situata in una zona industriale, a sud-est della Repubblica Ceca, quasi al confine con la Polonia.

E stata fondata il 4 Dicembre 1955. La zona di Havířov è divisa in 8 parti e giace su un piano di 3207 ettari.

La popolazione è di quasi 85.000 abitanti.

E’ una citta storica, con un castello che, si dice, è stato costruito nel 15° secolo. Però, i documenti che si trovano datano dal 1588 al 18° secolo. Adesso questo castello è stato restuarato e sarà adibito ad albergo o a sala per matrimoni.

Havirov è circondata da una bellissima natura.

La mia città è davvero bella e pulita e io sono orgogliosa di essere nata quì. Invito tutti a visitare Havirov e invio un augurio di buon 2007 a tutti i lettori di Faronotizie.it

ZONA FRANCOBOLLO
MI AMI? MA QUANTO MI  AMI ANTO’ ?

di Francesco Aronne

Buon 2007 all’appassionato filatelico lettore (ma anche al resto del mondo) che immaginiamo soprattutto, come noi del resto, indigeno e quindi conoscitore del territorio.

E così può capitare di passare per quello che per noi di Mormanno è ancora “il pastificio”, mentre per i forestieri ignari della sua storia è solo un lugubre ed indecente catafalco di archeologia industriale. In largo anticipo coi riti del Natale il pachiderma decaduto appariva infiocchettato di nastri zebrati bianco rossi ed al posto delle coccarde, scritte che ammonivano sulla presenza di materiali contenenti amianto. C’è chi dice che a confezionare il regalo sia stata l’ASL territoriale anche se qualche dubbio rimane visto che non è stato usato il più efficace segnale che la legge prescrive (ed anche l’ASL) in tali casi. C’è chi dice che a confezionare il regalo sia stato il comune. A chi è stato fatto questo regalo?. Chi scrive, dopo qualche mese dalla nastratura ammonitrice, vista l’“evanescenza della segnaletica apposta” con questa emissione vuole lanciare un'altra bottiglia con messaggio nell’oceano.

Il problema non è banale e da sottovalutare. L’amianto, causa di mesioteliomi e carcinomi polmonari, è fuorilegge in Italia dal 1991 con una decreto legislativo, il n. 277,  approvato il 15 agosto (si proprio il giorno di ferragosto…e poi si dice che i parlamentari non faticano). L’asbesto (altro nome della famigerata fibra) è indistruttibile e richiede notevole cura nella rimozione, nella bonifica e nello stoccaggio e smaltimento. Operazioni queste da effettuare solo dopo comunicazione preventiva all’ASL ed approvazione della stessa.

Nella fattispecie la struttura dell’opificio, degradata pericolante e fatiscente è interamente coperta da lastre di Eternit (nome commerciale che sottende a imperituro). La superficie interessata è notevole. Il complesso è lambito da un ruscello che può diventare a sua volta veicolo di trasmissione del venefico particolato. L’azienda proprietaria dell’insediamento non esiste più. Come un amico fragile è “evaporata in una nuvola rossa o scomparsa in una delle tante feritoie della notte…”. Il tutto in un territorio di parco nazionale, in un ambito comunale con insediamenti abitativi, ricettivi ed agricoli vicinissimi all’area delimitata. Non risulta che alcuna informativa sia stata fatta alla popolazione eppure il problema è serio e riguarda l’intero territorio. Quali iniziative conseguente alla apposizione della segnaletica di pericolo ha intrapreso l’ASL? Quali iniziative hanno preso l’assessore alla sanità e l’amministrazione? Quali iniziative ha preso l’Ente Parco? Che fine hanno fatto le battagliere legioni di ambientalisti del territorio? I tempi per una nuova coscienza ed un approccio concreto ai problemi sono maturi.

Eppure il silenzio dei soggetti interessati preoccupa o forse la questione amianto è tutta un bluff?. Per quanto tempo ancora dovremo continuare a vedere trovate, espedienti e ripieghi con risorse economiche dilapidate in calendari ed agende sulle meraviglie della natura e del parco (che pochi sanno come fare ad avere), in poster che restano arrotolati o in spot televisivi mai trasmessi.

E intanto un’altra campagna elettorale a Mormanno è alle porte con altri turpi e osceni pianti, altre dotte diagnosi, altre medicine, altri esaltanti (o deprimenti, a seconda del punto di vista) comizi sui massimi sistemi dell’economia e del mondo… Ed intanto, da tempo, la mannaia degli organi di vigilanza si abbatte inesorabile con gli inermi cittadini rei di detenere qualche fazzoletto di Eternit sottoponendoli a insopportabili salassi. Come si comporterà la stessa mannaia per queste centinaia di metri quadri? Possibile che sia già tutto caduto nel sopore dell’oblio? 

E in attesa che nella calza della befana troviamo le risposte alle domande fatte, qualcuno già pensa di proporre a Guariniello l’improbabile candidatura a sindaco di Mormanno…



[1]    Per la  Canzoni sull’aia , vedi  STORIE E MEMORIE. Tutte le parole dialettali usate trovansi  nel Vocabolario dialettale etimologico di Mormanno. Vedi www.paternostro.org

[2]   L’Ospedale fu realizzato governando il PSI e il Consorzio sorse ai tempi della D.C.

[3] Non tornerei più a Mormanno, mi scrive N.N. , me ne starei piuttosto a Castelluccio

FARONOTIZIE.IT  - Anno II - n° 10,  Gennaio 2007

Questa pagina contiene solo  il testo di tutti gli articoli del n° 10/2007

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