FARONOTIZIE.IT - Anno I - n° 6, Settembre 2006
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testo di tutti gli articoli del n° 8/2006
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e amministrazione:
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giornalistica registrata al Tribunale
di Castrovillari n°02/06 Registro Stampa (n.188/06 RVG) del 24 marzo 2006
Direttore responsabile Giorgio Rinaldi
IL
RICHIAMO DELLA FORESTA
di Giorgio Rinaldi
Da
questo mese su Faronotizie.it i lettori troveranno tre nuove rubriche: Poesie,
Genealogia e Emigrazione.
Quella
dedicata alla poesia si apre con un componimento in ricordo di Giacomino
(murmannolo mai insignito di alcuna onorificenza ma da tanti sempre ricordato)
di Francesco Tarantino, affermato e pluripremiato poeta, ed è aperta alle
fatiche letterarie di tutti.
L’altra,
si rivolge ai murmannoli che vogliono scoprire le loro origini e conoscere il
loro albero genealogico.
Questa
rubrica è curata da esperti che possono soddisfare, in maniera scientifica, le
curiosità, e non solo, di chi è alla ricerca dei propri antenati.
I
murmannoli possono scrivere alla redazione di Faronotizie.it, utilizzando il
link su questa stessa pagina, sia per
richiedere informazioni sulle proprie origini che, nei limiti del possibile,
saremo lieti di soddisfare, sia per far sentire il proprio punto di vista, come
in questo numero fa il
Prof. Luigi Paternostro e la cui lettera
è pubblicata nello spazio “Lettere alla Redazione”.
L’ultima
è dedicata agli Emigrati, ed è aperta al loro contributo.
Queste
rubriche vanno incontro a tante esigenze di riscoperta delle proprie radici,
della propria identità, della propria cultura, delle proprie tradizioni.
Fenomeno
generale al quale non sono certo alieni i murmannoli e tutti gli abitanti dei
paesi legati tra loro, ad onta delle divisioni regionali, per affinità
culturali, sociali, economiche etc.: Laino Castello, Laino Borgo, Castelluccio
Superiore, Castelluccio Inferiore, Rotonda, Viggianello.
Nel
corso del mese di agosto in tanti sono tornati al proprio paese natio per
passare almeno una parte delle vacanze
estive con amici e parenti, la cui maggior parte è sparsa, per il resto dell’anno, in Italia e
nel Mondo.
Faronotizie.it
nell’occasione di questi incontri ha beneficiato di una grande pubblicità e di
tanti benevoli riconoscimenti.
Grazie
all’ospitalità degli organizzatori della “Festa dell’Emigrante” e di
Telemormanno, Faronotizie.it si è fatto ulteriormente conoscere un po’
dappertutto.
L’augurio
della Redazione è che in molti vogliano utilizzare Faronotizie.it come strumento di
denuncia, dibattito, proposta, stimolo e
chi più ne ha, più ne metta.
AMICO ASPERTINI, UN ECCENTRICO
CLASSICISTA BOLOGNESE
di Camillo
Tarozzi
Un
accenno alla biografia di Amico Aspertini in questo spazio è motivato
dall’intenzione redazionale di inserire ogni mese notizie ed annotazioni
tecniche di fatti artistici che sono parte della storia di san Petronio,
In
una parola, le due lettere iniziali pongono Amico all’inizio di una sequenza
per ora soltanto biografica, che si caratterizzerà con schede di restauro, di
stile, di storia delle arti che hanno resto
Insieme
a Francesco Francia e Lorenzo Costa – ma in tutt’altra direzione
stilistica - Amico Aspertini è uno dei
più importanti pittori attivi a Bologna a partire dal periodo in cui la città
era dominata dalla nobile famiglia Bentivoglio con metodi poco apprezzati dalla
popolazione- tanto che alla loro cacciata la loro meravigliosa residenza
cittadina fu totalmente distrutta- ma
con un forte e illuminato interesse per la cultura e la committenza artistica.
La scarsa fortuna critica che ha seguito Amico nel corso dei secoli è anche
dovuta al celebre Giorgio Vasari che nelle sue ‘Vite dei Pittori…’, forse per la sua difformità rispetto sia alla
bellezza classica del ‘400 che alle nuove tendenze del manierismo, non ne riconobbe le grandi qualità artistiche
e lo tacciò di pazzia: ‘Costui, venuto
finalmente in vecchiezza di settanta anni, fra per l’arte e la stranezza della
vita bestialissimamente impazzò. Anche se il bolognese Carlo Cesare Malvasia, sempre teso a
sottolineare il valore delle glorie locali,
rivendicò a tratti la sua originalità, solo Roberto Longhi, e poi
Francesco Arcangeli, arrivarono a riabilitarlo, dando inizio ad una nuova
stagione di studi su di lui.
Amico,
nato a Bologna tra 1474 e 1475, faceva parte di una famiglia di artisti: sia
suo padre Giovanni Antonio che il fratello minore Guido erano pittori. E’ il
Malvasia a ricordare il suo genio precoce, a suo parere sviluppatosi tramite
l’esperienza nella bottega del padre e poi presso il più anziano Francesco
Francia. E’ probabile, secondo l’ipotesi formulata da Arcangeli, un suo viaggio giovanile a Firenze, dove
avrebbe conosciuto maestri più vicini al suo gusto, come in particolare
Filippini Lippi. Tra la fine del ‘400 e i primi del ‘500 fu a Roma, dove, fino
al 1503, lavorò per Alessandro VI. Di nuovo a Bologna nel 1504, gli nacque il
primo figlio. Stretti divennero in quegli anni
i suoi rapporti con i dominanti bolognesi, tanto che il suo
secondogenito fu tenuto a battesimo nel 1506 da Annibale Bentivoglio. In questo
periodo eseguì probabilmente la pala del
Tirocinio, ora in Pinacoteca a Bologna e lavorò, in concorrenza con Francia
e Costa, nell’oratorio di Santa Cecilia.
Ma nel frattempo i Bentivoglio venivano costretti a lasciare
Bologna: Amico si trasferì allora a
Lucca, dove operò in San Frediano, dove il suo lavoro più importante fu la
decorazione della cappella di Sant’Agostino, fatta costruire nel 1506 da
Pasquale Cenami, priore della Chiesa. Nella città toscana fu poi presente
saltuariamente, con frequenti ritorni a Bologna, dove assunse un importante
ruolo anche sotto il nuovo governo papale. Oltre ad aver allora dipinto la pala di San Martino ( 1510 -
1512) e affreschi perduti in San Michele in Bosco (1514), a partire dal 1510, e
per l’intero decennio successivo, gli furono soprattutto affidate importanti committenze in San Petronio (nel
novembre 1510 è pagato per un busto sul portale centrale, nel 1514 dette i
disegni per le figure di S. Petronio e S. Ambrogio per il coro.
Nel
1519 eseguì
Pittore
allora molto stimato, ebbe anche importanti impegni legati ad eventi di grande
importanza per la città: nel 1529 – anno in cui
fu nominato massaro delle arti – lavorò agli apparati per l’ingresso di
Carlo V a Bologna. Successivamente non ci sono documenti sulla sua attività
artistica, ma più su compravendite di case e terreni. Morì il 19 novembre 1551 e fu sepolto in San
Martino. (notizie tratte da Arcangeli, Natura
ed espressione nell’arte bolognese- emiliana, Bologna 1970 pp.161- 165,
biografia)
di Raffaele Miraglia
Pioveva che Dio la mandava. Dubito fosse il nostro Dio, perché eravamo nel Myanmar. In Italia il Myanmar si chiama Birmania.
Avevamo, io e Rosella, la sera prima
velocemente contrattato un taxi. Il ragazzo con cui avevamo stretto l’accordo
non era l’autista, ma uno che sapeva un pò di inglese e, dunque, faceva da mediatore
e simil guida turistica. Il suo nome era Maung nonricordochè. Maung vuol dire
giovane. Dopo qualche anno avrebbe cambiato una parte del nome, perché nel
Myanmar si fa così.
Dal
nostro alberghetto di Mandalay avevamo raggiunto Amarapura, poi eravamo andati
ad Ava e, infine, eravamo arrivati sulla collina di Sagaing.
Dicevo
che pioveva. Il Myanmar è uno dei quei paesi che ti fanno veramente capire che
differenza c’è fra la stagione delle piogge (la nostra estate) e la stagione
secca (il nostro inverno). Bisogna andarci nelle due stagioni diverse per
capire come lo stesso posto possa assumere due identità e due apparenze
completamente diverse. Pensate di vedere una volta Venezia con l’acqua alta e
l’altra volta Venezia come una qualsiasi città di terraferma. Pensate di vedere
l’Ayeyarwady (il loro Po) una volta sul suo letto largo un chilometro e l’altra
volta largo dieci e a quello stupa ci andate in barca e ne vedete solo la
sommità.
Eravamo
nella stagione delle piogge e, dunque, nel tempio che stavamo visitando il
nostro equilibrio era alquanto precario. Purtroppo i birmani amano la ceramica.
Anche molti vecchi templi sono stati ristrutturati e il pavimento è
rigorosamente in ceramica. Nei templi si cammina rigorosamente scalzi. E la
ceramica bagnata è estremamente scivolosa. Lo sapevate?
Camminavamo
così, attentissimi, tra gli altari e le statue. Un folto gruppo di pellegrini
visitava il tempio. Maung ci raggiunse e con il suo inglese stentato ce li
indicò. Ci disse che chiedevano di poterci fotografare, anzi, di potere fare
delle foto con noi. Ci spiegò, con l’aria di scusarsi, che venivano da un
villaggio del nord, al confine della
Cina,
e che uomini bianchi li avevano visti solo in televisione.
Uno
solo dei pellegrini aveva una macchina fotografica. Era una vecchia macchina
dell’era sovietica, con tanto di custodia in cuoio.
Ci
disponemmo davanti ad un altare e a turno uno o una dei pellegrini si poneva
accanto a me o a Rosella e si faceva fotografare
rigorosamente
in posa. In posa vuol dire che c’erano la ragazza che si faceva fotografare
mentre offriva un fiore a Rosella o l’anziano e il sottoscritto immortalati di
profilo mentre a mani giunte ci inchinavamo a mo’ di saluto. Le foto furono
molte. Il fotografo a un certo punto cambiò il rullino e alla fine spiegò ad un
ragazzo come usare la macchina e si mise anche lui in posa accanto a me, che
facevo finta di ritrarlo con la mia macchina fotografica.
Fu
un tripudio di inchini e di sorrisi. E alla fine io e Rosella sorridemmo
all’idea di riapparire in foto in qualche capanna del nord del Myanmar e di
essere mostrati come dei trofei.
Già,
come dei trofei, la stessa cosa che migliaia di turisti fanno, mostrando i
volti dei bambini, degli anziani e di tutte quelle altre persone dai tratti somatici
così diversi che, come trofei, vengono esibiti alla fine di un viaggio esotico
agli amici.
Se
già altre volte mi era parso di capire che io, turista, potevo diventare
l’attrazione e la curiosità per i locali, quella volta ne ebbi la
certezza.
Quella
certezza che solo una fotografia può dare.
E
mi chiedo cosa penserà fra cinquant’anni, ritrovando quella vecchia fotografia,
quel bimbo che il padre mi pose fra le braccia davanti all’entrata della Città
Proibita a Pechino. Scoppierà a ridere? Si interrogherà perplesso sul perché
mai il padre lo fotografò tra le braccia di un brutto signore europeo, calvo e
vestito con una t-shirt inguardabile?
P.S.
Se poi volete vedere delle foto sul Myanmar, sui birmani e sui turisti in
Myanmar, allora vi consiglio quelle pubblicate nel sito http://www.myanmars.net
A GIACOMO
di Francesco M. T. Tarantino
Forse
perché nessuno ti ricorda
Vorrei non
dimenticarti anch’io
Da bambino
ti ascoltavo narrare
D’altri mondi
e di giochi sulla corda
Di un moto
perpetuo senza un avvio
Fra lo
sconcerto dei matti da legare
Avessi
potuto allora comprenderti
Senza il
giudizio dei benpensanti
Che ti
esiliava da questo mondo
T’avrei
ascoltato senza confonderti
Con i
presuntuosi e gli arroganti
Mi sarei
tuffato nel tuo girotondo
Hai
traslato il principio del moto
In un
divenire perenne e costante
Spingesti
la mente oltre il consueto
Quale
alchimia ti scaturì dal vuoto
Che
trasformasti in energia rotante
Non fosti
capito e tenesti il segreto
Nessuno ti
ricorda e né ti celebra
Danno premi
a tutti tranne ai lupi
Ti
bollarono “matto” senza pietà
Rise di te
chi viveva nella tenebra
L’ignorante
che ha paura dei dirupi
E non ha
per le bestie alcuna carità
Figlio di un
tuono in una notte di luna
Ti
chiamarono Giacomo come un altro
Che fu
amico di Cristo e poi alchimista
Entrambi
non aveste molta fortuna
Perché vi
opponeste al potere scaltro
Appesi al
mistero che va oltre la vista
* Francesco M. T. Tarantino ha di recente
pubblicato una raccolta di poesie dal titolo “Cose Mie”, MEF - L’Autore Libri Firenze.
MORMANNO
COME CALCUTTA ?
di Giorgio Rinaldi
Il
travolgente Paolo Rumiz, nel suo ultimo viaggio dalla Liguria alla Calabria
attraverso gli Appennini, ha dedicato ben una colonna e mezzo –e la cosa è
veramente unica- del rèportage della 21^ tappa (
Al
grande giornalista Rumiz è bastato attraversare in auto (una Fiat Topolino del
1953) il paese per farne una descrizione che, per certi versi, e a parte alcune forzate coloriture cha sanno di
stantii stereotipi, vale più di 1000
fotografie.
Eppure,
nonostante la gravità del problema traffico, dopo la costruzione di una specie
di variante nulla più è stato fatto.
Che
vi siano degli interessi di bottega che frenano ogni iniziativa è cosa nota:
nessuno vuole intaccare il suo portafoglio elettorale e, accuratamente, ci si
preoccupa di non sporcarsi le mani, senza curarsi –però- dello sporcarsi dei
polmoni dei cittadini.
Così,
anche le soluzioni più semplici, più ovvie, più banali, vengono prudentemente
evitate da chi, invece, ha la piena responsabilità nella risoluzione del
problema.
E’
di tutta evidenza che quando si devono fare delle scelte non si può
accontentare tutti.
Ma,
chi non se la sente può starsene, ovviamente, a casa sua e lasciare agli altri
l’incombenza.
Chi
scrive non ha competenze ingegneristiche e non può certo suggerire opere che
potrebbero risolvere una volta per tutte il problema.
Di
sicuro, però, varianti di traffico o circonvallazioni, o bretelle, o raccordi,
o by pass, o come volete voi, anche di
una certa consistenza, se ne vedono dappertutto: perché, allora, non a Mormanno
?
La
primitiva variante, dopo qualche successivo, patetico intervento di
risistemazione, là era e là è rimasta, immobile, letargica, narcolettica,
catalettica, come buona parte di Mormanno, del resto.
In
attesa che chi è pagato per trovare
soluzioni si guadagni lo stipendio, vediamo se possiamo chiedere a Paolo Rumiz
di ripassare l’anno prossimo da Mormanno
e strappare alla sua penna un altro e diverso paragone:
1) Può essere ritenuto disdicevole
impedire (all’occorrenza anche le Alte Autorità hanno buone orecchie per
ascoltare…) ai “tir”, o comunque ai mezzi pesanti, di attraversare il centro
abitato, posta e ritenuta l’esistenza di ben due svincoli autostradali ?
2) Può essere ritenuto sconveniente
costringere l’attuale gestione dei servizi pubblici stradali di linea ad
utilizzare mezzi più piccoli (ed economici!!!) di quelli che, inquinando
abbondantemente, vanno avanti ed
indietro portando due o tre passeggeri per volta e bloccando costantemente il
traffico ?
3) Può essere ritenuto indecente
obbligare i grossi mezzi che consegnano le merci a scaricarle alle porte del
paese ove un piccolo autoveicolo, magari elettrico, ad uso dei commercianti,
artigiani etc. possa ritirarle e consegnarle ai committenti ?
4) Può essere ritenuto indegno che i
commercianti possano istituire un servizio di consegna a domicilio degli
acquisti più consistenti, quelli –per intenderci- che giustificherebbero l’uso
dell’auto nel centro abitato e la sosta quasi nei … negozi ?
5) Può essere ritenuto inopportuno impiegare i Vigili Urbani (o Polizia
Municipale o Locale) oltre che per verificare lo stato dei vicoli e delle
strade in genere del paese, obbligando
qualche furbetto a non sporcare e a mantenere puliti e ordinati i propri
beni , anche a istituire controlli alle autovetture, motorette etc. ( dallo
spessore del battistrada della ruota di scorta alla effettuata “revisione”)
soprattutto degli irriducibili “attraversatori” –spesso senza apparente ragione
alcuna- del centro abitato, per scoraggiarli in via definitiva ad usare l’ex SS 19 come una pista riservata ?
6) Può essere ritenuto riprovevole chiedere il sequestro di qualsiasi mezzo (specialmente
moto e motorini) la cui rumorosità
supera ogni più benevola tolleranza, levando multe adeguate , come anche per
chi viaggia senza cinture o senza casco o in due sul motorino ?
A parte ogni ulteriore
considerazione, non è certo bello vedere che ANCHE nell’applicazione del codice
della strada ci deve essere un’altra Italia, diversa e mediocre !
7) Può essere ritenuto inadatto
chiedere la permanenza, e quindi non solo nel periodo estivo, del senso unico ?
8) Può essere ritenuto improprio installare un semaforo (magari
funzionante solo nelle ore più critiche) ?
Lieto
di essere adeguatamente contestato punto su punto e di leggere documentati
buoni propositi e soluzioni … ad horas,
che possano far scrivere al buon Rumiz: Mormanno come Zurigo.
O
la sonnolenza è invincibile ?
ANDIAMO A BERE: IL PIGNOLETTO
di Antonio Penzo
Strani
uomini questi bolognesi. Giacomo Leopardi li chiama “vespe che non pungono” e
loro continuano tranquilli e beati ad operare come se nulla fosse cambiato. Non
si accorgono nemmeno che la “grande” Bologna atavica non esiste più, seppellita
nei giochi politici di portaborse inopportuni. Ma la gastronomia rende ancora
grande Bologna ed i bolognesi strizzano il loro cervello “universitario” per
saziare i loro istinti e studiando e ristudiando hanno scoperto che presso di
loro esisteva fin dai tempi di Plinio il Vecchio (quello che assistette
all’eruzione del Vesuvio) un vitigno denominato “Pino Lieto”. Il saggio Plinio
definiva il vino tratto dalle uve come “non dolce abbastanza per essere buono”.
Poi i secoli sono trascorsi e nel 1654 il Tanara narra di “Uve Pignole” nel suo
famoso trattato “L’Economia del cittadino in villa”. Ma detto vitigno è rimasto
ad albergare nelle colline bolognesi, incurante delle varie mode enologiche
fino a quando ci si è accorti che il vino che si trae dalla sue uve è buono.
Oibò,
avrà detto il dottor Balanzone e certamente Giosuè Carducci, nel passare di
osteria in osteria per recarsi allo
Studio, ne sorseggiava robuste quantità, unitamente ad altri vini che allora
riempivano scaffali e damigiane. Tradizioni che i nostri “baroni” o professori
universitari hanno dimenticato per più leziose bevande che fanno “cult”.
Grazie
alla migliorata tecnica vinificatrice dei nostri agricoltori, ora il pignoletto
rappresenta la tradizione bolognese di un ottimo prodotto e la sua serbevolezza
si manifesta nei giorni di caldo.
Fresco
e delicato con sentori fruttati (fiori di biancospino, mela, albicocca, ecc),
dal colore giallo paglierino scarico con riflessi verdolini e fresco di acidità
fa appieno la veste di accompagnatore di
antipasti all’italiana, di pesce, di tigelle con affettati, di verdure ed uova.
Lo puoi bere a tutto pasto: sui tortellini in brodo trova la sua morte, ma
anche su formaggi freschi e carni bianche.
Lo
si trova sia nella versione ferma (classica), sia in quella frizzante a fermentazione
naturale ed ora alcuni lo vinificano nel tipo spumante Charmat ed anche
passito.
Per
esserne conquistati basta assaggiarlo e quando si va in Bologna e provincia
richiedetelo, non fate certo brutta figura, rispetto a tanti vini commerciali
che riempiono la bocca. Provare per credere.
VIAGGIO ALLE ORIGINI: REGINA
di
Francesco Regina
E’
d’uopo premettere a priori come un lavoro serio e scrupoloso di indagine
storico – araldica mirato alla ricostruzione delle prime famiglie
mormannesi non è cosa da farsi sic et simpliciter.
La
documentazione specifica in materia è peraltro scarsa e rimaneggiata, tuttavia
con l’ausilio della genealogia, a buon diritto definita scienza sussidiaria
della storia, forniremo di seguito quanto è stato possibile desumere dai volumi
anagrafici custoditi nell’ archivio parrocchiale.
La famiglia Regina ha
origini remote contemporanee all’affermarsi dei primi nuclei insediatisi
nell’allora castrum di Miromanno[1].
Risulta che in principio
si dissero
Accadde
però, che con il trascorrere degli anni, dei decenni e dei secoli il cognome
originale mutò, si crearono pertanto varie diramazioni ed ogni ceppo si
contraddistinse in forme e modi diversi, tendendo sempre all’elevazione sociale
e alla difesa della propria dignità familiare ed individuale nel contesto
paesano.
I
primi personaggi insigniti del titolo di Messere,
risalgono al periodo della dominazione spagnola sul nostro territorio.
Si ha menzione di un sacerdote benemerito,
ossia D. Domenico figlio di “Pascale della Regina”, titolare di una cappellania locale e che era altresì
imparentato con le nobili famiglie dei Loria – feudatari di Maierà – Perrone e
De Luca – famiglie gentilizie locali.
Altra
famiglia di personaggi di spicco (notai, giurisperiti, dottori ed
ecclesiastici) fu quello del professore
Carlo Regina, deceduto non molti anni or sono in quel di Firenze.
I
membri di detta famiglia, non erano ancora titolati nel 1665 anno in cui nacque
Salvatore Regina senior, ma quando costui trasse in moglie D. Orsola, figlia del notaio D. Giuseppe Fazio
proveniente anche costui dalle prime famiglie di Mormanno, acquistarono il
prefisso nobiliare Don, che come ricordiamo sta per Dominus, ossia signore.
“La professione notarile
era, come affermano illustri autori, fonte
iniziativa di nobiltà, atta, per se stessa, a produrre nei suoi investiti
una distinzione di carattere nobiliare. Negli atti del catasto conciario di
Carlo III, i notai hanno il titolo di Magnifico
che era appunto un titolo distintivo di nobiltà.”[2]
Acquisirono poi
Stemma: d’oro alla banda
bruna caricata di tre bisanti d’argento[3].
Lo splendore di quella
famiglia oggi estinta iniziò a tramontare tuttavia dopo l’unità d’Italia, per
scomparire totalmente nel ‘900.
Altro insigne personaggio,
facente capo ad un differente ceppo, fu ancora un reverendo, tale Don Cesare de’ Regina – discendente da Lucio o Lutio della Regina – il quale fu
arciprete di Mormanno per ben cinquantadue anni e legò parte del suo patrimonio
alla nostra chiesa madre.
Ma, come molto sovente
accade, dei magnati del passato non rimane né blasone né discendenza e talvolta
neanche la memoria; della plebe resta sempre qualche traccia, significativa o
meno, nelle prolifiche generazioni che vivono memori ed orgogliosi dei loro
padri e ne perpetuano la memoria.
Ci piace ricordare infine,
come le più qualificate maestranze locali in materia di costruzioni edili,
seicentesche e settecentesche, annoverassero dei Regina, difatti i capimastri
che posero mano ai primi lavori di edificazione della matrice chiesa di Santa
Maria del Colle, mastro Filippo senior,
figli e nipoti, erano di quella famiglia e per di più nostri progenitori.
CONTACHILOMETRI “TAROCCATI”:
UNA PRATICA ORMAI IN DISUSO TRA I RIVENDITORI DI AUTOMOBILI
di Stefano
Ferriani
Prendiamo
spunto da un articolo comparso sul mensile Quattroruote nel mese di Agosto 2006,secondo il quale la pratica del
cosiddetto “tarocco”del contachilometri è tutt’ora utilizzata dai commercianti
di automobili usate.
Ci
apprestiamo, quindi, a trattare l’argomento che riteniamo essere di interesse
comune.
E’
indubbio che fino a qualche anno fa il fatto di abbassare il contachilometri
fosse una pratica utilizzata da una buona parte degli operatori del settore: la
vettura con pochi chilometri percorsi risultava più facile da rivendere e,
pertanto, il commerciante, o
addirittura il privato che dava la vettura in permuta, passava dallo
specialista che in pochi minuti ringiovaniva la vettura a “gentile richiesta”.
Diminuire
fraudolentemente il chilometraggio dell’auto era diventata quasi una usanza:
Talvolta era –addirittura- l’acquirente
che chiedeva al rivenditore di togliere qualche chilometro, se riteneva che
quelli segnati sulla sua nuova vettura fossero in esubero. La frase di rito che
accompagnava la richiesta era, normalmente: “sa, mia moglie,gli amici…”.
In
realtà, il fatto di vedere segnati sul contachilometri della propria vettura
pochi km percorsi, nutriva
l’orgoglio e l’amor proprio e provocava
un effetto psicologico positivo,
probabilmente tranquillizzante.
Allo
scopo di arginare questo fenomeno, talvolta dilagante, nell’ultimo quinquennio
i costruttori di automobili, supportati da una sempre più sofisticata
tecnologia, hanno reso più difficoltoso,
e talvolta impossibile, modificare il chilometraggio delle vetture. Se a ciò aggiungiamo il fatto che la legge oggi
prevede dure sanzioni penali a chi altera
il chilometraggio degli autoveicoli
e, inoltre, obbliga il rivenditore ad effettuare un dettagliato stato d’uso
del mezzo usato, è facile affermare che tutto ciò è più che sufficiente per
modificare le antiche tentazioni.
Oggi,
le vetture usate vengono valutate in base ai chilometri percorsi, pertanto il
rivenditore, sulla scorta della percorrenza potrà decidere il canale di
vendita. Normalmente, se la vettura ha
percorso un chilometraggio inferiore a
“Morale della Favola”: Si può comprare tranquillamente e in sicurezza vetture usate; il mercato è vasto e offre ottime opportunità a prezzi convenienti.
UN MURMANNOLO MI HA DETTO…
di Nicola Perrelli
E..state a
Mormanno: è questa la circonlocuzione scelta dagli organizzatori per promuovere
l’agosto mormammese 2006.
Tutte le iniziative
sono state sostenute da una valida
campagna di informazione, da una serie di attività di comunicazione e da
una accurata brochure offerta in ogni dove.
Ricco il
palinsesto.
Si è
cominciato il 6 con
Cosi si è
presentato ai murmannoli, agli emigranti e ai turisti l’evento più importante e
duraturo di Mormanno.
L’apogeo è
stato ovviamente raggiunto a ferragosto. Tutto si è concentrato in questa
giornata topica dell’estate. Originariamente festa pagana nata con l’imperatore
Augusto per festeggiare i frutti della terra
e dal VI secolo in poi assimilata dal cristianesimo nella celebrazione
dell’assunzione di Maria in cielo.
Una Festa
molto sentita in paese, impregnata del culto per
Piazza
Umberto ed il Corso sembrano luoghi di pellegrinaggio . La calca è
spettacolare, ogni spazio calpestabile viene occupato . Una marea di gente
che passeggia, discute, si sollazza.
Che sfoggia,con vanagloria , le toilette
acquistate per l’occasione o quelle ritenute le più eleganti.
Impegni e
contrattempi vengono inconsapevolmente accantonati: finalmente una giornata da
dedicare a se stessi ,alla famiglia e agli amici.
Si è in
altre parole soggiogati dal contesto vivace e brioso che gratifica e stordisce.
Nei bar, seppure numerosi e attrezzati, regna la confusione totale: per un
aperitivo o per dolci e gelati, bisogna veramente
sgomitare, ma nessuno lesina un sorriso. Da qui a poco le tavole imbandite di rascateddri con sugo di caprettone piuttosto che
pasta al forno, agnello o capretto con patate,polpette e ogni altro ben di Dio,
metteranno d’accordo corpo e… anima.
Il
pomeriggio, satolli e spensierati , per una salutare passeggiata si va al laghetto del Pantano. Oggi località amena
e di svago, un tempo luogo agreste e di fatiche.
Il massimo
della frenesia sopraggiunge però al calar della sera, quando il Corso si
trasforma nella strada delle luci e del divertimento nostrano: una miniatura
dello “Strip” di Las Vegas. Ora è lontana l’abituale immagine sonnacchiosa e
pigra del paese. Il passeggio è
giunto al culmine, praticamente sono tutti fuori in strada e tante sono le
persone che si vedono solo in questa serata. O verso San Rocco o giù per lo
Scarnazzo, è d’obbligo la sosta in Piazza. Quest’area tanto cara ai nativi,
compressa tra
L’indomani
però molti di loro , i più giovani in particolare, dovranno nuovamente lasciare
il paese per motivi di lavoro o di studio. Non c’è stata libertà di scelta
all’andata , meno ancora ce n’è per il
ritorno. E’ l’altra immagine,scomoda se vogliamo, del ferragosto mormannese,
che ancora non ha cambiato il suo corso. Resta tuttora una festa dedicata agli
emigranti. A coloro che hanno dovuto e devono farsi una vita altrove. Un
retaggio antico ancora presente , ineluttabile . Sono cambiati i musicanti ma
la musica è sempre la stessa. Non più braccia da spolpare ma giovani istruiti,
spesso di valore e di prestigio, che portano il proprio “prodotto”
intellettuale con l’entusiasmo degli anni migliori a beneficio di altre
comunità, dove non hanno radici e
identità.
Ma
non è tempo di pacati ragionamenti… si è da poco spenta l’eco del ferragosto
che un’altra festa da inizio ad un nuovo giorno di baldoria e tutti sappiamo “
come è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti intorno fanno
rumore..”
Un breve resoconto filmato del Ferragosto
2006 su Faronotizie.it
http://www.faronotizie.it/mormanno.htm
COSE
(STRANE) TEDESCHE
di
Ferdinando Paternostro
Torno da breve viaggio in Baviera: castelli e ville
barocche, paesaggi straordinari, ottima birra e soprattutto… München,
dove tradizione, arte e storia si sposano con cosmopolitismo, tecnologia
e modernità.
Siete comodi ? Ecco le foto delle vacanze !
SAN ROCCO, PATRONO DI MORMANNO
di Nicola Perrelli
Il 16
agosto si festeggia in tutta Italia San Rocco. A Mormanno invece, per antichissima
tradizione, la celebrazione del santo , patrono del paese, avviene nell’ultima
domenica del mese con processioni e spettacoli.
Pur essendo
un santo cosi popolare, che tantissimi comuni ne portano il nome, poche sono le notizie storiche sulla sua vita. Nel passato addirittura si è arrivati a metterne in dubbio la stessa esistenza e
solo dopo il 1600 viene ufficialmente canonizzato dalla Chiesa.
La sua vita
è dunque un intreccio di fatti e di leggende. Secondo i testi e i documenti più accreditati nasce a Montpellier in Francia tra il 1340/50
da famiglia benestante. Rimasto orfano si spoglia dei suoi averi per
distribuirli ai poveri. Veste l’abito da pellegrino e parte alla volta della
tomba dei santi Pietro e Paolo, a Roma. Nel corso del lungo viaggio assiste e
cura molti malati di peste. Sono guarigioni miracolose. Nella stessa capitale
guarisce dalla peste anche un potente cardinale che come segno di
devozione e rispetto lo presenta al papa
Urbano V.
Nel viaggio
di ritorno con lo scoppio di una nuova
epidemia di peste rimane lui stesso contagiato. Il suo cammino si arresta pertanto nei pressi del fiume Trebbia , dove
decide di isolarsi e attendere
Santo
afflitto dai bubboni della peste in evidenza sulla gamba. Il patrizio
incuriosito segue il cane e diventa, dopo aver aiutato a guarire il santo,il
suo fidato e unico discepolo. Al suo rientro a Montpellier , per un equivoco,
viene imprigionato dalle guardie dello zio governatore ma non svela la propria
identità per un voto fatto. Resta quindi
in carcere per cinque anni, dove muore il 16 agosto all’età di 32 anni.
Le reliquie
da Montpellier finiscono, molti decenni dopo durante una nuova epidemia di
peste, a Venezia ove era stata costruita,per godere della sua protezione, una
chiesa a lui dedicata.
Il culto di
San Rocco si diffuse all’inizio in Francia, poi nell’Italia settentrionale ed
infine nel meridione, dove viene invocato non solo come patrono della peste e
delle piaghe ma anche come protettore contro le catastrofi naturali e le
malattie del bestiame.
L’ultima
domenica di agosto è un giorno particolarmente caro mormannesi, devoti e non,
che con grande partecipazione affollano sin dal mattino il sacrato della chiesa
intitolata al Santo. La solenne
processione che segue muove dalla Villa di San Rocco fino alla Cattedrale
dove la statua del Santo viene deposta per essere poi nel pomeriggio nuovamente riportata dal
corteo nella sua originaria dimora.
Anche se
oggi il culto si è affievolito ,durante la processione per rendere gloria al
Santo, sfilano ancora le “cinte” , grandi ceste fatte di ceri e ghirlande, che
una volta venivano portate sul capo da donne che indossavano costumi
tradizionali. Come resiste tuttora l’usanza
di portare il grano in sagrestia in segno di ringraziamento per il
favorevole ciclo agricolo . Oggi in piccole quantità, un tempo cosi abbondanti da riempire il locale. Sempre
attuale infine la consuetudine di coprire di biglietti di banca la statua del
povero Santo.
I
festeggiamenti continuano la sera nello splendido scenario della villa di San
Rocco abbellita da luminarie, decine di bancarelle con noccioline,
torroni, giochi e tant’altro, in attesa
dello spettacolo e del sorteggio dell’auto nuova di zecca in palio. Con
l’assegnazione del premio si conclude la
festa più popolare del paese ,che chiude il ciclo dell’agosto mormannese e annuncia l’arrivo della lunga stagione fredda.
DIARIO DEL SACCHEGGIO
regia di Fernando Solanas
visto da Carla Rinaldi
Argentina anno
zero. Saccheggi dell’animo e privazioni di identità. Un documentario può
raccontare tutto ma spesso riesce male a mostrare sentimenti. Il “Diario del
saccheggio” di Fernando Solanas invece, segue dall’inizio alla fine, la crisi
tremenda dell’economia argentina iniziata, o meglio scoppiata, all’inizio del
2000 e salita alla cronaca mondiale nel 2003 con le manifestazioni pacifiche
delle pentole sbattute con rabbia e rassegnazione per le strade di Buenos
Aires.
La crisi,
ci racconta la storia, incomincia tanti e tanti anni fa, quando i prestiti
delle banche internazionali, finanziavano, assolutamente non a fondo perduto, i
Paesi che lo richiedevano e in questo modo si accaparravano disponibilità e
dedizione.
L’Argentina,
che spesso è stata capeggiata da sedicenti politicanti dediti solo a denari e
vanità, ha raggiunto il picco massimo di cattivo utilizzo dei prestiti, con
Menem, leader argentino per oltre un decennio e con i suoi scagnozzi che nella
privatizzazione hanno fiutato ricchezze personali. Ma la liberalizzazione del
mercato è possibile solo ed esclusivamente nei luoghi meritocratici e dove il
commercio che gira ha un senso fondamentale per il benessere di una nazione.
Invece in
Argentina, sarà il clima sarà l’anima pigra, ma il sistema statale assicurava
ai suoi cittadini un minimo salario e la speranza in un’esportazione reale e
massiccia delle loro tante materie prime. E invece cosa è accaduto? Menem ha
cominciato ad importare la carne. La carne delle Pampas è tra le migliori al
mondo. E’ come se i napoletani importassero la pizza. Ad un certo punto
l’ingordigia oligarchica ha venduto, termine esatto, quasi tutti gli argentini
in cambio di dollari e in cambio di licenziamenti esosi.
Questa è la
storia. Questa però potrebbe essere la storia di tanti altri Paesi, in questa
vicenda con brividi forti, si possono riconoscere molti Berlusconi e tanti
Bush. Infatti, ad un certo punto la confusione è tale, quando un certo uomo di
politica acquista molte televisioni e trasforma le serate degli argentini in
visioni pubbliche di vite private con balletti e domande inopportune sulla
gestione quotidiana di chi comanda facendolo passare per un uomo simpatico.
Questa l’immagine televisiva che gli alti dirigenti volevano dare del Paese
ormai, invece, allo sbando completo.
Ad un certo
punto però è accaduto che il popolo ha capito tutto e in quel momento, nessun
compromesso o accettazione passiva si è potuto attuare. La gente si è
svegliata, ha cominciato a sbattere forte i coperchi e ha urlato a squarcia
gola. Il bluff stava terminando ma con
lui anche l’economia ormai privatizzata e il destino della nazione intera
scoperchiato. Per fortuna è successo che molti Stati hanno cancellato il debito
pubblico che avevano con l’Argentina, Menem è stato depurato e si è ritirato
nelle sue mille ville comprate con i soldi dei suoi sudditi, le pentole sono
ritornate nelle scansie e per le strade la gente ha ricominciato a ballare il
tango.
di Monica Rigo
Tra
le altre manifestazioni del mese di
agosto, si è svolta a Mormanno (CS) la Festa - Raduno dell’Emigrante, quest’anno
alla sua seconda edizione.
Giusepe
Aita, coinvolgente organizzatore dell’evento assieme a Silvio
Regina, ha presentato l’iniziativa ai tanti
convenuti presso il Teatro Comunale.
Si
sono succeduti sul palco
E’
stato poi presentato FARONOTIZIE.IT e nello specifico i contributi presenti nella
sezione “Murmannoli qua e là”.
Una
targa ricordo è stata, infine, consegnata alla sig.ra Francesca Sola,
ultranovantenne mormannese trapiantata da anni con la famiglia in Lombardia.
L’intera
manifestazione è stata registrata e ritrasmessa da Telemormanno.
REGALARE E REGALARSI
di Raffaella Santulli
Questa frase bellissima, tratta da
un testo indiano, riassume il vero e autentico significato del regalo. Quando
si fa un regalo? La risposta più ovvia e spontanea è, sempre. Regalare un fiore
perché si è allegri. Regalare un oggetto, prezioso o qualunque, perché qualcuno
che ci preme lo guarda con desiderio. Regalare un sorriso, una telefonata, un
sms a chi non se lo aspetta, o a chi l’attende, invece, come prova di esistere.
Regalare indulgenza, pietà, pazienza, sacrificio. Sono tutte occasioni da
premiare con un regalo: il più bello, perché è “senza ragione apparente”.
Una meraviglia che scalda il cuore,
un gesto che rinsalda gli affetti, un messaggio di tenerezza.
Rothschild diceva che chi regala un
diamante di trenta karati può permettersi di toglierselo dal taschino e di
infilarlo al dito della destinataria, senza astucci e senza presentazioni
speciali.
Si ha la tendenza, infatti, ad
infiocchettare un regalo modesto e a diventare più sbrigativi se il regalo è
importante, continuando a sbagliare il bersaglio: che non è l’oggetto ma il
messaggio che gli è stato affidato.
Quindi, chi riceve un dono deve
cercare quel messaggio, spesso mal espresso, balbettato, confuso.
E di quel messaggio infatti, che dovrà
rendere conto a se stesso, accettandolo e rispondendo; ed è a quel messaggio
che dovrà riferirsi per accogliere con gioia ciò che gli è stato donato con
gioia, e con sufficienza ciò che gli è stato donato soltanto per obbligo o con
supponenza.
Davvero, di fronte ad un regalo,
siamo capaci di avere pensieri così elevati? Senza lasciarci prendere la mano
da valutazioni assai meno spirituali che soppesano, invece, il contenuto per
quel che vale?
Saper leggere attraverso un regalo i
sentimenti, qualche volta non edificanti ma spesso volenterosi, di chi ci ha
fatto un dono è un talento umano esclusivo.
ZONA FRANCO- BOLLO
Metti una sera al Cinema: bentornato Cinestar!
di Francesco Aronne
Una sera di giugno trainato da amici
fidati che hanno neutralizzato una mia atavica “pigrizia cinematografica”,
alle 22, sono andato per lo spettacolo serale al vecchio anzi Nuovo Cinestar.
Non nascondo il piacere di varcare un’antica (e da tanti a lungo attesa)
soglia. Un’insegna luminosa di neon azzurro fluorescente che fa tanto “Snack
Bar Budapest” ci accoglie e ci indirizza… e dopo la cassa (che rivedendola mi
ha velocemente riproposto, come i fotogrammi di un vecchio film virato seppia,
le varie facce che in quel posto, in diversi anni, si sono alternate con il
piglio di incorruttibili doganieri) la sala rinnovata (i posti i vasciu:
arena di classe e incubatoio di fragili e naufraghi pensieri
insurrezionalisti), comunque impregnata di tanti ricordi.
Un cinema nel cinema dove il primo
stava per film (per molti ancora, da queste parti, cinema sta per film come
televisione sta per televisore: siamo o non siamo il popolo per cui la lingua
straniera più parlata è la propria?). Film o forse più realmente teatro, visti
carni, ossa, odori, umori, sudori impastati nel fumo che abbondante esalava
(deformando la proiezione sullo schermo e impregnando i vestiti col suo rancido
fetore). Spettatori diversi accomunati e trasportati dal fluire d’immagini che
allora veramente trasportavano. Un nuovo, anzi antico cinema Paradiso come
trottola di emozioni e frustrazioni ma momento anche unificante nella cultura
popolare…finestra a pagamento su altri indelebili ed allora lontanissimi
mondi…Memorabile ed “epico” il ricordo di un episodio di cui non fui testimone poiché
non ancora quattordicenne, ma che per quante volte sentito oramai mi
appartiene: la proiezione de “Il raggio maledetto”, film minimalista
autoprodotto (vietato appunto “ai piccoli minori”), horror nostrano che rivisto
dopo tanti anni si mostra col suo indubbio e affascinante valore artistico.
Registi ed attori in erba che nel post-oblio di quell’attimo fuggente sono
stati chiamati dalla vita a svolger distanti e lontanissime mansioni…una forma
innocente di realismo nonsocialista che offriva persino un nudo
femminile (parzialmente censurato). La cronaca ci ricorda, in sala, il (non
confermato) riconoscimento dell’identità della proprietaria del corpo (non
esisteva allora la legge sulla privacy…) e la declamazione ad alta voce della
sua peculiare occupazione e provenienza: un nostro compaesano intese così
affermare un bestiale, sia pur innocente, primato. Ed anche questa volta, dopo
tanti anni, anche ora come allora… qualche commento ad alta voce, qualche
considerazione tra spettatori anche distanti in sala, risate non propriamente
pertinenti, transiti ed accomodamenti di spettatori non puntuali che parlano
con udibile voce sommessa quasi a voler nascondere il disagio di un ritardo non
voluto, accessori questi scomparsi nelle moderne multisale cittadine. I tempi
cambiano, ma Mormanno resta ed il suo cinema, per fortuna, sembra ancora
(almeno nell’occasione citata ed in barba al restyling) quello di un
tempo.
La sala del Cinestar porta ancora
con se le energie (veramente tante) di quanti sono traghettati tra le sue
(all’epoca dure) poltrone. Cultori devoti ed incondizionati per qualsiasi tipo
di proiezione, amanti della allora fioca luce rossa (forse rosa?),
cinespettatori comuni ed architetti del nuovo mondo promotori di
cineforum…diverse generazioni con il loro transito hanno fatto di quell’ormai
innocuo luogo, il tempio laico (contrapposto al “pidocchietto” clericale) che
rimane nel ricordo di chi lo ha, poco o molto non importa, vissuto… Ed infine,
anche se marginale per le sensazioni descritte, il film in proiezione: “Il
Codice Da Vinci”…lontano da eco ridondanti che da mesi occupano la prima fila
dei media, qui a Mormanno questo clamoroso ed atteso evento internazionale
rimane (per fortuna) solo un film.
Palpabile in sala la curiosità di
più di uno spettatore attratto dal gran parlare sulle vicende narrate,
malamente nascosta alla fine la delusione di qualcuno che contava nelle
clamorose rivelazioni in grado di minare le basi sia pur solide storiche o
religiose di chicchessia… Un film, che nel contesto che ho descritto mi è
risultato di gradevole visione… Di certo lontano dalle vicende storiche e reali
a cui il libro generatore si è acrobaticamente ispirato, ma a cui va certo
ascritto il merito di aver spostato l’interesse di moltitudini dai peli di Ibrahimovic
ad argomenti e favole di diversa estrazione e natura…
E poiché un film è solo in film, ma
proprio perché film attiva e rimuove sogni, deliri e suggestioni, la sera a
casa sono andato a guardare la data di un vecchio libro raro e fortunosamente
trovato: “Le Templiers son par mi nous” non tradotto in Italiano, di un autore
ormai scomparso: Gerard De Séde. Reca la data 11 Agosto
Ho rivisto di recente in un
documentario televisivo quei luoghi: una tabella nuova di zecca col nome del
borgo ormai famoso, all’epoca un’insegna arrugginita quasi illeggibile, il
cimitero ormai chiuso alle visite delle moltitudini. Dramma della celebrità che
determina la difficile frequentabilità di un posto preso d’assalto da orde
chiassose di turisti che ne hanno distrutto la quiete ed il fascino… Il mio
lontano viaggio lo feci con un paziente ed assecondante amico; incontrammo poca
gente, veramente poca: una sola famigliola che sembrava giunta lì più per caso
più che per le vicende ed i misteri gravitanti sul tremendo sito (terribilis
est locus iste)…
Ripensando con un po’ di nostalgia a
quel viaggio ricompongo i miei pensieri di allora… mi chiedevo come mai un
luogo che trovavo colmo di fascino e misteri, che mi aveva spinto da Mormanno a
gironzolare per i Pirenei orientali fosse sconosciuto ai più. Poca gente, aria
di decadenza e di abbandono… Ci ha pensato Dan Brown a farmi ricredere e capire
che quando si è in alcuni posti è meglio lasciarsi rapire dal paesaggio, dalla
magia dei luoghi, da suggestioni e pensieri corsari…. evitando domande futili e
sciocche (anche se fatte a se stessi) magari generatrici di occulti moti
energetici…un po’ come quando si è nella sala del Nuovo Cinestar durante la
proiezione di un film qualsiasi.
[1] Ancor piu’ remota è l’idea di tracciare la storia delle origini di Mormanno nonché l’etimologia stessa del nome.
Vari autori locali si sono attardati vagamente e sommariamente sull’argomento, ma una buona monografia non è ancora stata data alla luce.
[2] Raffaele Bisignani Il notariato a San Donato di Ninea, Apollinea n°4 luglio/agosto 2000 pag. 14
[3] Biagio Cappelli Mormanno una chiesa bizantina
[4] Da “Balenar d’ombre”, Ed. Il Cosciale, 1997
FARONOTIZIE.IT - Anno I - n° 6, Settembre 2006
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