FARONOTIZIE.IT  - Anno I - n° 6Settembre 2006

Questa pagina contiene solo  il testo di tutti gli articoli del n° 8/2006

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Direttore responsabile Giorgio Rinaldi

 

 

IL RICHIAMO DELLA FORESTA

di Giorgio Rinaldi

 

Da questo mese su Faronotizie.it i lettori troveranno tre nuove rubriche: Poesie, Genealogia e Emigrazione.

 

Quella dedicata alla poesia si apre con un componimento in ricordo di Giacomino (murmannolo mai insignito di alcuna onorificenza ma da tanti sempre ricordato) di Francesco Tarantino, affermato e pluripremiato poeta, ed è aperta alle fatiche letterarie di tutti.

 

L’altra, si rivolge ai murmannoli che vogliono scoprire le loro origini e conoscere il loro albero genealogico.

Questa rubrica è curata da esperti che possono soddisfare, in maniera scientifica, le curiosità, e non solo, di chi è alla ricerca dei propri antenati.

I murmannoli possono scrivere alla redazione di Faronotizie.it, utilizzando il link  su questa stessa pagina, sia per richiedere informazioni sulle proprie origini che, nei limiti del possibile, saremo lieti di soddisfare, sia per far sentire il proprio punto di vista, come in questo numero fa il
Prof. Luigi  Paternostro e la cui lettera è pubblicata nello spazio “Lettere alla Redazione”.

 

L’ultima è dedicata agli Emigrati, ed è aperta al loro contributo.

 

Queste rubriche vanno incontro a tante esigenze di riscoperta delle proprie radici, della propria identità, della propria cultura, delle proprie tradizioni.

 

Fenomeno generale al quale non sono certo alieni i murmannoli e tutti gli abitanti dei paesi legati tra loro, ad onta delle divisioni regionali, per affinità culturali, sociali, economiche etc.: Laino Castello, Laino Borgo, Castelluccio Superiore, Castelluccio Inferiore, Rotonda, Viggianello.

Nel corso del mese di agosto in tanti sono tornati al proprio paese natio per passare almeno una parte  delle vacanze estive con amici e parenti, la cui maggior parte  è sparsa, per il resto dell’anno, in Italia e nel Mondo.

Faronotizie.it nell’occasione di questi incontri ha beneficiato di una grande pubblicità e di tanti benevoli riconoscimenti.

 

Grazie all’ospitalità degli organizzatori della “Festa dell’Emigrante” e di Telemormanno, Faronotizie.it si è fatto ulteriormente conoscere un po’ dappertutto.

L’augurio della Redazione è che in molti vogliano utilizzare  Faronotizie.it come strumento di denuncia,  dibattito, proposta, stimolo e chi più ne ha, più ne metta.


 

 

AMICO ASPERTINI, UN ECCENTRICO CLASSICISTA BOLOGNESE

di Camillo Tarozzi

 

Un accenno alla biografia di Amico Aspertini in questo spazio è motivato dall’intenzione redazionale di inserire ogni mese notizie ed annotazioni tecniche di fatti artistici che sono parte della storia di san Petronio, la Basilica bolognese che nell’anno in corso è oggetto di una serie importante di restauri ad opere di scultura e pittura. Sarà l’ occasione di entrare in argomenti non sempre diffusi ma che nascondono aspetti della tecnica di esecuzione, o  di particolari anneddottici che attraggono la curiosità di chi cammina con l’occhio verso l’alto.

 

In una parola, le due lettere iniziali pongono Amico all’inizio di una sequenza per ora soltanto biografica, che si caratterizzerà con schede di restauro, di stile, di storia delle arti che hanno resto la Basilica bolognese un monumento tra più insigni della cultura occidentale. Amico fu per una ventina di anni il “direttore artistico” del cantiere, oggi diremmo l’architetto decoratore, con alti e bassi di umore e di pratica, con liti ed apprezzamenti di cui riferiscono le fonti, con una lite in particolare con Properzia de Rossi, forte ed intelligente artista felicemente attiva in san Petronio a cavallo del cinquecento, che univa alla pratica della scultura una forza “mascolina”  (mi si passi la battutaccia) comune a chi ha pratica di lavorazione dei marmi, e che doveva necrotizzare e spaventare il futuro misogino che si nascondeva nel nostro artista.

 

Insieme a Francesco Francia e Lorenzo Costa – ma in tutt’altra direzione stilistica  - Amico Aspertini è uno dei più importanti pittori attivi a Bologna a partire dal periodo in cui la città era dominata dalla nobile famiglia Bentivoglio con metodi poco apprezzati dalla popolazione- tanto che alla loro cacciata la loro meravigliosa residenza cittadina fu totalmente distrutta-  ma con un forte e illuminato interesse per la cultura e la committenza artistica. La scarsa fortuna critica che ha seguito Amico nel corso dei secoli è anche dovuta al celebre Giorgio Vasari che nelle sue ‘Vite dei Pittori…’, forse per la sua difformità rispetto sia alla bellezza classica del ‘400 che alle nuove tendenze del manierismo,  non ne riconobbe le grandi qualità artistiche e lo tacciò di pazzia: ‘Costui, venuto finalmente in vecchiezza di settanta anni, fra per l’arte e la stranezza della vita bestialissimamente impazzò. Anche se il bolognese  Carlo Cesare Malvasia, sempre teso a sottolineare il valore delle glorie locali,  rivendicò a tratti la sua originalità, solo Roberto Longhi, e poi Francesco Arcangeli, arrivarono a riabilitarlo, dando inizio ad una nuova stagione di studi  su di lui.

 

Amico, nato a Bologna tra 1474 e 1475, faceva parte di una famiglia di artisti: sia suo padre Giovanni Antonio che il fratello minore Guido erano pittori. E’ il Malvasia a ricordare il suo genio precoce, a suo parere sviluppatosi tramite l’esperienza nella bottega del padre e poi presso il più anziano Francesco Francia. E’ probabile, secondo l’ipotesi formulata da Arcangeli,  un suo viaggio giovanile a Firenze, dove avrebbe conosciuto maestri più vicini al suo gusto, come in particolare Filippini Lippi. Tra la fine del ‘400 e i primi del ‘500 fu a Roma, dove, fino al 1503, lavorò per Alessandro VI. Di nuovo a Bologna nel 1504, gli nacque il primo figlio. Stretti divennero in quegli anni  i suoi rapporti con i dominanti bolognesi, tanto che il suo secondogenito fu tenuto a battesimo nel 1506 da Annibale Bentivoglio. In questo periodo eseguì probabilmente la pala del Tirocinio, ora in Pinacoteca a Bologna e lavorò, in concorrenza con Francia e Costa, nell’oratorio di Santa Cecilia.  Ma nel frattempo i Bentivoglio venivano costretti a lasciare Bologna:  Amico si trasferì allora a Lucca, dove operò in San Frediano, dove il suo lavoro più importante fu la decorazione della cappella di Sant’Agostino, fatta costruire nel 1506 da Pasquale Cenami, priore della Chiesa. Nella città toscana fu poi presente saltuariamente, con frequenti ritorni a Bologna, dove assunse un importante ruolo anche sotto il nuovo governo papale. Oltre ad aver allora  dipinto la pala di San Martino ( 1510  - 1512) e affreschi perduti in San Michele in Bosco (1514), a partire dal 1510, e per l’intero decennio successivo, gli furono soprattutto affidate  importanti committenze in San Petronio (nel novembre 1510 è pagato per un busto sul portale centrale, nel 1514 dette i disegni per le figure di S. Petronio e S. Ambrogio per il coro.

 

Nel 1519 eseguì la Pietà, nel 1524 lavorò a due rilievi nella porta minore sinistra della facciata, nel 1526 fu pagato per un rilievo e altre sculture delle porte piccole. Sempre nel 1526 fu incaricato di eseguire un Cristo sorretto da Nicodemo per il portale minore di sinistra.; dal 1531 lavora alle portelle dell’organo. Negli stessi anni affrescò  una perduta Resurrezione per la cappella della Pace e il ritratto di messer Gozzadini col figlio (Malvasia), pagato da Annibale Gozzadini nel 1527. ).

Pittore allora molto stimato, ebbe anche importanti impegni legati ad eventi di grande importanza per la città: nel 1529 – anno in cui  fu nominato massaro delle arti – lavorò agli apparati per l’ingresso di Carlo V a Bologna. Successivamente non ci sono documenti sulla sua attività artistica, ma più su compravendite di case e terreni. Morì  il 19 novembre 1551 e fu sepolto in San Martino. (notizie tratte da Arcangeli, Natura ed espressione nell’arte bolognese- emiliana, Bologna 1970 pp.161- 165, biografia)

 

 

LA FOTOGRAFIA DEL TURISTA

di Raffaele Miraglia

 

Pioveva che Dio la mandava. Dubito fosse il nostro Dio, perché eravamo nel Myanmar. In Italia il Myanmar si chiama Birmania.

 

Avevamo, io e Rosella, la sera prima velocemente contrattato un taxi. Il ragazzo con cui avevamo stretto l’accordo non era l’autista, ma uno che sapeva un pò di inglese e, dunque, faceva da mediatore e simil guida turistica. Il suo nome era Maung nonricordochè. Maung vuol dire giovane. Dopo qualche anno avrebbe cambiato una parte del nome, perché nel Myanmar  si fa così.

 

Dal nostro alberghetto di Mandalay avevamo raggiunto Amarapura, poi eravamo andati ad Ava e, infine, eravamo arrivati sulla collina di Sagaing.

 

Dicevo che pioveva. Il Myanmar è uno dei quei paesi che ti fanno veramente capire che differenza c’è fra la stagione delle piogge (la nostra estate) e la stagione secca (il nostro inverno). Bisogna andarci nelle due stagioni diverse per capire come lo stesso posto possa assumere due identità e due apparenze completamente diverse. Pensate di vedere una volta Venezia con l’acqua alta e l’altra volta Venezia come una qualsiasi città di terraferma. Pensate di vedere l’Ayeyarwady (il loro Po) una volta sul suo letto largo un chilometro e l’altra volta largo dieci e a quello stupa ci andate in barca e ne vedete solo la sommità.

 

Eravamo nella stagione delle piogge e, dunque, nel tempio che stavamo visitando il nostro equilibrio era alquanto precario. Purtroppo i birmani amano la ceramica. Anche molti vecchi templi sono stati ristrutturati e il pavimento è rigorosamente in ceramica. Nei templi si cammina rigorosamente scalzi. E la ceramica bagnata è estremamente scivolosa. Lo sapevate?

 

Camminavamo così, attentissimi, tra gli altari e le statue. Un folto gruppo di pellegrini visitava il tempio. Maung ci raggiunse e con il suo inglese stentato ce li indicò. Ci disse che chiedevano di poterci fotografare, anzi, di potere fare delle foto con noi. Ci spiegò, con l’aria di scusarsi, che venivano da un villaggio del nord, al confine della

 

Cina, e che uomini bianchi li avevano visti solo in televisione.

 

Uno solo dei pellegrini aveva una macchina fotografica. Era una vecchia macchina dell’era sovietica, con tanto di custodia in cuoio.

 

Ci disponemmo davanti ad un altare e a turno uno o una dei pellegrini si poneva accanto a me o a Rosella e si faceva fotografare

rigorosamente in posa. In posa vuol dire che c’erano la ragazza che si faceva fotografare mentre offriva un fiore a Rosella o l’anziano e il sottoscritto immortalati di profilo mentre a mani giunte ci inchinavamo a mo’ di saluto. Le foto furono molte. Il fotografo a un certo punto cambiò il rullino e alla fine spiegò ad un ragazzo come usare la macchina e si mise anche lui in posa accanto a me, che facevo finta di ritrarlo con la mia macchina fotografica.

 

Fu un tripudio di inchini e di sorrisi. E alla fine io e Rosella sorridemmo all’idea di riapparire in foto in qualche capanna del nord del Myanmar e di essere mostrati come dei trofei.

Già, come dei trofei, la stessa cosa che migliaia di turisti fanno, mostrando i volti dei bambini, degli anziani e di tutte quelle altre persone dai tratti somatici così diversi che, come trofei, vengono esibiti alla fine di un viaggio esotico agli amici.

 

Se già altre volte mi era parso di capire che io, turista, potevo diventare l’attrazione e la curiosità per i locali, quella volta ne ebbi la certezza.

 

Quella certezza che solo una fotografia può dare.

 

E mi chiedo cosa penserà fra cinquant’anni, ritrovando quella vecchia fotografia, quel bimbo che il padre mi pose fra le braccia davanti all’entrata della Città Proibita a Pechino. Scoppierà a ridere? Si interrogherà perplesso sul perché mai il padre lo fotografò tra le braccia di un brutto signore europeo, calvo e vestito con una t-shirt inguardabile?

 

P.S. Se poi volete vedere delle foto sul Myanmar, sui birmani e sui turisti in Myanmar, allora vi consiglio quelle pubblicate nel sito http://www.myanmars.net

 

 

 

 

 

A GIACOMO

di Francesco M. T. Tarantino

 

 

Forse perché nessuno ti ricorda

Vorrei non dimenticarti anch’io

Da bambino ti ascoltavo narrare

D’altri mondi e di giochi sulla corda

Di un moto perpetuo senza un avvio

Fra lo sconcerto dei matti da legare

 

Avessi potuto allora comprenderti

Senza il giudizio dei benpensanti

Che ti esiliava da questo mondo

T’avrei ascoltato senza confonderti

Con i presuntuosi e gli arroganti

Mi sarei tuffato nel tuo girotondo

 

Hai traslato il principio del moto

In un divenire perenne e costante

Spingesti la mente oltre il consueto

Quale alchimia ti scaturì dal vuoto

Che trasformasti in energia rotante

Non fosti capito e tenesti il segreto

 

Nessuno ti ricorda e né ti celebra

Danno premi a tutti tranne ai lupi

Ti bollarono “matto” senza pietà

Rise di te chi viveva nella tenebra

L’ignorante che ha paura dei dirupi

E non ha per le bestie alcuna carità

 

Figlio di un tuono in una notte di luna

Ti chiamarono Giacomo come un altro

Che fu amico di Cristo e poi alchimista

Entrambi non aveste molta fortuna

Perché vi opponeste al potere scaltro

Appesi al mistero che va oltre la vista

 

 

* Francesco M. T. Tarantino ha di recente pubblicato una raccolta di poesie dal titolo “Cose Mie”, MEF - L’Autore Libri Firenze.

 

 

 

MORMANNO COME CALCUTTA ?

di Giorgio Rinaldi

 

Il travolgente Paolo Rumiz, nel suo ultimo viaggio dalla Liguria alla Calabria attraverso gli Appennini, ha dedicato ben una colonna e mezzo –e la cosa è veramente unica- del rèportage della 21^ tappa (La Repubblica del 21.8.06) a Mormanno, anzi, per gran parte, al traffico nell’abitato di Mormanno, paragonando il paesello –nientedimeno- che a Calcutta!

Al grande giornalista Rumiz è bastato attraversare in auto (una Fiat Topolino del 1953) il paese per farne una descrizione che, per certi versi, e a parte  alcune forzate coloriture cha sanno di stantii stereotipi,  vale più di 1000 fotografie.

 

Eppure, nonostante la gravità del problema traffico, dopo la costruzione di una specie di variante nulla più è stato fatto.

Che vi siano degli interessi di bottega che frenano ogni iniziativa è cosa nota: nessuno vuole intaccare il suo portafoglio elettorale e, accuratamente, ci si preoccupa di non sporcarsi le mani, senza curarsi –però- dello sporcarsi dei polmoni dei cittadini.

Così, anche le soluzioni più semplici, più ovvie, più banali, vengono prudentemente evitate da chi, invece, ha la piena responsabilità nella risoluzione del problema.

E’ di tutta evidenza che quando si devono fare delle scelte non si può accontentare tutti.

Ma, chi non se la sente può starsene, ovviamente, a casa sua e lasciare agli altri l’incombenza.

Chi scrive non ha competenze ingegneristiche e non può certo suggerire opere che potrebbero risolvere una volta per tutte il problema.

Di sicuro, però, varianti di traffico o circonvallazioni, o bretelle, o raccordi, o  by pass, o come volete voi, anche di una certa consistenza, se ne vedono dappertutto: perché, allora, non a Mormanno ?

La primitiva variante, dopo qualche successivo, patetico intervento di risistemazione, là era e là è rimasta, immobile, letargica, narcolettica, catalettica, come buona parte di Mormanno, del resto.

In attesa  che chi è pagato per trovare soluzioni si guadagni lo stipendio, vediamo se possiamo chiedere a Paolo Rumiz di ripassare l’anno prossimo da  Mormanno e strappare alla sua penna un altro e diverso paragone:

1)     Può essere ritenuto disdicevole impedire (all’occorrenza anche le Alte Autorità hanno buone orecchie per ascoltare…) ai “tir”, o comunque ai mezzi pesanti, di attraversare il centro abitato, posta e ritenuta l’esistenza di ben due svincoli autostradali ?

2)     Può essere ritenuto sconveniente costringere l’attuale gestione dei servizi pubblici stradali di linea ad utilizzare mezzi più piccoli (ed economici!!!) di quelli che, inquinando abbondantemente,  vanno avanti ed indietro portando due o tre passeggeri per volta e bloccando costantemente il traffico ?

3)     Può essere ritenuto indecente obbligare i grossi mezzi che consegnano le merci a scaricarle alle porte del paese ove un piccolo autoveicolo, magari elettrico, ad uso dei commercianti, artigiani etc.  possa ritirarle e  consegnarle ai committenti ?

4)     Può essere ritenuto indegno che i commercianti possano istituire un servizio di consegna a domicilio degli acquisti più consistenti, quelli –per intenderci- che giustificherebbero l’uso dell’auto nel centro abitato e la sosta quasi nei … negozi ?

5)     Può essere ritenuto inopportuno  impiegare i Vigili Urbani (o Polizia Municipale o Locale) oltre che per verificare lo stato dei vicoli e delle strade in genere del paese, obbligando  qualche furbetto a non sporcare e a mantenere puliti e ordinati i propri beni , anche a istituire controlli alle autovetture, motorette etc. ( dallo spessore del battistrada della ruota di scorta alla effettuata “revisione”) soprattutto degli irriducibili “attraversatori” –spesso senza apparente ragione alcuna- del centro abitato, per scoraggiarli in via definitiva  ad usare l’ex SS 19 come  una pista riservata ?

6)     Può essere ritenuto  riprovevole chiedere  il sequestro di qualsiasi mezzo (specialmente moto e motorini)  la cui rumorosità supera ogni più benevola tolleranza, levando multe adeguate , come anche per chi viaggia senza cinture o senza casco o in due sul motorino ?

A parte ogni ulteriore considerazione, non è certo bello vedere che ANCHE nell’applicazione del codice della strada ci deve essere un’altra Italia, diversa e mediocre !

7)     Può essere ritenuto inadatto chiedere la permanenza, e quindi non solo nel periodo estivo, del senso unico ?

8)     Può essere ritenuto  improprio installare un semaforo (magari funzionante solo nelle ore più critiche) ?

 

Lieto di essere adeguatamente contestato punto su punto e di leggere documentati buoni propositi e soluzioni … ad horas,  che possano far scrivere al buon Rumiz: Mormanno come  Zurigo.

O la sonnolenza è invincibile ?

 

 

ANDIAMO A BERE: IL PIGNOLETTO

di Antonio Penzo

 

 

Strani uomini questi bolognesi. Giacomo Leopardi li chiama “vespe che non pungono” e loro continuano tranquilli e beati ad operare come se nulla fosse cambiato. Non si accorgono nemmeno che la “grande” Bologna atavica non esiste più, seppellita nei giochi politici di portaborse inopportuni. Ma la gastronomia rende ancora grande Bologna ed i bolognesi strizzano il loro cervello “universitario” per saziare i loro istinti e studiando e ristudiando hanno scoperto che presso di loro esisteva fin dai tempi di Plinio il Vecchio (quello che assistette all’eruzione del Vesuvio) un vitigno denominato “Pino Lieto”. Il saggio Plinio definiva il vino tratto dalle uve come “non dolce abbastanza per essere buono”. Poi i secoli sono trascorsi e nel 1654 il Tanara narra di “Uve Pignole” nel suo famoso trattato “L’Economia del cittadino in villa”. Ma detto vitigno è rimasto ad albergare nelle colline bolognesi, incurante delle varie mode enologiche fino a quando ci si è accorti che il vino che si trae dalla sue uve è buono.

Oibò, avrà detto il dottor Balanzone e certamente Giosuè Carducci, nel passare di osteria  in osteria per recarsi allo Studio, ne sorseggiava robuste quantità, unitamente ad altri vini che allora riempivano scaffali e damigiane. Tradizioni che i nostri “baroni” o professori universitari hanno dimenticato per più leziose bevande che fanno “cult”.

 

Grazie alla migliorata tecnica vinificatrice dei nostri agricoltori, ora il pignoletto rappresenta la tradizione bolognese di un ottimo prodotto e la sua serbevolezza si manifesta nei giorni di caldo.

Fresco e delicato con sentori fruttati (fiori di biancospino, mela, albicocca, ecc), dal colore giallo paglierino scarico con riflessi verdolini e fresco di acidità fa appieno la veste di accompagnatore  di antipasti all’italiana, di pesce, di tigelle con affettati, di verdure ed uova. Lo puoi bere a tutto pasto: sui tortellini in brodo trova la sua morte, ma anche su formaggi freschi e carni bianche.

Lo si trova sia nella versione ferma (classica), sia in quella frizzante a fermentazione naturale ed ora alcuni lo vinificano nel tipo spumante Charmat ed anche passito.

 

Per esserne conquistati basta assaggiarlo e quando si va in Bologna e provincia richiedetelo, non fate certo brutta figura, rispetto a tanti vini commerciali che riempiono la bocca. Provare per credere.

 

 

 

VIAGGIO ALLE ORIGINI: REGINA

di Francesco Regina

 

E’ d’uopo premettere a priori come un lavoro serio e scrupoloso di indagine storico – araldica mirato alla ricostruzione delle prime famiglie mormannesi  non è cosa da farsi sic et simpliciter.

La documentazione specifica in materia è peraltro scarsa e rimaneggiata, tuttavia con l’ausilio della genealogia, a buon diritto definita scienza sussidiaria della storia, forniremo di seguito quanto è stato possibile desumere dai volumi anagrafici custoditi nell’ archivio parrocchiale.

           

La famiglia Regina ha origini remote contemporanee all’affermarsi dei primi nuclei insediatisi nell’allora castrum di Miromanno[1]. 

Risulta che in principio si dissero La Regina, della Regina e de’Regina.

Accadde però, che con il trascorrere degli anni, dei decenni e dei secoli il cognome originale mutò, si crearono pertanto varie diramazioni ed ogni ceppo si contraddistinse in forme e modi diversi, tendendo sempre all’elevazione sociale e alla difesa della propria dignità familiare ed individuale nel contesto paesano.

I primi personaggi insigniti del titolo di Messere, risalgono al periodo della dominazione spagnola sul nostro territorio.

 Si ha menzione di un sacerdote benemerito, ossia D. Domenico figlio di “Pascale della Regina”,  titolare di una cappellania locale e che era altresì imparentato con le nobili famiglie dei Loria – feudatari di Maierà – Perrone e De Luca – famiglie gentilizie locali.

           

Altra famiglia di personaggi di spicco (notai, giurisperiti, dottori ed ecclesiastici) fu quello del professore Carlo Regina, deceduto non molti anni or sono in quel di Firenze.

I membri di detta famiglia, non erano ancora titolati nel 1665 anno in cui nacque Salvatore Regina senior, ma quando costui trasse in moglie D. Orsola,  figlia del notaio D. Giuseppe Fazio proveniente anche costui dalle prime famiglie di Mormanno, acquistarono il prefisso nobiliare Don, che come ricordiamo sta per Dominus, ossia signore.

“La professione notarile era, come affermano illustri autori, fonte iniziativa di nobiltà, atta, per se stessa, a produrre nei suoi investiti una distinzione di carattere nobiliare. Negli atti del catasto conciario di Carlo III, i notai hanno il titolo di Magnifico che era appunto un titolo distintivo di nobiltà.”[2]

Acquisirono poi la Cappella bizantina di Santa Caterina, in origine della famiglia Fazio, come giuspatronato di loro famiglia a partire dal ‘700, nella quale cappella si leggono ancor’oggi le seguenti iscrizioni: “ D. F. Domenicus Regina ex sua devozione restaurum curavit 1749” sulla tela dell’altare e “ U.I.D. D. Carolus Maria Regina” sul paliotto dello stesso.

Stemma: d’oro alla banda bruna caricata di tre bisanti d’argento[3].

Lo splendore di quella famiglia oggi estinta iniziò a tramontare tuttavia dopo l’unità d’Italia, per scomparire totalmente nel ‘900.

Altro insigne personaggio, facente capo ad un differente ceppo, fu ancora un reverendo, tale Don Cesare de’ Regina – discendente da Lucio o Lutio della Regina – il quale fu arciprete di Mormanno per ben cinquantadue anni e legò parte del suo patrimonio alla nostra chiesa madre.

Ma, come molto sovente accade, dei magnati del passato non rimane né blasone né discendenza e talvolta neanche la memoria; della plebe resta sempre qualche traccia, significativa o meno, nelle prolifiche generazioni che vivono memori ed orgogliosi dei loro padri e ne perpetuano la memoria.

 

Ci piace ricordare infine, come le più qualificate maestranze locali in materia di costruzioni edili, seicentesche e settecentesche, annoverassero dei Regina, difatti i capimastri che posero mano ai primi lavori di edificazione della matrice chiesa di Santa Maria del Colle, mastro Filippo senior, figli e nipoti, erano di quella famiglia e per di più nostri progenitori.

 

 

CONTACHILOMETRI  “TAROCCATI”:
UNA PRATICA ORMAI IN DISUSO TRA I RIVENDITORI DI AUTOMOBILI      
           

di Stefano Ferriani

 

Prendiamo spunto da un articolo comparso sul mensile Quattroruote nel mese di      Agosto 2006,secondo il quale la pratica del cosiddetto “tarocco”del contachilometri è tutt’ora utilizzata dai commercianti di automobili usate. 

Ci apprestiamo, quindi, a trattare l’argomento che riteniamo essere di interesse comune.    

E’ indubbio che fino a qualche anno fa il fatto di abbassare il contachilometri fosse una pratica utilizzata da una buona parte degli operatori del settore: la vettura con pochi chilometri percorsi risultava più facile da rivendere e, pertanto, il commerciante,      o addirittura il privato che dava la vettura in permuta, passava dallo specialista che in pochi minuti ringiovaniva la vettura a “gentile richiesta”.                

Diminuire fraudolentemente il chilometraggio dell’auto era diventata quasi una usanza: Talvolta era –addirittura-  l’acquirente che chiedeva al rivenditore di togliere qualche chilometro, se riteneva che quelli segnati sulla sua nuova vettura fossero in esubero. La frase di rito che accompagnava la richiesta era, normalmente: “sa, mia moglie,gli amici…”.

In realtà, il fatto di vedere segnati sul contachilometri della propria vettura pochi km percorsi,         nutriva l’orgoglio e l’amor proprio e provocava  un effetto psicologico positivo,  probabilmente tranquillizzante.                

Allo scopo di arginare questo fenomeno, talvolta dilagante, nell’ultimo quinquennio i costruttori di automobili, supportati da una sempre più sofisticata tecnologia,  hanno reso più difficoltoso, e talvolta impossibile, modificare il chilometraggio delle vetture. Se a ciò aggiungiamo il fatto che la legge oggi prevede dure sanzioni penali a chi altera  il chilometraggio degli autoveicoli  e, inoltre, obbliga il rivenditore ad effettuare un dettagliato stato d’uso del mezzo usato, è facile affermare che tutto ciò è più che sufficiente per modificare le antiche tentazioni.

 

Oggi, le vetture usate vengono valutate in base ai chilometri percorsi, pertanto il rivenditore, sulla scorta della percorrenza potrà decidere il canale di vendita. Normalmente, se la vettura  ha percorso un chilometraggio inferiore a  150.000 km,  viene venduta ad un privato, se  -invece- il chilometraggio è superiore,viene   venduta a commercianti dei paesi dell’Est   Europa,  i quali hanno come unico interesse il massimo possibile del “ risparmio”. Per loro, infatti,  stato d’uso e chilometri percorsi passano in secondo piano, l’importante è che la vettura costi poco!     Questo nuovo mercato ha di fatto regolamentato il commercio delle vetture con alta  percorrenza chilometrica,  selezionando cosi, in modo naturale, il prodotto migliore da  destinare al mercato nazionale.                                                                                                   

“Morale della Favola”: Si può comprare tranquillamente e in sicurezza vetture usate; il mercato è vasto e offre ottime opportunità a prezzi convenienti.

 

 

UN MURMANNOLO MI HA DETTO…

di Nicola Perrelli

 

 

E..state a Mormanno: è questa la circonlocuzione scelta dagli organizzatori per promuovere l’agosto mormammese 2006. 

Tutte le iniziative sono state sostenute da una valida  campagna di informazione, da una serie di attività di comunicazione e da una accurata brochure offerta in ogni dove.

Ricco il palinsesto.

 

Si è cominciato il 6 con la Giornata in Montagna   e si è finito il 27 con la Festa patronale . Nell’intermezzo la Fiera (vedi Faronotizie di agosto) i cantanti, gli spettacoli, gli incontri e le serate enogastronomiche. Insomma un caleidoscopio di occasioni di socialità, divertimento e cultura.

Cosi si è presentato ai murmannoli, agli emigranti e ai turisti l’evento più importante e duraturo di Mormanno.

 

L’apogeo è stato ovviamente raggiunto a ferragosto. Tutto si è concentrato in questa giornata topica dell’estate. Originariamente festa pagana nata con l’imperatore Augusto per festeggiare i frutti della terra  e dal VI secolo in poi assimilata dal cristianesimo nella celebrazione dell’assunzione di Maria in cielo.

Una Festa molto sentita in paese, impregnata del culto per la Madonna e di quella spontanea gioia che facilita il contatto con il sacro. La processione al seguito dell’immagine di Maria SS.Assunta è  infatti l’evento che più la caratterizza. Una usanza mai tramontata nel tempo che assume in questa occasione connotazioni del tutto particolari. I tempi cambiano ma il legame tra il sacro e il profano resiste. L’attività spirituale si inserisce  in modo perfetto con lo stato euforico, di pagana memoria,della folla partecipante. Dietro le autorità civili e religiose e ai vigili urbani in candida uniforme,quasi degli angeli custodi, si snoda il serpentone, a doppia fila,  dei fedeli che tra una preghiera e l’altra chiacchierano e… spettegolano.

 

Piazza Umberto ed il Corso  sembrano  luoghi di pellegrinaggio . La calca è spettacolare, ogni spazio calpestabile viene occupato . Una marea di gente che  passeggia, discute, si sollazza. Che  sfoggia,con vanagloria , le toilette acquistate per l’occasione o quelle ritenute le più eleganti.

Impegni e contrattempi vengono inconsapevolmente accantonati: finalmente una giornata da dedicare a se stessi ,alla famiglia e agli amici.

Si è in altre parole soggiogati dal contesto vivace e brioso che gratifica e stordisce. Nei bar, seppure numerosi e attrezzati, regna la confusione totale: per un aperitivo o per  dolci e gelati, bisogna veramente sgomitare, ma nessuno lesina un sorriso. Da qui a poco  le tavole imbandite di rascateddri con sugo di caprettone piuttosto  che pasta al forno, agnello o capretto con patate,polpette e ogni altro ben di Dio, metteranno d’accordo  corpo e… anima.

 

Il pomeriggio, satolli e spensierati , per una salutare passeggiata si va  al laghetto del Pantano. Oggi località amena e di svago, un tempo  luogo agreste  e di fatiche.

 

Il massimo della frenesia sopraggiunge però al calar della sera, quando il Corso si trasforma nella strada delle luci e del divertimento nostrano: una miniatura dello “Strip” di Las Vegas. Ora è lontana l’abituale immagine sonnacchiosa e pigra del paese. Il passeggio è giunto al culmine, praticamente sono tutti fuori in strada e tante sono le persone che si vedono solo in questa serata. O verso San Rocco o giù per lo Scarnazzo, è d’obbligo la sosta in Piazza. Quest’area tanto cara ai nativi, compressa tra la Cattedrale ed i palazzotti che la modellano. Ideale luogo d’incontro, salotto e teatro della vita quotidiana ,degli ozi e finanche delle piccole e mediocri vanità. Resa in questa magica serata  ancora più suggestiva dalle soavi melodie eseguite dalla Banda che gli astanti, con disuguale interesse, ascoltano seduti  allu pezzu o più comodamente ai tavoli dei bar  tra un gelato e una bibita , una chiacchiera e un applauso. Dopo mezzanotte, a concerto ultimato, quelli della terza età ,stanchi di una giornata troppo lunga, fanno posto ai giovani e a qualche ricomposta giovanile compagnia di buontemponi che sorseggiando un mojito, un rhum piuttosto che un southern comfort  e raccontando  aneddoti ed esilaranti battute, rotti da schiette e chiassose  risate ,tengono la piazza viva e allegra  fino all’alba.

 

L’indomani però molti di loro , i più giovani in particolare, dovranno nuovamente lasciare il paese per motivi di lavoro o di studio. Non c’è stata libertà di scelta all’andata , meno ancora ce n’è  per il ritorno. E’ l’altra immagine,scomoda se vogliamo, del ferragosto mormannese, che ancora non ha cambiato il suo corso. Resta tuttora una festa dedicata agli emigranti. A coloro che hanno dovuto e devono farsi una vita altrove. Un retaggio antico ancora presente , ineluttabile . Sono cambiati i musicanti ma la musica è sempre la stessa. Non più braccia da spolpare ma giovani istruiti, spesso di valore e di prestigio, che portano il proprio “prodotto” intellettuale con l’entusiasmo degli anni migliori a beneficio di altre comunità, dove non hanno radici  e identità.

 

Ma non è tempo di pacati ragionamenti… si è da poco spenta l’eco del ferragosto che un’altra festa da inizio ad un nuovo giorno di baldoria e tutti sappiamo “ come è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti intorno fanno rumore..”

 

Un breve resoconto filmato del Ferragosto 2006 su Faronotizie.it

http://www.faronotizie.it/mormanno.htm


 

 

 

COSE (STRANE) TEDESCHE

di Ferdinando Paternostro

 

 

Torno da breve viaggio in Baviera: castelli e ville barocche, paesaggi straordinari, ottima birra e soprattutto… München,  dove tradizione, arte e storia si sposano con cosmopolitismo, tecnologia e modernità.


Siete comodi ? Ecco le foto delle vacanze !

 

 

 

SAN ROCCO, PATRONO DI MORMANNO

di Nicola Perrelli

 

 

Il 16 agosto si festeggia in tutta Italia San Rocco. A Mormanno invece, per antichissima tradizione, la celebrazione del santo , patrono del paese, avviene nell’ultima domenica del mese con processioni e spettacoli.

 

Pur essendo un santo cosi popolare, che tantissimi comuni ne portano  il nome, poche sono le notizie storiche   sulla sua vita. Nel passato addirittura   si è arrivati  a metterne in dubbio la stessa esistenza e solo dopo il 1600 viene ufficialmente canonizzato dalla Chiesa.

 

La sua vita è dunque un intreccio di fatti e di leggende. Secondo i testi e i  documenti più accreditati  nasce a Montpellier in Francia tra il 1340/50 da famiglia benestante. Rimasto orfano si spoglia dei suoi averi per distribuirli ai poveri. Veste l’abito da pellegrino e parte alla volta della tomba dei santi Pietro e Paolo, a Roma. Nel corso del lungo viaggio assiste e cura molti malati di peste. Sono guarigioni miracolose. Nella stessa capitale guarisce dalla peste anche un potente cardinale che come segno di devozione  e rispetto lo presenta al papa Urbano V.

Nel viaggio di ritorno  con lo scoppio di una nuova epidemia di peste rimane lui stesso contagiato. Il suo cammino si arresta  pertanto nei pressi del fiume Trebbia , dove decide di isolarsi e attendere la morte. Viene però soccorso  da un cane  che lo rifocilla di cibo sottratto alla tavola del padrone, il patrizio Pollastrelli. Per questo motivo nell’iconografia  è sempre presente un cane che offre un pezzo di pane al

 

Santo afflitto dai bubboni della peste in evidenza sulla gamba. Il patrizio incuriosito segue il cane e diventa, dopo aver aiutato a guarire il santo,il suo fidato e unico discepolo. Al suo rientro a Montpellier , per un equivoco, viene imprigionato dalle guardie dello zio governatore ma non svela la propria identità  per un voto fatto. Resta quindi in carcere per cinque anni, dove muore il 16 agosto all’età di 32 anni.

Le reliquie da Montpellier finiscono, molti decenni dopo durante una nuova epidemia di peste, a Venezia ove era stata costruita,per godere della sua protezione, una chiesa a lui dedicata.

Il culto di San Rocco si diffuse all’inizio in Francia, poi nell’Italia settentrionale ed infine nel meridione, dove viene invocato non solo come patrono della peste e delle piaghe ma anche come protettore contro le catastrofi naturali e le malattie del bestiame.

 

L’ultima domenica di agosto è un giorno particolarmente caro mormannesi, devoti e non, che con grande partecipazione affollano sin dal mattino il sacrato della chiesa intitolata al Santo.   La solenne processione che segue  muove  dalla Villa di San Rocco fino alla Cattedrale dove la statua del Santo viene deposta per essere  poi nel pomeriggio nuovamente riportata dal corteo nella sua originaria dimora.

 

Anche se oggi il culto si è affievolito ,durante la processione per rendere gloria al Santo, sfilano ancora le “cinte” , grandi ceste fatte di ceri e ghirlande, che una volta venivano portate sul capo da donne che indossavano costumi tradizionali. Come resiste tuttora l’usanza  di portare il grano in sagrestia in segno di ringraziamento per il favorevole ciclo agricolo . Oggi in piccole quantità, un tempo  cosi abbondanti da riempire il locale. Sempre attuale infine la consuetudine di coprire di biglietti di banca la statua del povero Santo.

 

I festeggiamenti continuano la sera nello splendido scenario della villa di San Rocco abbellita da luminarie, decine di bancarelle con noccioline, torroni,  giochi e tant’altro, in attesa dello spettacolo e del sorteggio dell’auto nuova di zecca in palio. Con l’assegnazione del premio  si conclude la festa più popolare del paese ,che chiude il ciclo dell’agosto mormannese  e annuncia l’arrivo  della lunga stagione fredda. 


 

 

DIARIO DEL SACCHEGGIO
regia di Fernando Solanas

visto da Carla Rinaldi

 

Argentina anno zero. Saccheggi dell’animo e privazioni di identità. Un documentario può raccontare tutto ma spesso riesce male a mostrare sentimenti. Il “Diario del saccheggio” di Fernando Solanas invece, segue dall’inizio alla fine, la crisi tremenda dell’economia argentina iniziata, o meglio scoppiata, all’inizio del 2000 e salita alla cronaca mondiale nel 2003 con le manifestazioni pacifiche delle pentole sbattute con rabbia e rassegnazione per le strade di Buenos Aires.

La crisi, ci racconta la storia, incomincia tanti e tanti anni fa, quando i prestiti delle banche internazionali, finanziavano, assolutamente non a fondo perduto, i Paesi che lo richiedevano e in questo modo si accaparravano disponibilità e dedizione.

L’Argentina, che spesso è stata capeggiata da sedicenti politicanti dediti solo a denari e vanità, ha raggiunto il picco massimo di cattivo utilizzo dei prestiti, con Menem, leader argentino per oltre un decennio e con i suoi scagnozzi che nella privatizzazione hanno fiutato ricchezze personali. Ma la liberalizzazione del mercato è possibile solo ed esclusivamente nei luoghi meritocratici e dove il commercio che gira ha un senso fondamentale per il benessere di una nazione.

Invece in Argentina, sarà il clima sarà l’anima pigra, ma il sistema statale assicurava ai suoi cittadini un minimo salario e la speranza in un’esportazione reale e massiccia delle loro tante materie prime. E invece cosa è accaduto? Menem ha cominciato ad importare la carne. La carne delle Pampas è tra le migliori al mondo. E’ come se i napoletani importassero la pizza. Ad un certo punto l’ingordigia oligarchica ha venduto, termine esatto, quasi tutti gli argentini in cambio di dollari e in cambio di licenziamenti esosi.

 

Questa è la storia. Questa però potrebbe essere la storia di tanti altri Paesi, in questa vicenda con brividi forti, si possono riconoscere molti Berlusconi e tanti Bush. Infatti, ad un certo punto la confusione è tale, quando un certo uomo di politica acquista molte televisioni e trasforma le serate degli argentini in visioni pubbliche di vite private con balletti e domande inopportune sulla gestione quotidiana di chi comanda facendolo passare per un uomo simpatico. Questa l’immagine televisiva che gli alti dirigenti volevano dare del Paese ormai, invece, allo sbando completo.

Ad un certo punto però è accaduto che il popolo ha capito tutto e in quel momento, nessun compromesso o accettazione passiva si è potuto attuare. La gente si è svegliata, ha cominciato a sbattere forte i coperchi e ha urlato a squarcia gola. Il bluff stava terminando  ma con lui anche l’economia ormai privatizzata e il destino della nazione intera scoperchiato. Per fortuna è successo che molti Stati hanno cancellato il debito pubblico che avevano con l’Argentina, Menem è stato depurato e si è ritirato nelle sue mille ville comprate con i soldi dei suoi sudditi, le pentole sono ritornate nelle scansie e per le strade la gente ha ricominciato a ballare il tango.

 

 

 

LA FESTA MORMANNESE DELL’EMIGRANTE

di  Monica Rigo

 

 

Tra le  altre manifestazioni del mese di agosto, si è svolta a Mormanno (CS) la  Festa - Raduno dell’Emigrante, quest’anno alla sua seconda edizione.

Giusepe Aita,  coinvolgente  organizzatore dell’evento assieme a Silvio Regina,  ha presentato l’iniziativa ai tanti convenuti presso il Teatro Comunale.

Si sono succeduti sul palco la sig.ra Maria Mazzafera, che ha recitato tra la commozione di tutti la poesia “Fratello  emigrante[4]” del Prof. Domenico Crea, il Sindaco di Mormanno, Dott. Gianluca Grisolia, che ha auspicato una “istituzionalizzazione” della  Festa e ha tracciato un quadro della situazione sociale del Mezzogiorno, il Prof. Luigi Paternostro, che ha ripercorso la storia dei flussi migratori, soffermandosi in particolare su quelli più recenti.

E’ stato poi presentato FARONOTIZIE.IT  e nello specifico i contributi presenti nella sezione “Murmannoli qua e là”.

Una targa ricordo è stata, infine, consegnata alla sig.ra Francesca Sola, ultranovantenne mormannese trapiantata da anni con la famiglia in Lombardia.

L’intera manifestazione è stata registrata e ritrasmessa da Telemormanno.

 

 

 

REGALARE E REGALARSI

di Raffaella Santulli

 

 

Questa frase bellissima, tratta da un testo indiano, riassume il vero e autentico significato del regalo. Quando si fa un regalo? La risposta più ovvia e spontanea è, sempre. Regalare un fiore perché si è allegri. Regalare un oggetto, prezioso o qualunque, perché qualcuno che ci preme lo guarda con desiderio. Regalare un sorriso, una telefonata, un sms a chi non se lo aspetta, o a chi l’attende, invece, come prova di esistere. Regalare indulgenza, pietà, pazienza, sacrificio. Sono tutte occasioni da premiare con un regalo: il più bello, perché è “senza ragione apparente”.

 

  • Un regalo va scelto in stretta relazione con l’occasione alla quale si ispira, con la persona a cui è destinato, con il rapporto esistente tra chi fa il regalo e chi lo riceve;
  • un regalo deve essere scelto nella propria misura economica e di ruolo: ma anche nella misura economica e di ruolo di chi lo dovrà ricevere;
  • un regalo non deve essere valutato, e quindi scelto, in ragione del prezzo;
  • un regalo deve essere una sorpresa.

 

Una meraviglia che scalda il cuore, un gesto che rinsalda gli affetti, un messaggio di tenerezza.

Rothschild diceva che chi regala un diamante di trenta karati può permettersi di toglierselo dal taschino e di infilarlo al dito della destinataria, senza astucci e senza presentazioni speciali.

Si ha la tendenza, infatti, ad infiocchettare un regalo modesto e a diventare più sbrigativi se il regalo è importante, continuando a sbagliare il bersaglio: che non è l’oggetto ma il messaggio che gli è stato affidato.

Quindi, chi riceve un dono deve cercare quel messaggio, spesso mal espresso, balbettato, confuso.

E di quel messaggio infatti, che dovrà rendere conto a se stesso, accettandolo e rispondendo; ed è a quel messaggio che dovrà riferirsi per accogliere con gioia ciò che gli è stato donato con gioia, e con sufficienza ciò che gli è stato donato soltanto per obbligo o con supponenza.

Davvero, di fronte ad un regalo, siamo capaci di avere pensieri così elevati? Senza lasciarci prendere la mano da valutazioni assai meno spirituali che soppesano, invece, il contenuto per quel che vale?

Saper leggere attraverso un regalo i sentimenti, qualche volta non edificanti ma spesso volenterosi, di chi ci ha fatto un dono è un talento umano esclusivo.   

 


 

 

ZONA FRANCO- BOLLO

Metti una sera al Cinema: bentornato Cinestar!

di Francesco Aronne

 

 

 

Una sera di giugno trainato da amici fidati che hanno neutralizzato una mia atavica “pigrizia cinematografica”, alle 22, sono andato per lo spettacolo serale al vecchio anzi Nuovo Cinestar. Non nascondo il piacere di varcare un’antica (e da tanti a lungo attesa) soglia. Un’insegna luminosa di neon azzurro fluorescente che fa tanto “Snack Bar Budapest” ci accoglie e ci indirizza… e dopo la cassa (che rivedendola mi ha velocemente riproposto, come i fotogrammi di un vecchio film virato seppia, le varie facce che in quel posto, in diversi anni, si sono alternate con il piglio di incorruttibili doganieri) la sala rinnovata (i posti i vasciu: arena di classe e incubatoio di fragili e naufraghi pensieri insurrezionalisti), comunque impregnata di tanti ricordi.

 

Un cinema nel cinema dove il primo stava per film (per molti ancora, da queste parti, cinema sta per film come televisione sta per televisore: siamo o non siamo il popolo per cui la lingua straniera più parlata è la propria?). Film o forse più realmente teatro, visti carni, ossa, odori, umori, sudori impastati nel fumo che abbondante esalava (deformando la proiezione sullo schermo e impregnando i vestiti col suo rancido fetore). Spettatori diversi accomunati e trasportati dal fluire d’immagini che allora veramente trasportavano. Un nuovo, anzi antico cinema Paradiso come trottola di emozioni e frustrazioni ma momento anche unificante nella cultura popolare…finestra a pagamento su altri indelebili ed allora lontanissimi mondi…Memorabile ed “epico” il ricordo di un episodio di cui non fui testimone poiché non ancora quattordicenne, ma che per quante volte sentito oramai mi appartiene: la proiezione de “Il raggio maledetto”, film minimalista autoprodotto (vietato appunto “ai piccoli minori”), horror nostrano che rivisto dopo tanti anni si mostra col suo indubbio e affascinante valore artistico. Registi ed attori in erba che nel post-oblio di quell’attimo fuggente sono stati chiamati dalla vita a svolger distanti e lontanissime mansioni…una forma innocente di realismo nonsocialista che offriva persino un nudo femminile (parzialmente censurato). La cronaca ci ricorda, in sala, il (non confermato) riconoscimento dell’identità della proprietaria del corpo (non esisteva allora la legge sulla privacy…) e la declamazione ad alta voce della sua peculiare occupazione e provenienza: un nostro compaesano intese così affermare un bestiale, sia pur innocente, primato. Ed anche questa volta, dopo tanti anni, anche ora come allora… qualche commento ad alta voce, qualche considerazione tra spettatori anche distanti in sala, risate non propriamente pertinenti, transiti ed accomodamenti di spettatori non puntuali che parlano con udibile voce sommessa quasi a voler nascondere il disagio di un ritardo non voluto, accessori questi scomparsi nelle moderne multisale cittadine. I tempi cambiano, ma Mormanno resta ed il suo cinema, per fortuna, sembra ancora (almeno nell’occasione citata ed in barba al restyling) quello di un tempo.

 

La sala del Cinestar porta ancora con se le energie (veramente tante) di quanti sono traghettati tra le sue (all’epoca dure) poltrone. Cultori devoti ed incondizionati per qualsiasi tipo di proiezione, amanti della allora fioca luce rossa (forse rosa?), cinespettatori comuni ed architetti del nuovo mondo promotori di cineforum…diverse generazioni con il loro transito hanno fatto di quell’ormai innocuo luogo, il tempio laico (contrapposto al “pidocchietto” clericale) che rimane nel ricordo di chi lo ha, poco o molto non importa, vissuto… Ed infine, anche se marginale per le sensazioni descritte, il film in proiezione: “Il Codice Da Vinci”…lontano da eco ridondanti che da mesi occupano la prima fila dei media, qui a Mormanno questo clamoroso ed atteso evento internazionale rimane (per fortuna) solo un film.

Palpabile in sala la curiosità di più di uno spettatore attratto dal gran parlare sulle vicende narrate, malamente nascosta alla fine la delusione di qualcuno che contava nelle clamorose rivelazioni in grado di minare le basi sia pur solide storiche o religiose di chicchessia… Un film, che nel contesto che ho descritto mi è risultato di gradevole visione… Di certo lontano dalle vicende storiche e reali a cui il libro generatore si è acrobaticamente ispirato, ma a cui va certo ascritto il merito di aver spostato l’interesse di moltitudini dai peli di Ibrahimovic ad argomenti e favole di diversa estrazione e natura…

 

E poiché un film è solo in film, ma proprio perché film attiva e rimuove sogni, deliri e suggestioni, la sera a casa sono andato a guardare la data di un vecchio libro raro e fortunosamente trovato: “Le Templiers son par mi nous” non tradotto in Italiano, di un autore ormai scomparso: Gerard De Séde. Reca la data 11 Agosto 1992. Mi fu regalato da una persona che per caso incontrai il giorno prima (giorno di San Lorenzo e per noi di fiera) a Rennes le Chateau. Il ricordo va ad un viaggio indimenticabile fatto per la “Rue catare” sulle tracce di eretici, demoni, misteri e di Berengere Sauniere (quello vero).

 

Ho rivisto di recente in un documentario televisivo quei luoghi: una tabella nuova di zecca col nome del borgo ormai famoso, all’epoca un’insegna arrugginita quasi illeggibile, il cimitero ormai chiuso alle visite delle moltitudini. Dramma della celebrità che determina la difficile frequentabilità di un posto preso d’assalto da orde chiassose di turisti che ne hanno distrutto la quiete ed il fascino… Il mio lontano viaggio lo feci con un paziente ed assecondante amico; incontrammo poca gente, veramente poca: una sola famigliola che sembrava giunta lì più per caso più che per le vicende ed i misteri gravitanti sul tremendo sito (terribilis est locus iste)…

 

Ripensando con un po’ di nostalgia a quel viaggio ricompongo i miei pensieri di allora… mi chiedevo come mai un luogo che trovavo colmo di fascino e misteri, che mi aveva spinto da Mormanno a gironzolare per i Pirenei orientali fosse sconosciuto ai più. Poca gente, aria di decadenza e di abbandono… Ci ha pensato Dan Brown a farmi ricredere e capire che quando si è in alcuni posti è meglio lasciarsi rapire dal paesaggio, dalla magia dei luoghi, da suggestioni e pensieri corsari…. evitando domande futili e sciocche (anche se fatte a se stessi) magari generatrici di occulti moti energetici…un po’ come quando si è nella sala del Nuovo Cinestar durante la proiezione di un film qualsiasi.

 

 


[1] Ancor piu’ remota è l’idea di tracciare la storia delle origini di Mormanno nonché l’etimologia stessa del nome.

Vari autori locali si sono attardati vagamente e sommariamente sull’argomento, ma una buona monografia non è ancora stata data alla luce.

[2] Raffaele Bisignani Il notariato a San Donato di Ninea,  Apollinea n°4 luglio/agosto 2000 pag. 14

[3] Biagio Cappelli Mormanno una chiesa bizantina

[4] Da “Balenar d’ombre”, Ed. Il Cosciale, 1997

 

 

FARONOTIZIE.IT  - Anno I - n° 6Settembre 2006

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